giovedì 7 marzo 2013

ENRICO CAVALLOTTI. GRIGIORI

                                                                    GRIGIORI

                                                                                      
                                                                                               A Giulia, Ludovica e Piera




IL nemico più sùbdolo e feroce dell'uomo non è il bianco dalla falsa castimonia, né il nero dal senile duolo, ma il grigio: quel tòssico ed unto grigio che vive di recònditi innesti, che ti scìvola sulla pelle e vanisce prima d'averti offerto una goccia di sé; quel grigio elusivo che non ti risponde, o ti risponde "chissà", e ti guarda con un'aria interrogativa, e non ti rimpròvera, né loda, ma lascia che tu muoia  a poco a poco di dubbio.
*
 Crediamo di èssere, e siamo, ma non ciò che crediamo di èssere. Ben peggio che non fòssimo affatto.
*
  Non è morire che ci angoscia ma sapere che la vita continuerà a dispetto della nostra morte.
*
Ci consoli sapere che non esìstono prove certe della nostra esistenza.
 *
 Nel mondo c'è troppo di tutto. E ciò non ostante è un deserto.
 *
 Che ìmprobo strapazzo  cercare ogni giorno una ragione che valga a distìnguere il giorno in fieri dal giorno trascorso, intanto che la speranza nel giorno venturo va riducèndosi a sèmplice adempimento burocràtico.
  *
Se t'affanni a spìngere il tuo mondo oltre i suoi ritmi congeniali lo spingi fuori strada.
*
 Per quanto t'industri a riflèttere non ti divìncoli da ciò che non vuoi èssere.
*
Te che suoli tormentarti ponendo tante e metafìsiche domande senza risposta a te stesso ed agli altri rovescia infine il punto interrogativo, ed impìccatici.
 *
Siamo sicuri d'esìstere. Ma non ci domandiamo mai se siamo altrettanto sicuri che tale esistenza non sia che un'illusione. Certo si è che se non esistèssimo avremmo quanto meno il vantaggio di non doverci rammaricare di non esìstere. Il non-èssere non è così avaro di compensazioni come diffidenti e pàvidi vorrèbbero farci crèdere.
 *
Irresponsabilità - Se fosse come a me pare che sia, potresti inchinarti a chi è portatore di genialità e punire il reo vittima di se stesso? E lodare chi si è redento grazie ad una volontà che era in lui, pronta ad agire ed a produrre effetti? E disistimare chi si è lasciato andare perché in lui non allogàvano quella energìa, quella forza di carattere, quell'intelligenza che la natura, o il caso, non volle commèttergli? A sei  anni si può già comporre mùsica come Amadeus o èsser un deliquente in potenza. Sotto il profilo morale fra i due bambini non scorgo differenza alcuna... Cessiamo dal valutare l'uomo per ciò che non dipende da lui èssere. Sento già l'obiezione: "Troppo facile! Così si giustifica tutto". No. Così si capisce ciò che è. E ciò che non è lo è Dio, colui che è ciò che non può èssere l'uomo: secondo chi ha in sorte la fede.
 *
Esiste il Tutto, è vero, vano negarlo tràmite disparati e virtuosìstici sofismi. Ma è pur vero che questo Tutto è il fuoco fatuo del Nulla.
  *
L'erotismo è stato ingenerato dal ritmo.
*
Dove non esiste soluzione non esiste problema.
*
Strano ma vero: il nostro guaio è l'informe che ci scìvola fra le dita.
  *
Per agganciare l'altro da noi quanti tentàcoli rèstano invano ad agitarsi per aria?
 *
 Chi dentro di sé coltiva la coerenza e chi, disponendo di maggiori spazi, la contraddizione.
*
Contrariamente al crèdere comune, i sentimenti non sono soggetti ad evoluzione. Sono realtà passive: sono incollati a chi li prova e ne sèguono la sorte.
 *
La filosofìa greca è stata una via làttea, la filosofìa contemporanea un vìcolo cieco. Lo spìrito non progredisce: s'assottiglia, destinato a svanire: tale la sua salvezza, la sua dignità.
*
Ogni proposizione risulta falsa quando al soggetto è fatto seguire (al presente, passato o futuro) il verbo èssere.
 *
L'idiota è sòlito non pensare mentre l'intelligente usa pensare. Siamo sicuri che l'uno sia idiota e l'altro intelligente?
*
E' affatto inùtile studiare se non si dimèntica ciò che si è studiato onde lasciar spazio ad una sensazione crescente d'inadeguatezza spirituale alla complessità della vita e degli arcani che la sostànziano.
*
Ci sono persone inàbili a forti sentimenti. Il loro ànimo s'alimenta di nuances mentre pòrtano a passeggio lungo ombrosi controviali rimpianti fittizzi.
*
Troppe volte il sentimento della pietà offende chi ne è oggetto, costretto a mostrarsi riconoscente verso colui che, attraverso la narcisìstica largizione della pietà, gli aggrava il senso d'isolamento e di solitùdine nella sofferenza. Tuttavia molti uomini sono fràgili a tal segno che preferìscono un ingiurioso panno al freddo da patire.
  *
 "Lei, caro signore, ha le idee confuse". "Certo. Le idee o sono confuse o non sono idee. Non si lasci abbindolare dal vecchio trabocchetto cartesiano".
*
La tolleranza è supporto indispensàbile all'intelligenza. Ma un'eccedenza di tolleranza equivale, da parte di chi la pràtichi, ad un sentimento di disprezzo bell'e buono.
 *
Solitùdini - La persona che ama è il ponte che l'amato percorre partendo da sé per giùngere alla scoperta di sé.
  * 
  Se ci domandiamo che cosa signìfichi "capire" veniamo in breve risucchiati da un vòrtice che ci blocca e sgrètola il pensiero. Non tanto perché "capire" sia esercizio ambiguo, cimento di proibitiva oscurità, quanto perché si sottràggono alla nostra mente, dissolvèndosi l'una dopo l'altra, le cose stesse che dovrèbbero costituire l'oggetto della comprensione. Sicché alla fin fine vale il banale detto "non c'è nulla da capire".
  *
 Precoci ed attardati - L'Italia tempo fa è stata invasa da un'assillante pubblicità che invitava l'uomo a porre rimedio all'eiaculazione precoce. Tale pubblicità - apparsa ovunque: dai mass media alle fiancate dei bussi - sollecitava  a ricòrrere alla scienza mèdica che sa ormai come porre acconcio rimedio al predetto morbo, o difetto, o fretta che sia. M'àuguro che non si sìano fatti turlupinare i lettori ignari: l'eiaculatio precox est virtus et magnum pregium: è il frutto prezioso della presa di coscienza della fugacità della vita, che ha in serbo tante belle cose da propinarci e non di tutte possiamo godere se cincischiamo e traccheggiamo su una sola di esse. Detto còito piuttosto lo direi sintètico o essenzializzato o quintessenziato od anche tacitiano o ellìttico o miniaturizzato, ma mai "precoce". Eppoi chi s'ardirebbe di stabilire che cosa sia precoce e che cosa attardata, e se meglio sia il tremolar dell'ovo a la coque o la tardanza dell'ovo sodo, lo spaghetto al dente o l'incollato, l'aforisma di Wittgenstein o il romanzone stòrico di Tommaso Grossi, il micro morceau di Webern od il poemone sinfònico di Strauss, il sùbito schizzo del Picasso postremo o l'affrescone barocco, la freccia rossa Milano-Napoli o il traballante bus capitolino che non sai quando se ne parte né quando se ne viene? Su, dài, datti una mossa e tanto ti basti: e lascia pure che polentoni & neghittosi ne chiàmino l'èsito, se proprio vògliono, precoce.
 *
Proni e servili, altro non facciamo che dir di sì alla vita. E lei, ingrata, come ci ricompensa? D'improvviso ci zittisce e se ne va: come se di quel sùccube ed indecoroso assenso non gliene fosse mai importato un secco fico.
 *
La vita è ridìcola rispetto alla fantasmagòrica vastità e follìa delle nostre aspettative. Ma se proprio decidiamo di sopportarla per il perverso spìrito di sacrificio che ci obnùbila, è conveniente impegnarci ad insufflarla quanto più possìbile d'irrealtà.
*
Succede che un diàlogo altro non sia che l'ignorarsi di due monòloghi, ma succede altresì  che due monòloghi costituìscano implicitamente un diàlogo perfetto.
 *
ll saggio non semplìfica la vita, la riduce.
*
Il poeta montò su un aereo, salì nell'alto del cielo, si lanciò col paracadute, e alla prima stella in cui s'imbattè s'impiccò. Chi ha la vista buona e un buon cannocchiale e tenacia di ricerca, nelle terse notti di luna piena può ancora scòrgerlo penzolare, gìnnico bambolotto.
*
Finché saremo condizionati da una coscienza ne saremo schiavi, schiavi di noi stesso. Taluno obietterà che la schiavitù ci impedisce il naufragio in quella libertà altrimenti detta follìa.
 *
Non so darmi risposta: a chi e a che cosa torna ùtile l'esìstere di per sé? Nè si può porre il quesito riferito ad un'eventuale utilità del non esìstere, in quanto il non esìstere non esiste per definizione e dunque nullìfica il dilemma. O meglio, non lo nullìfica neppure perché, non esistendo, non compie l'azione nullificante. Anzi, del non esìstere non si può predicare assolutamente nulla per non cadere nella ridìcola contraddizione di doverne ammèttere in qualche modo, e sia pur per via traversa, l'esistenza.
*
Ci rincora, almeno in parte, sapere che quasìasi bugìa potrà èssere perdonata e mondata nel momento in cui troverà una persona per cui sarà verità.
 *
L'umiltà? Similoro.
  *
Esposizione di galante ubicazione - Oltramodo m'anderebbe a fagiuolo se primamente scioglièssimo l'Italia ne l'Europa unita, secondamente l'Europa ne 'l mondo intiero, dassezzo lo mondo ne 'l cosmo sconfinato, e, a tal punto, il cosmo in te.
*
C'è una differenza, fra le mille altre, che distingue il grande scrittore dal mediocre: il primo scrive ciò che vorrebbe lèggere, il secondo legge ciò che vorrebbe scrìvere.
*
Le cose I)  Diffido delle classìfiche poiché non credo nelle relazioni, credendo invece nelle irrelate mònadi, che pur non ci è dato di conòscere, ragione in più per non crèdere nelle classìfiche. Eppoi, in ogni caso, se vi dovessi credere, collocherei le bestie in vetta e gli uòmini al fondo. I quali automaticamente precipiterèbbero sul fondo anche se rovesciassi da sotto in su la classìfica. Godiàmoci dunque le cose in sé, travisiàmole senza fàrcene un rovello, sottraiàmole allo spazio ed al tempo - doppio e calamitosìssimo inganno - e soprattutto scolliàmole dai contesti - in specie culturali, iddio ce ne scampi! - lasciàmole galleggiare come ninfee sui nostri barbari sensi, sulle le nostre intuizioni sprovvedute. Le cose ignoriamo di che sostanza siano fatte, ignoriamo se sìano materia o miraggio,  reperti d'antiche credenze o preludi d'avvenire. Non ne sappiamo nulla delle cose: neppure se siamo noi ad èssere le loro cose: nel qual caso saremmo decisamente cose di poco o nullo conto.
*
II) Noi si crede di far le cose, in realtà c'inseriamo sulla loro traiettoria.
*
Monarchianisti, ariani, nestoriani, pauliciani, bogomili... Sì, siano amati gli erètici: in primo luogo perché mangiano pane e dogma - nutrimento di cui fin da piccirillo avrei voluto nutrirmi anch'io se non fossi stato messo sulla cattiva strada dai "philosophes" - in secondo luogo perché sono gli ùnici che attraverso un virtuosìstico rigore metodològico sanno contestare ed abbàttere i dogmi più tetràgoni opponèndogli dogmi strettamente affini.
*
Siamo tirati giù nel fango, a cercare accomodamenti per vìvere, noi che credevamo di salire alle vette non sapendo che vita è materia temìbile.

La signora inginocchiata - La metròpoli si beava d'un pomeriggio sereno: appena una nuvoletta qual micia trascorreva lesta sul versante destro del cielo. Vestita d'un attillato tailleur pervinca, le perle al collo e un deliziosìssimo cappellino ad attenuare i lucori delle labbra, intorno alle 17,45 la signora XY si era incontrata nella Sala da Tè con la ristretta cerchia delle amiche più ìntime e eleganti; ed i loro conversari ritmati dal sorseggiar la bevanda inghilese sarebbero tosto fluiti non meno alacri che discreti. Di ritorno da una librerìa, dove avevo fatto eccitato acquisto dell'hegeliana "Fenomenologìa dello Spìrito", feci ingresso nella Sala prendendo posto accanto al fumigante tavolino donnesco. Sfogliando il novello tomo i miei occhi càddero sulla frase "Che il vero sia effettuale solo come sistema, o che la sostanza sia essenzialmente Soggetto, ciò è espresso in quella rappresentazione che enunzia l'Assoluto come Spìrito". Fu leggendo questa proposizione rebussìstica che la mia lettura fu facilmente distolta dal mio udito, che udì la bella signora XY confidare alle amiche: "Sapete? Ogni qual volta mi sono inginocchiata non è stato per pregare".  Intuii come la signora XY avesse capito meglio di Hegel che la vita, sì sovente amara, si compiace di riservarci anche gaudiosi casi.
 *
I migliori attori sono quelli che hanno imparato a recitare dagli uòmini. Che sono costretti a recitare, ad inventarsi una parte, un personaggio, in quanto ignorano affatto quale sia l'autenticità da metter in campo.
 *
"Non c'è nulla più scrupoloso della cattiva coscienza" (Emilio Cecchi).
*
Basta mica cambiar nome ai giorni per rubarli alla loro monòtona malinconìa, né basta soffocarli nelle risa per silenziarne le tristi nenie. Penso agl'indicìbili sforzi compiuti dall'uomo perché la sua esistenza sfuggisse alla sorte misteriosamente assegnàtale.
*
Pur di sopravvìvere le persone sono disposte a tutto: anche alla bontà.
 *
"Mentez, mes amis, mentez!". Così disse Voltaire.
*
S'appròssima il tempo in cui non potremo più dirci cristiani?
 *
Aggettivi - E' stato rilevato che in prosa la quantità degli aggettivi consecutivi consentiti in una proposizione è in relazione al talento dello scrittore. Più ha virtù e più gliene sono permessi e meno ne dovrebbe usare.  Comunque sarebbe bene non superare la soglia dei due, eccezionalmente tre. Amo piuttosto gli scrittori che pùntano sul sostantivo e semmai su una punteggiatura articolata, in specie sul dismesso "punto e vìrgola", che immàgino tra il punto e la vìrgola come la viola tra il violoncello e il violino, o il clavicordo tra il pianoforte e il cèmbalo. Se il punto è il compimento del viaggio, e la vìrgola una pausa alla toilette, il "punto e vìrgola" è un più agiato ristoro, diciamo uno snack, tra partenza e arrivo. Si badi che neppure la scrittura poètica dovrebbe abboffarsi d'aggettivi, come una mùsica non dovrebbe esorbitar di trilli, acciaccature e cromatismi. La poesìa più "poètica" è quella pòvera d'aggettivazione, versi austeri e nòbili, che muòvono il cuore per l'essenzialità dei colori e la profondità dei concetti (chi ha detto che la poesìa sia soltanto lìrica?). Mi piace di più "La ginestra" che "A Silvia", più la "Sonata op. 106" che la "Patetica", più Mondrian che Renoir, più Antonioni che Fellini, più la nervosa bistecca alla fiorentina che la ridondante cotoletta alla bolognese, più il polder nederlandese che il lussureggiante verziere etc...
*
Oh sano! quanto sei vano!
 **
  Arietta mesta
 Dal dì che nasci
 al dì che muori
 dintorno trovi 
/l'umanità.
  NB. Dall'amarèvole constatazione / schietta discende l'adesione / all'assai prisca espressione: / "Meglio soli che male accompagnati"
 *
 Quanti stòrici sono soltanto cronisti "attardati"? e quanti cronisti fanno già storia nelle loro sèmplici crònache?
*
Tenerezza mi fà l'illusione del fellone. Il quale s'arrovella per colpire la persona dabbene, senza tenere conto che per una colpita mille altre stringeranno d'assedio il fello, facèndogli scontare o prima o poi la fellonìa. E vana sarà la di lui ossecrazione all'umana pietade sotto la gragnuola de' vìndici serci.

*
Arietta intitolata "Eros"
Al contento
della còpula
contribuisce
la cultura?
O la barbarie
più bruciante
fà il banchetto
più buriano (1)?

(1) "buriano" aggettivo arditamente tratto da "buriana", qui nella grata accezione di "baldoria no limits", scompiglio ardente, etc...

  *
  "Il mondo esiste, ma non è reale". (Anònimo buddhista tibetano).
 *
Invece della maledizione d'èssere, un paradiso finto e chiaro ove a sprazzi favoleggiare d'èssere, ad libitum. A considerare che in orìgine tutto sarebbe stato possìbile - in mente Dei o del facente funzioni - non mi pare questa una smoderata alternativa edènica, ma una qualsìasi possibilità metafìsica, coll'effetto benèfico di sottrarre l'uomo ad un subisso d'inùtili piagnistei.
 *
Il nulla è ciò che il pensiero non pensa. Basta ciò alla definizione del nulla? Oppure, per maggior sicurezza, è bene aggiùngere: "e ciò che i sensi non percepìscono"? (Nessun liceale ha dimenticato il buon Berkeley che andava ripetendo: "Esse est percepi"). Sta di fatto che se al nulla si confà non esìstere, qualsìasi definizione di ciò che non esiste risulta campata in aria. Si taccia, onde non provocare ulteriori garbugli.
*
Tanto più vuoi una cosa quanto meno puoi averla. Tant'è che più vuoi scrìvere quanto meno hai da dire.
*
 In àutobus ascoltavo con gran sorpresa e piacere la straordinaria proprietà di linguaggio che una signora usava ad esprìmere le cose più modeste e quotidiane. E mi domandavo se fosse quell'elegante linguaggio a nobilitare quegli argomenti correnti, così fatti degni di particolare attenzione, oppure se fòssero proprio quegli argomenti ùmili e volgari a esaltare, per contrasto, il fàscino di quel linguaggio singolarmente appropriato.
  *
 Come il sogno sta alla veglia l'èssere sta al reale.
  *
Capisco la pulce quando protesta che l'universo le va troppo stretto. De spatio non est disputandum.
 *
 La razionalità è una moneta falsa. Si ùsino i sensi, tutt'e cinque, fintantoché sia conceduto.

E se fosse che l'uomo, l'èssere umano", è incompatìbile con lo stato dell' "èssere"? Se fosse che l' "èssere" non è adatto all'uomo così com'è conformato nel nostro bigio àngolo del cosmo? Di chi allora la responsabilità di questa inadeguatezza? E come sarebbe mai potuto accadere un sìmile disastro? Certo è che la condizione esistenziale dell'uomo denuncia una "crepa", una tabe, nell'òrdine còsmico delle realtà quale ci appare e conosciamo.
*
Chi insegna inganna, ma chi inganna insegna.
 *
  Bècero qualunquismo - L'intellettuale? Sovente è chi perde tempo a rimuginare ciò che la gente ha istintivamente trascurato o accantonato perché impegnata a vìvere.
 *
 Dato che la morale non ha fondamento oggettivo, il giudizio morale non può considerarsi disgiunto dall'arbitrio di colui che lo fòrmula e che per ciò stesso ne abbatte la validità. L'ùnico modo di salvare all'apparenza la morale dalla propria intrìnseca inconsistenza è quello di fondarla sul dogma: e su tale linea la morale è il gioco più importante che gli adulti vanno fieri d'insègnare ai bambini, provocàndogli sovente guasti irreparàbili. La morale, al pari del gioco d'azzardo, dovrebbe èssere vietata al minori.
*
Conoscevo una signora incaponita che, in mancanza d'estimatori del suo fàscino, s'affascinava.
*
Per lo scoiattolo Iddio è scoiattolo. Non si può escire da sé stessi, pena il non-èssere.
*
Papaveri & papere - L'insegnante che insegna Storia & Filosofia è simile all'insegnante che insegnasse Puericoltura & Astronomìa. Che rapporto può mai intercòrrere tra la Storia e la Filosofia? E' pur vero che si potrebbe obiettare che tutto si può relazionare a tutto, come le mònadi fra loro o come i papàveri alti, alti, alti alle pàpere piccoline (1). E pur vero che si potrebbe rilevare che Storia e Filosofìa sono segnate da una comune tendenza al Nulla: nullo è il significato degli accadimenti stòrici, sottoposti alla dittatura del Caso, e nullo è quello dei ragionari filosòfici, che vòrticano su sé stessi fino a svuotarsi dei significati da cui sono stati incautamente ingenerati e giustificati... Ma allora tanto vale che ai nostri diletti boys i prof di Storia & Filosofìa insègnino Puericoltura & Astronomìa.
(1) Così fècero, correndo l'anno 1952 di N.S., gli aedi Mario Panzeri e Nino Rastelli con il mùsico Vittorio Mascheroni nell'òpera vocale intitolata "Papàveri e pàpere", che riscosse il più felice e plebiscitario e non ancora esaurito consenso di pùbblico e di crìtica fin dal primo suo apparire alla Saga liederìstica di San Remo, nel summentovato anno.

 *
Ci sono giorni, sovr'a tutto nel corso delle festività natalizie, che è più problemàtico crèdere nell'esistenza dell'uomo che in quella della Befana.
*
Per prima l'aveva capito la "Romantik": l'uomo si commuove più nell'attesa del responso di un'intuizione che nel possesso di una certezza acquisita.
*
Fra Ragione e Fede non c'è differenza o contrapposizione nel partorire entrambe infinita attesa.

Provo orrore all'ipòtesi che la nostra sorte possa èssere insolubilmente condizionata dall'orgoglio, sì da preclùdersi i mari per finire soffocata nella fossa di quel sentimento morboso e scheletrito. Rècita un antico proverbio toscano: "Ad orgoglio non mancherà mai cordoglio". 
 *
   I pòpoli sono diversi gli uni dagli altri, come le religioni. Non c'è un modello assoluto di uomo, non di Dio.
*
La tanto vantata coscienza dei nostri gravi e naturali limiti non ci fa più umani, o intelligenti. etc... Semplicemente prendiamo atto di quanta poca cosa siamo: e tali restiamo. Da taluno si potrebbe obiettare: "Tanto varrebbe allora tacitare, anzi stordire, una coscienza ostile ad un tolleràbile ménage con ciò che in realtà siamo". D'accordo, la coscienza ci gioca da mane a sera tiri mancini. Diffidiàmone assai, di questo tòssico dèmone.
*
Peccato
 I) - E' più intenso e profondo piacere il pentirsi che il peccare. Ma è pur vero che senza il secondo non si darebbe il primo.
*
II) - Molti peccatori crèdono in un Dio da cui, se pregato con senso di sincero pentimento, sono mondati. E non una sola volta, ma quante sono le volte peccaminose e i pentimenti. Che dire? Fortunato chi da madre natura è stato dotato non soltanto della fantasìa di peccare ma anche della correlata facoltà di pentirsi.
*
III) - Si pecca in relazione ai diversi costumi, tempi e luoghi. Ne tèngano il dèbito conto i portieri dell'Inferno e del Paradiso.
 *
 IV) Chi è senza peccato non scagli la prima pietra. Se ne stia per conto suo, nell'abbacinato mondo dell'innocenza, e lasci che i peccatori pècchino in santa pace: finché ne avranno voglia ed agio. Peccare è umano, e perseverare sovrumano (nell'accezione o significato di un eroismo che lambisce il prometeico, l'utopìa e su su, magari financo il corrusco cielo delle stelle fisse). Così sia.
 *
V) J'adore pe^cher (1) et pécher.
   (1) La mia grave imperizia manuale circa l'universo tecnològico che ànima il computer fa sì che io non sappia collocare l'imprescindìbile accento circonflesso in coppa alla prima "e" di "pecher", con la conseguenza che questo motto gàllico siffattamente alterato risulta all'esegesi dell'amàbile lettore (e/o amabilìssima lettrice) affatto òstico, rebussìstico, quasi esotèrico, pressoché inaccessìbile.
*
   Non è la lama della ragione a tagliare dilemmi, dubbi, aporìe, etc... E' la vellutata  scure del sonno.
*
L'Uno è totalità, non solitùdine. La quale inizia dal due.
*
Da Cartesio a Freud: dall'ascesa dell'Io verso la vetta del mondo alla discesa dell'Io nei baratri dell'inconscio. Che peccato!
*
Ogni giudizio di valore è opinàbile, ma perfetto è ogni gusto. Non affaticarti a giudicare, affìdati al gusto. Il tempo è poco: il giudizio s'invecchia e passa ma il frutto del gusto si depone nello scrigno della memoria più a lungo: talvolta per sempre.
 *
Sovente non possiamo non ammirare coloro che òffrono dell'uomo e del mondo una concezione ottimìstica, diciamo "leibniziana". E' gente serena e sorridente, con la quale è raro che la conversazione incontri incagli o spuntoni. Non di meno non posso non constatare come l'ottimismo rappresenti la precipua qualità coltivata dalla stupidità. Nei cui confronti mi guardo bene dal nutrire uno sciocco sentimento di sufficienza, semmai d'inquieto timore.
 *
... malincònica come una quarta napoletana.
*
Il Caso sarebbe un fallimento se decidesse che cosa ci debba accadere. Ma se non lo decide in quanto Caso, che cos'è il Caso in rapporto a noi? Dove risiede la sua terrìfica potenza? Il Caso al servizio del Caso?.. Non se n'esce.
*
Tennisti e raccattapalle. Amorèvoli intese.
*
 Mai fosse realizzàbile un'architettura del "Gotico" arrovesciato, le cui guglie s'interràssero fino a sortire dall'altra parte del mondo quali pungiglioni fatali!
*
L'allampanato folle bramiva con euforìa disfrenata: "La Natura m'ha voluto asessuato, ebbene sì, e questo stato m'imparenta a li superni àgnoli!".
 *
Gran panegìrico in lode della birra - Si spende l'intera vita a trovare una propria collocazione. E non si consìdera che non v'ha altra collocazione che nell'indistinta unità dell'universo èssere. Bèviti una birra, o uomo, e chètati.
*
  Stamani mi sono imbattuto per via in un signore sulla sessantina che parlava da solo. Mi sono fermato ad osservarlo mentre mi dimandavo incuriosito se fosse affetto da un disturbo nervoso o se avesse raggiunto la consapevolezza della perfetta inutilità degli altri.
*
Succede che il paradosso sia una sottile ritrosìa della disperazione.
 *
Il racconto più bello che ho sino ad oggi raccolto me lo regalò Alda Merini, una mattina che andai a trovarla a Milano, nel suo arruffato appartamentino sul Naviglio. Dai 27 ai 39 anni aveva soggiornato nell'ospedale psichiàtrico "Paolo Pini". "Facevo la cameriera e portavo il caffé a chi faceva l'amore". S'innamorò di un malato, e anche lui provò un èmpito per lei. Volèvano amarsi ma non gli erano concessi spazi. Alda bussò alla porta del direttore del nosocomio, una persona intelligente,  e supplicò un permesso d'uscita per sé e per quell'uomo stento e dolce. Le fu accordato. Un pomeriggio d'inverno i due èsseri, mano nella mano, aprìrono il cancello dell'ospedale e vagàrono per le vie brumose della città, senza sapere dove dirigersi, stupefatti dell'accadimento, incrèduli a se stessi. Trovàrono una pensione, salìrono in camera. L'una di fronte all'altro, si guardarono. D'improvviso si prèsero per mano e scesero le scale. E tornàrono a "casa" felici.
Non conosco amore più vero.

*
L'intelligenza, ossia il penetrare nell'intimità delle cose, è "depravazione". L'intelligenza è vivisezione, triturare una rosa per carpirne il presunto segreto. L'intelligenza è idiozìa.
*
Siamo disposti a riconòscere i nostri torti, anzi talvolta ce li inventiamo di sana pianta, se abbiamo di fronte chi si mostra bendisposto ad aggiùngere alla comprensione e alla giustificazione la consolazione.
*
Disperso in un buio recesso del cosmo non solo t'affanni ad operare come se quest'operare non fosse un inavvertito nulla, ma a testimoni della tua òpera invochi stelle e Dei, come se le prime se ne potèssero commuovere, ed innamoràrsene i secondi.
 *
 Se non vuoi còrrere il rischio che perda la sua fràgile freschezza, il sentimento consèrvalo nel congelatore, ed all'uopo, quando non hai altro da mangiare, cucìnalo con molte spezie e accompàgnalo con molti contorni, affinché non prenda quel sapore scialbo di baccalà senza sale.
*
Mi hanno insegnato Schopenhauer e la mia esperienza che la vita altro non è che una successione di speranze mancate, fiorite e sfiorite in un mondo per lo più segnato dai bisogni inappagati, dalla caducità dei valori, dall'indigenza dei pòpoli, dalle malattìe e dalle sofferenze, dalle guerre, dalla sorte avversa, da una tràgica stupidità e, in fine, dalla morte (il male minore). Mi ha insegnato Schopenhauer che l'ùnico e flèbile conforto di cui posso talvolta giovarmi consiste nell'osservare colui che sta peggio di me (da qui l'interesse affannoso, mascherato di pieta, della gente per le altrui disgrazie: disgrazie che colpìscono il sìngolo, non la massa, poiché l'uomo sobbalza per il grave incidente subito dalla vicina della porta accanto, non per la morte sotto le macerie di mille o duemila persone vìttime di un terremoto in rimota terra: tragedia che lascia quell'uomo sostanzialmente indifferente, al di là di una genèrica espressione di fuggèvole stupore. Ben più atroce afflizione scombussolerebbe lo core suo il defùngere del proprio gatto, o cane, o financo canarino).
*
 "Intorno ad ogni oggetto possiamo fare due ragionamenti contrapposti", così diceva Protagora. In base a quanto asseriva non ci è possìbile stabilire se avesse ragione o torto.
*
"La convinzione è una prigione". (Nietzsche)
 * 
 Generazioni - La salvezza vive grazie al pentimento, ch'è vissuto grazie al peccato. S'onòrino i nonni.
 *
Un ponderoso libro di psicologìa non potrà mai scandagliare la profondità del tuo "io" quanto uno sguardo, sia pur fugace, ben assestato.
*
Si taccia per sempre sul "non-èssere" se non si vuole che pure lui disgraziatamente sia, così da non èssere più ciò che felicemente era.
*
Non è sufficiente saziarsi, dissetarsi, acculturarsi; non basta amare e odiare; non basta votarsi all'arte, alla polìtica, alla scienza, alla religione... Non basta la vita.
*
La vita non basta all'uomo? No. E' l'uomo che non basta alla vita.
 *
 Sbaglia di grosso chi confida a qualcheduno i propri sentimenti vagheggiando di conseguirne una vìvida, balsàmica solidarietà: come se l'imbarazzato ascoltatore fosse in grado (o gli pungesse incauta vaghezza) di rapportarsi, in virtù d'inattendìbili empatìe, ad imbarazzosi sentimenti che non lo sfiòrano punto.
Con siffatta considerazioncella vuolsi significare: fàcciasi ognuno li sentimenti sua.

*
Poesiuola in tre quinari sviluppata di sfuggita su uno fra gli innùmeri bùssi capitolini che lambìscono o intèrsecano la fulgidezza della Basìlica di San Pietro: la sacra epifanìa destando nei forestieri sporti a' finestrini sinfonìa di sospiri estàtici, tourbillon di fremitanti ooh!.
Chi ha la fede
e chi non ce l'ha.
Differenza fà?

 *
Nelle ore più notturne le idiozie acquistano una loro dignità.
 *
 Ribòboli di contraddizionologìa.
La contraddizione è coerente nella misura in cui essa stessa si contraddice. Ossia, è vero asserire che la contraddizione non è nelle cose ma nella limitatezza del pensiero che le coglie, ma è parimenti vero asserire che la contraddizione non appartiene al pensiero che si lìmita a prènderne atto ma alle cose che sono sostanziate d'un nùmero incalcolàbile di sfaccettature. E' vero che io mi contraddico, ma è parimenti vero che questo è l'atto egoìstico che io compio infischiàndomene altamente che di conseguenza la contraddizione non può contraddire sé stessa.

 *
Tutto ci è stato sottratto dalla cieca nequizia della Storia recente, tutto. A' bei tempi, potevamo permètterci, oltre l'appartamento di proprietà, la villetta al mare e/o a' monti, due autovetture, teatro o cìnema settimanali, week-kend, natali e capodanni irrorati dalla sciampagna, e financo compiaciuta  alienazione e disperazione metafìsica.
*
Benèfica purga ti sia il discrèdito da cui sei colpito.
*
Vediamo crollare ogni giorno l'inconsistente impalcatura degl'ideali sopra le pur modeste scosse dell'esistenza. E l'uomo, sciocco qual è, si dispera per il crollo e, come bambino capriccioso e piagnucoloso, corre ogni mattina a ricostruire l'impalcatura.
*
Ogni sentimento quando cade suona come una moneta falsa.
*

 Il perdono: un parassita che vive a rimorchio della colpa.
*
Bene e Utile coincìdono.
*
La cultura più dell'ignoranza può scatenare insanàbili squilibri in uno spìrito sereno.
*
Ambizione alquanto spropositata - Se non fosse che già sono, allora sì che sarei! 

*
Siamo attori che rècitano una parte per nascòndere la propria inesistenza.

*
Chi fa e chi disfa sono al paro colpèvoli.
*

Non conosco coppia più affiatata di quella composta da èssere umano ed animale. 
*
  Non v'ha necessità di lèggere o studiare mille libri per èssere "colti". Basta lèggerne o studiarne uno, in profondità. Così come non v'ha necessità d'amare mille donne per sapere che cosa sia l'amore. Basta amarne una sola, e in superficie.
*
Il sapere è memoria, la cultura è èssere. La vita è ignoranza (a pochi privilegiati riservata: vuoi l'una vuoi l'altra).
*
 Il "Tutto" è francamente troppo. Basta il "Nulla".
*
 L'analfabetismo di ritorno è un'ascesi apologètica, una goduria da sbocconcellar poco a poco.
 *
... s'avanzava con fiera allure una giòvane donna, d'una bellezza che avresti detto inadempiuta come un bacio non schiuso...
 * 
Gli auguravo d'èssere ciò che si credeva d'èssere, poiché se fosse stato ciò che io pensavo che fosse avrebbe avuto bisogno del sostegno di un'affettuosa tolleranza (a celare un'insopprimìbile commiserazione).
*
Dato per buono che la funzione crea l'òrgano, ne deduciamo che l'òrgano creò Bach.
 *
 Credo che il sonno di cui l'uomo gode sia il frutto di un atto di contrizione e di ricompensa della Natura nei confronti di chi è stato da lei sì spicciativamente creato.
*
L'insoddisfazione non è frutto di una carenza, ma di un eccesso.
 *
 "Non giudicare se non vuoi èssere giudicato". Affermazione morale d'intolleràbile grettezza. Sarebbe come dire "Non rubare se non vuoi èssere derubato". Ma io non rubo perché non sono un deliquente, non perché voglio assicurarmi le mie cose.
*.
Preferìbile l'affaticata sera all'operoso mattino quando la gente ha energìe fresche ed irresponsàbili da mèttere in campo.
*
"Simia quam similis, turpissima, nobis!", "Quanto ci somiglia la scimmia, il più brutto tra gli animali"! (Ennio, citato da Cicerone, ripreso da Montaigne).
 *
  Il concetto di "responsabilità" è un meschino e miserando tentativo dell'uomo di negare il Caso.
 *
 Se affermo: "Non esiste nulla", intendo che, per quanto m'affanni e m'incaponisca a cercare, regna intorno a me il vuoto totale, ed io stesso altro non sono che uno spiacentìssimo buco nero senza sponda o qualsivoglia orlo. Ma se affermo "Non esiste il nulla" intendo che, par consequence, esiste il tutto: proprio tutto. Ebbene, ora so che con la leva di un ùmile artìcolo determinativo ("il") posso sollevare l'universo e proiettarlo verso la corrusca consacrazione della più numinosa ed imperitura essenza, oppure scaraventarlo nella perniciosa màcina di una caliginosa dissoluzione, di una nullificazione quanto più immisericorde sia dato concepire... L'avresti mai opinato che la presenza o l'assenza di "il" avesse il carisma e la possa di condizionare sì contrapposte e assolute concezioni ontològiche? Proprio vero, nella vita le sorprese non finìscono mai (1).
     (1) il tono non vuol èssere de' più seri.

*
"Diem perdidi". More solito.
 *
 Quale scienziato o chansonnier o alchimista saprà inventare la connessione fra le parole e gli oggetti cui quelle aspìrano a riferirsi?
*
Intorno alla salvaguardia degli equilibri - Si confà al ricco, ove gli garbi, sovvenire al pòvero, purché non metta a rischio la propria ricchezza e la povertà di quello.
*
La frase banale detta da una illustre personalità vale assai più della stessa frase detta da un comune mortale poiché quella vive di rèndita, protetta da un marchio di fàbbrica.
*
Per ritrovare il necessario senso della misura, e in modo specìfico, della modestia, commisto ad un espiatorio sentimento del ridìcolo, interròmpere qualunque pensiero, detto od azione in atto, còrrere senza frapporre indugio a casa, od anche in una qualsìasi toilette (d'ufficio, negozio, stazione, etc... ma la donna può tout court aprire la borsetta), e guardarsi la faccia allo specchio. Maraviglioso lassativo!
 *
  Della vita, su cui noi a cuor leggero si salta su e bene o male si va, non ci è dato conòscere l'immane motore, che notoriamente ad Aristotele piacque, in due contesti (nei libri della "Fìsica" e della "Metafìsica"), ritenere "immòbile". Purtroppo tale "immobilità" sembra talvolta bloccare la nostra stessa esistenza per lasciarci il tempo di cadere nella vacuità della riflessione. (Non ci si può fidare di niente e di nessuno).
*
Lo spìrito dell'ottimista prima o poi diviene adiposo. Non è un bel vedere.
*
 Appropriarsi di Nietzsche è stata l'operazione più spericolata, spettacolare e geniale compiuta dalla cultura marxista e di sinistra nel secondo Novecento. (Nell'itàlico recinto quella stessa cultura - sezione letteraria - non ha saputo còmpiere un'operazione anàloga nei confronti di D'Annunzio, ùnico scrittore italiano di livello europeo della Decadenza).
*
Per un uso quasi appropriato della punteggiatura.
La virgola (,) è un salvìfico "levare" nel "bàttere" martellante del vìvere. I due punti (:) inquietano dato che preannùnziano ciò che ancora s'ignora, mentre il punto e vìrgola (;) rasserènano poiché dànno modo di respirare, una boccata d'aria, mìnima ma benemerente pausa. I puntini sospensivi (...) sono da usare con gran riguardo essendo che sospìngono il crudo vero a dipanarsi in un'àura blàndula di trascoloramento, di frale elegìa, d'avvenire indeterminato: si badi in oltre che essi di norma sono tre ma, ove dimandi una sottolineatura della sospensione, pòssono anche aumentare virtuosisticamente a quattro (....). Il punto (.) dà il senso della cessazione, che è comunque un bene nella mancanza del meglio e nella minaccia del peggio. Punti esclamativi (!) e interrogativi (?) sìano adoprati solo in privato, in commossi diari affatto secreti che nessuno mai incapperà nella jattura di lèggere, ché altrimenti interrogativi ed esclamativi sono robe da feuilleton - una Liala, metti, docet.

 *
Tolleranza - Se per respìngere la persona intollerante divento a mia volta intollerante, perché mai un tollerante dovrebbe tollerarmi? Vero è che nel momento stesso che il tollerante a sua volta non mi tollerasse diverrebbe ipso facto intollerante anch'egli. Dunque il tollerante deve, per principio, e per fede nella tolleranza, tollerare anche l'intollerante lasciando così prevalere il male sul bene. Ma la tolleranza che fa vìncere il negativo sul positivo diviene, riguardo agli effetti prodotti, anàloga all'intolleranza. Non si distìnguono più l'una dall'altra: la tolleranza si sottomette all'intolleranza, egoisticamente, pur di sopravvìvere, di salvare se stessa, la propria coerenza. Come a dire: "Io voglio èssere tollerante ad ogni costo, anche a costo d'accettare l'intollerante che, grazie alla mia tolleranza nei suoi confronti, m'impedisce di praticarla". Una soluzione praticàbile potrebbe èsser quella di praticare una stretta intolleranza perché la tolleranza ognora trionfi.
*
Sentenziò l'estetista dall'alto della sua esperienza: "La rinuncia rassoda e il volto scatena fulgori". La signora avvertì un brìvido di goduria.
*
 La fantasìa non è sì tempestiva da porre un àrgine all'esistenza.
*
Donnesco insulto al biasimèvole partner - Quando cammino guardo per terra non già per residua verecondia ma per non calpestarti, adorato mio verme.
*
Revisionismo femminìstico - Vale la pena che una donna infici irreparabilmente la propria bellezza per immolarsi all'eròica, disperata coltivazione dell'intelligenza.
*
Dimandò il padre al figliuolo: "Sei buono?". Rispose il figliuolo: "Sì, a nulla".
Il diàlogo, sia pur nella paradimmàtica concisione, ambisce a mostrare come perigliosamente capriolèggino i significati, vìttime ab origine del grande equìvoco linguìstico.

*
Noi si pretende d'èssere "uomini" anziché tenerci per cose. Peggio per noi. Ma almeno non lamentiàmoci della sporta di guai che tale illògica presunzione comporta. Rècita un proverbio eschimese risalente al dicottèsimo sècolo a.C. : "Chi è càusa del proprio mal ha da piàgnere sé medèsimo" (conseguenza affatto disaggradèvole, considerando che la làgrima lassù si ghiaccia immantinente allo sgorgo, e ognuno di noi non avrà malagevolezza nell'intuire i seri guai cui va incontro la miseranda e solcanda gota).
*
Il desiderio più spesso s'imbatte nella delusione che nell'appagamento poiché le cose che desideriamo non se ne stanno immòbili in attesa di noi, come avvinazzate fràgole esposte sul banco del mercato, ma sono cose agganciate ad una giostra sì vorticosa da fàrcele parere ferme: tali che indarno vi avremo proteso la mano.
 *
 Non temere il futuro, ch'è muto e appartato, ma il passato, che non ha saputo insegnarti nulla.
*
L'ansia di possesso induce a preferire la delusione all'aspettativa.
*
 Sentimentalismo in agguato, non ostante l'anticipazione del tèrmine di paragone.
Ogni uomo, tra miliardi di uòmini, òccupa tutto lo spazio del mondo, come ogni figlio, tra dieci figli, òccupa tutto il cuore di una madre.

*
Se non vai per timore della meta mèttiti ad ondulare.
*
 Un minùzzolo di bon ton vorrebbe consigliare il nostro pensiero di non dar voce alla schietta valutazione circa lo stato del presente in cui siamo calati, più o meno vivacchiando qua e là. Forse potrebbe, metti, un adolescenziale Quartetto per archi di Mozart recare uno squarcio di sereno, pur a ridosso del borboglìo dei tuoni, al nostro spìrito disertato, alla nostra ànima scorbacchiata, al nostro sentimento gramato, ai nostri nervi impaturgnati, alla nostra ragione annichilata, al nostro ormai vendemmiato "io"? Forse no; il corrompimento di questo stare nel mondo divora sul nàscere ogni tentativo fantàstico di ripararsi e sfuggirgli.
*
 Risorgimento I)  - Risorgeremo? Non lo si può esclùdere in assoluto. Certo è che prima dovremmo nàscere. 
*
Risorgimento II)  - Risorgeremo. Se sarà un bene dipende da ciò che ci attenderà risorti (le religioni dànno qui  prospettive diverse). Se sarà pura èstasi non farà per me, o se farà per me vorrà dire che non sarò più io e che quindi ad èsser risorto sarà un altro da me. Se sarà una mistione d'alta spiritualità e di benèvoli tracce terrene potrebbe trovare un mio ùmile consentimento. Se poi fosse l'esatto rovescio della mia vita debbo ammèttere che non vedo l'ora di risòrgere.
*.
L'ìnclito padre dell'egoismo è la virtù.
*
 Geloso è chi paventa che la felicità in qualche modo, in qualche parte, esista. 


Schiavismo - Ai loro tempi gli Apòstoli e per lunga pezza i Padri della Chiesa rigèttano in modo fermo e categòrico il concetto di schiavitù espresso dal pensiero greco (aristotèlico) e romano: non è lècito che l'uomo sia "schiavo del peccato" - al più, lo può èssere di un altro uomo (dominus). Se quest'altro uomo lìbero è, in aggiunta, timorato di Dio, ovvero illuminato da cristiani principi, allora lo schiavo è oggettivamente un privilegiato rispetto ad un collega, metti, sottoposto a boss pagano. In altri tèrmini: meglio per l'uomo èssere schiavo cristiano che lìbero cittadino agnostico, o ateo, o - Dio ne scampi - erètico. La morale tratteggiata dai summentovati Apòstoli e Padri circa il problema in questione potrebbe èsser siffattamente sintetizzata: caritatèvole sia il padrone, sottomesso sia il servo (o anche serva, all'uopo).

II) E' meno schiavo colui ch'è schiavo di qualcuno di colui che lo è di se stesso. 
*
Quanto più avrai sottratto al vìvere tanto più il restante lo vivrai intensamente. Come un'immàgine cui si faccia il vuoto d'intorno affinché possa èssere ingrandita.
*
Il mondo immaginario è parallelo a quello sensìbile. Viviamo traslocando senza sosta i dati dall'uno all'altro, mescolando fantasìa e realtà. E chi crede che vero sia l'uno e chi l'altro. Nessuno dei due, ma l'uno e l'altro insieme, in un mutuo impasto di cui ignoriamo il dosaggio degli ingredienti.
 *
Il piacere è debitore del peccato come il guercio degli occhiali.
 *
 Aumento dei prezzi.
"Per una pera ho dato il culo".
(Scritta a spray a caràtteri cubitali sul muro di una casa popolare in periferìa, a tìtolo maudit).
E, quasi sovvenente glossa, seguiva sotto altra scritta a tìtolo parenètico:
"Meno pere, più mele".
*
Venezia da mane a sera e da sera a mane pare un grande stantuffo della còpula: sì che di sospiri echèggiano ogni bìfora e trìfora e di gèmiti trèmolano fin le mura. Qui Cupido dalle riarse gote ha convocato il mondo.
*
Il vario e cangiante apprezzare e dispregiare le cose del mondo è correlato all'età: dei soggetti e degli oggetti.
*
Bella donna, diva sublime mai compìrono atto più narcisìstico di quello che compie l'intelligenza nell'astenersi dal giudicare.
 *
  Affermava Spinoza che la bellezza non è una qualità dell'oggetto considerato ma un effetto che ha orìgine in colui che consìdera quell'oggetto. Ciò vale in arte ed in natura. Anzi, vale in tutto. Non esiste l'oggetto tout-court al di fuori del soggetto che lo contempla. Anzi, non esiste la realtà che definiamo "oggettiva" al di fuori dell'uomo. Lo asserìrono notoriamente gli Idealisti tedeschi, così provocando un casino tremendìssimo e gettando l'uomo moderno in una disperazione immedicàbile una volta che questi s'avvide che il suo "io" non era in grado di partorire e svezzare la realtà, l'oggetto, la bellezza di cui sopra...
*
"Nulla è più raro al mondo che una persona abitualmente sopportabile" (Leopardi).
*
Lou Salome, com'è possìbile che non l'àbbiano durevolmente appagata sotto il profilo sentimentale uomini come Paul Ree, Nietzsche, Freud, Rilke. E costoro chi sa quale sorta di diàvola colsero in lei. A tacere di Alma Mahler, che ebbe avvinti a se uòmini come Mahler, Walter Gropius, Franz Werfel, Kokoschka, Zemlinsky... Donne arcane, e sulfuree, dallo sguardo incontinente e dal cervello gorgogliante, invasate da un erotismo menadìstico e da una dolcezza pànica... O forse segretamente negate al sesso barbuto.
*
Quelq’un a dit que l’histoire de l’homme et de Dieu est l’histoire d’une déception réciproque
 *
Come la cocciniglia le piante, i significati infèttano le sfumature.
*
Assenza e presenza coincìdono. D'altronde la legge che regge l'universo non è quella dialettica della contrapposizione ma della coincidenza.
 *
E' dimostrato dall'esperienza comune che in parecchie circostanze lo strumento più agèvole e ràpido a conquistare per breve tempo la felicità, bene supremo, è una fiorente e cieca stupidità, che s'opponga alla ragione.
*
Bizzarro che si possa èsser in uno ignòbili nazisti e anime di miràbile respiro: Martin Heidegger.
 *
 Ottimismo ad ogni costo."Nemo ita pauper vivit, quam pauper natus est" (P. Siro).
 *
Notavo una signora ferma davanti ad una vetrina: pareva interessata agli oggetti esposti, ma in realtà guardava sé stessa riflessa nel vetro. Non differentemente si compòrtano gli èsseri umani di fronte alla virtù.
*
Siamo tirati giù nel fango, a cercare accomodamenti per vìvere, noi che credevamo di salire alle vette non sapendo che vita è materia temìbile.
 *
Capodanno - Si comùnica che è in arrivo l'ennèsimo "anno nuovo". Non è a crederci. E' sempre lo stesso, che ogni volta riciccia dalle proprie cèneri. Che penuria di mezzi, il tempo!
*
 Il tempo non esiste, giacché s'esistesse il suo divenire non avrebbe meta: sarebbe un mero ghirigoro. E chi ignora che i ghirigori sono solo fantàsime dell'io, nuvole indolenti che staziònano su quanto ci manca?
*
In vero, non possiamo lamentarci: il destino toccato a noi èsseri viventi è tutto sommato accettàbile. Pensa te se, anzichè una vita fuggevolìssima e una morte eterna, il destino c'avesse inflitto una vita eterna con la parèntesi di una morte fugacìssima.
*
La miseria manca di spìrito.
 *
Delle quattro stagioni la primavera è la più sùbdola. Come una vecchia cocotte rifatta.
*
Ci sono persone legate le une alle altre come vagoni di un treno in corsa; altre come nùvole che il vento allontana o avvicina, di volta in volta, secondo il Caso inclina.
*
 C'imbattiamo in numerose espressioni volte al compiacimento e all'esaltazione dei buoni sentimenti, soprattutto nei confronti di coloro in cui si vuol rafforzare la stima e gli affetti. E' un mondo melòdico e gommoso, dalle rosee nuances, dai sapori lievi e soavi, un mondo senza dissensi o dubbianze, tutto fiducia e certezze - l'àngolo sostituito all'uopo dalla paràbola, la vetta dalla collina. Un dubbio allora sorge e tòrnano a mente le parole del Leopardi: "Il mondo è, come le donne, di chi lo seduce, gode di lui, e lo calpesta".
*
Che insoffrìbile monotonìa il susseguirsi ossessivo delle stagioni, e più ancora dei giorni e delle notti, e delle ore, e delle cose che si càmbiano d'àbito ma rèstano sempre le stesse, due o tre, e degli uòmini che se ne hai visto uno li hai visti tutti. Che triste monotonìa il pensare, e sovratutto il crèdere, e in cima il dubitare stesso e il suo inevitàbile sbocco nel silenzio... Che monotonìa tutto ciò, definito da taluni "perpetuità".
*
Lavora sotterra l'ormone, sì che cinguetti il fringuellin d'in su la fronda.
*
 Avvertivo un amico che mi aveva fraternamente aiutato in un frangente problemàtico della mia vita: "Bada che la riconoscenza, che pur ti debbo, è un sentimento egoìstico, che ricatta il destinatario, ancor più di quanto il beneficio del benefattore abbia dapprima ricattato il benefic(i)ato".
*
L'inferno? Vi precìpiti nel momento stesso in cui conosci te stesso...
*
La fuga da sé. Crèdimi: è una gran balla il motto scritto a lèttere d'oro dai sette Sapienti nel Tempio d'Apollo a Delfo, che i latini tradussero dipoi con "Nosce te ipsum". A conòscerti ci rimetti in autostima, sei in(n)ondato da un ferale sentimento di scoramento, svelto (1) da un subisso insofferìbile di delusioni (bocconi dei più amari), ti si rivèlano come ingannatori i prischi e aggraziati complimenti materni e le fiere aspettative paterne, ti rimpicciolisci nella statura, ti si rimprosciuttisce il cor, rinculi verso desolate plaghe scèttiche o cìniche mentre vieppiù da te s'allontanano gli olezzanti verzieri dell'ottimismo democriteo, ed ecco che piagni perdutamente, piagni su il latte che la vacca dell'ambizione non t'ha versato... Basta! Làsciati pèrdere, fuggi & rifuggi da te come da un Sàtana mascherato da ritondetto àgnolo canterino o zufolante, ignòrati e semmai sbeffèggiati all'uopo, irridi a come ti rimanda l'imago lo specchio mendacissimo, tramortìsciti prima che taluno ti porga il càmice, il tàvolo e le pinze asèttiche del vivisezionatore, e accoppa immantinente Herr Freud la cui libido bramerebbe turlupinarti circa la natura del tuo vero e imo e ascoso èssere... Dài, attingi i cessati spìriti prima di conòscere te stesso - C'est à dire: trapassa prima di trapassarti.
   (1) part. pas. di svèllere: di raro uso e talvolta fin riprovevole ne' più schietti e fami(g)liari conversari

*
 Ci sono nature redente dal pentimento. Tuttavìa ha insegnato Feuerbach che altre soltanto il peccato redime.
*
"Tu biàsimi i miei difetti? Miseràbile pedante! Se mi togli i miei errori mi togli anche le mie virtù". (Feuerbach)
*
Brusco il salto ma di natura consequenziale. Mi confida un amico: "Non credo nell'uomo, ergo non voto".
*
Memoranda e spassionata considerazione di un'avvenente odontoiatra meneghina: "Meglio un sorriso senza denti che denti senza sorriso".
*
Impieghiamo il tempo della vita che ci è dato nell'eroico esperimento d'elevare una diga al corso del tempo.
*
Domanda rettòrica a stomaco vuoto - Saremmo pronti a mètter una mano sul foco che corra una madornale e sostanziale differenza d'eccellenza gastronòmica fra l'imbandigione squisitamente ammannita, eb(b)ra di spezie & aromi rari, firmata dal funambòlico chef de cuisine (altrimenti detto arcicuoco), e la vivanda fumigante recata quasi allo stato pànico sul trèpido dèsco fami(g)liare dall'amorevolezza àlacre (od anche alàcre) della donna di casa?
*
Chi è sì buono d'ànimo da èsser disposto a subire per l'eterno tutte le pene dell'inferno pur di non rinunciare all'esercizio della propria bontà?
 * 
Non scègliere. Non crèdere che tu non possa non scègliere. Vedrai che le cose s'elìdono da sole, l'une coll'altre: l'universo è da sempre così conformato. Rèstane spettatore, ricolmo d'atarassìa.
*
Protestava l'innamorato alla sua amata: "Se non verrai tu da me verrò io a me stesso".
*
A volte le pìccole distanze sono incolmàbili; altre volte sono incolmàbili le contiguità; e ancora, può capitare che siano incolmàbili le stesse compresenze. L'altro da te, soggetto affatto passivo a tal riguardo, è più o meno distante da te quanto decide il tuo spìrito. Basta accontentarsi della solitùdine ineliminàbile nella quale vive il tuo "io" che crea o, meglio, si finge la realtà e, in essa, cose e uòmini, lontananze e vicinanze.
 *
 "Quod non vetat lex, hoc vetat pudor", dice Seneca, che se l'avesse detto nell'ìtala favella avrebbe detto così: "Ciò che non vieta la legge può èssere che tante volte lo vieti il pudore".
*
Sia tollerato il dissoluto pronto a sfidare il Destino in mare aperto, ma non il peccatore che scaricherà il fardello dei suoi peccati sulle spalle del pentimento.
 *
 Sono innumerèvoli i nomi che definìscono e catàlogano la gran varietà dei sentimenti, ma quei sentimenti che in concreto provi nel profondo del cuore sono così amalgamati che a distìnguerli risulterèbbero ermètici frantumi: o fuochi fatui.
*
D'estate la donna mostra per via il corpo flessuoso. Poi d'inverno siede, e aspetta che l'uomo, ancora accalorato, le fòrmuli convenienti proposte.
 *
 Me ne stavo rincasando nottetempo - quasi sul principiar d'un nubiloso albore. Camminavo sul marciapiede del viale alberato, affatto vòto di romori, bussi et ànime, quando scorsi da lungi un distinto signore d'età, barba bigia e bastone, che s'avanzava assorto in direzione contraria alla mia. Eravamo omai quasi affiancati che lui tout à coup s'arrestò: prendette pel bàvero l'universo mondo e con piglio esasperato gli urlò: "Ma tu, che cazzo vuoli da me?".
 *
A tal punto sospetto di me stesso che alla mia immagine riflessa nello specchio per prudenza dò del Lei.
 *
Perché mai dev'èsser sì breve il tempo della soddisfazione per un dolore cessato? (à propos de une dent arrachée).
*
Cantari - Usa l'uomo cantar la sera col soprano, la donna la mattina col gallo.
*
L'intelligenza è un contenitore. La capienza del contenitore non è detto che sia la misura dell'intelligenza
*.
Sono andato al cìnema. Ho pagato il biglietto d'entrata caro e salato. E nell'atto di sottrarre al mio esangue borsellino dimolti e sudati euro mi ricordavo che in Grecia nell'età di Pericle era lo Stato che pagava il biglietto ai cittadini affinché l'ànimo loro divenisse, attraverso la catarsi, vie(p)più armonioso e tornito. Una commissione di cinque giùdici sceglieva gli spettàcoli e tuttavìa quel competente giudizio era saldamente fondato sul gusto insindacàbile de' fortunati cittadini. Gli autori più gettonati nel V sècolo èrano Eschilo, Sofocle ed Euripide. A me mi piace sovr'a tutti il primo, sebbene lo legga assai raramente: diciamo quasi mai.
*
Variazioni in "r" sul termine rimpròvero.
Rimbrotto, richiamo, ramanzina,
rabbuffo, requisitoria, reprimenda,
riprensione, risciacquata, ripassata,
rimenata, rampogna, rampognamento,
rinfaccio, rinfacciamento, raffaccio,
redarguizione...

*
Besciamella in "c", ovvero All's well that ends well - Dal crudo cozzo de' contrasti conseguì 'na besciamella che sui contrapposti cuori colò, e di due uno ne compì.
*
Il pedaggio che il concetto di "universalità" deve pagare affinché assuma un mìnimo significato è l'astrazione.
 *
Che cosa mai, se non lo stato della nostra salute psicofìsica, contribuisce a determinare i nostri più profondi "credo"? Abbiamo un'anima, sì, ma è ànima animale (sia tollerato il bisticcio, ma "ànima" e "animale" hanno la medèsima radice: dal sànscrito "àniti", greco "ànemos").

 Il Caso ci ha fatti come le gocce di colore che Pollock faceva cadere dall'alto sulla tela, affidàndosi alla sorte. I suoi quadri sono capolavori. Noi no.
*
Forse è meschino ammètterlo, ma come negarlo? I dolori e i piacere del fìsico sono più gagliardi, decisivi ed estremi dei piaceri e dei dolori dello spìrito. Forse perché lo spìrito - o come più aggrada definire questa nube - è un gioco, mentre la fisicità è il peso del mondo, l'universo intero. Io, per quel che mi riguarda, già lo dissi: non c'è Monna Lisa che tenga di fronte a burro e alici.
*
Le occasioni, ahimé, sono illusioni e, per fortuna, viceversa.
*
L'èssere annoia, il divenire uccide.
*
In vino veritas, ovvero Sorbona in Sorbara.

A notte, prima irrigo il ribocco di tristezze, poi con quante bocche ha l'idra m'intrippo di desii e da sezzo abbràccico il guanciale pensando al maiale.
*
"Essere o avere?" Avere, senza dubbio, dato che èssere non è probàbile.
*
L'ignoranza gode di un privilegio inestimàbile rispetto al sapere: non oppone ostàcoli insormontàbili a che tu creda che le cose sìano come tu vuoi che sìano.
*
Corre voce che l'animale abbia cominciato a ridere dell'uomo ed a pentirsi d'averlo generato.
*
Davanti alla pàgina bianca mi dico sempre: "Come potrebbe èsser meglio riempita?".
 *
  Un èssere di cui non si può predicare nulla non esiste. Un èssere di cui si può predicare tutto parimenti non esiste, in virtù del principio di non contraddizione. Ma allora affinché questo benedetto èssere abbia una sia pur mìnima possibilità d'esìstere come e quanto va predicato?
 *
Può darsi che al fondo delle cose alberghi l'agognata e introvàbile unità del tutto? Molti, delusi dalle "immersioni" e stremati dalla vana ricerca, sollèvano lo sguardo verso l'alto, a trovar Dio. Altri fra i delusi preferìscono guardare dritto davanti a sé: e si vèdono avanzare il gènere umano, mamma mia che tuffo al cuore! e rincùlano incrèduli e disperati. Morale: meglio lasciar le suaccennate cose così come si tròvano, e pensare ad altro. Gli è che la religione promette ai vivi ma non mantiene ai morti, o così vocìferasi. E la filosofìa mostra di concèdertisi, ma nel momento che più vorresti possederla ti si nega, puttana sanza cor.
 *
 Chi non ha voluto èssere almeno una volta Robespierre? Molti di meno Danton (colui che avvisò  l'Assemblea: "Noi Louis XVI non lo processiamo, lo assassiniamo"). Quasi nessuno il giòvane Saint-Just, che pure fu il più intelligente, sottile e visionario dei tre (lèggere i suoi miràbili "Frammenti sulle Istituzioni repubblicane").
*
Sbocco naturale di chi si pone domande che non pòssono ricèvere risposta è l'agnosticismo. Sbocco naturale di chi crede e confida (di sapere) è la fede, o l'ateismo.
*
Denti affetti dalle carie per effetto d'un eccesso di dolci sentimenti.
*
Ci sono intelligenze che mi dischiùdono orizzonti, altre, più profonde, che mi càusano stitichezza. Ognuno ha i suoi lìmiti, e le sue patrie.
**
Ci aggrappiamo agli altri per non affondare. Ne siamo contenti. Anche se aggrappàndoci a loro li affondiamo.
**
Un freddo bollente, una corrusca oscurità, un triste piacere, una vita felice etc... ossìmori.
**
Non tutto il male vien a nuòcere. "Non lasciàmoci ingannare: i grandi spìriti sono degli scèttici". (Nietzsche, "Der Antichrist").
 **

Ma dài! mica crederai che l'uomo sia cosa seria? Ti pare, se così fosse, che avrebbe mai accettato d'abitare su un pianeta sì insulso? Ché se non fosse insulso avrebbe conceduto a' suoi òspiti condizioni di vita, se non edèniche quali furono per breve riservate ad Eva ed Adamo, al meno più decenti di quanto non sìano. Non è serio l'uomo, non è serio il mondo, sì che non pochi raffinati pensatori e teste d'ovo hanno arguito èssere il tutto " 'na tragedia", come echèggiano oggimai le masse popolari d'Africa, Asia ed Italy, ad ogni piè sospinto.
*
Solitudine I) - L'uno non è solitùdine, la quale esiste a cominciare dal due.
*
Solitùdine II) - Le relazioni con gli altri  rientrano nel quadro delle attività onanìstiche del soggetto.
*
Nell' "èssere" non c'è che l'uno. Nel "divenire" neppure quello. Il "divenire" è la dimostrazione del nulla.
*
Espiare? E sia. Ma che?
*
Come non patire un mondo oppresso dovecchessìa da fantolini e pupàttole che giocano ad èssere uòmini e donne secondo una scialba rècita incupita dal mistero?
*
Evita d'arrivare alla stazione molto tempo prima della partenza del treno, già che l'attesa estenua. Il vantaggio di una vita breve è tutta qui.
*
Prendi con le pinze le persone generose: bàdano con la generosità ad arginare o combàttere la propria dolorosa disistima, o ad accrèscere avidamente il proprio patrimonio emotivo.
*
L'uomo non fa assolutamente nulla che non sia a proprio vantaggio o a ciò che ritiene tale. Diffido del cosiddetto "sacrificio", parola esorbitante e contro natura.
 *
  I) La citazione è sovente la mia ciambella di salvataggio sulla rete, ché altrimenti non saprei mica che cosa dire, e come. Ma non rare volte, colpito da insana temerità, preferisco miseramente annegare fra i marosi della vuotaggine, i cui effetti sùscitano inarginàbili sbadigli, schiette risa e puntuti cachinni presso le genti -  piuttosto che infilàrmela, la ciambella di salvataggio, attorno al secchito cervello.
*
II) La citazione è talvolta segno di provincialismo culturale e di stolta parzialità.
.*
 Se il non-èssere partècipa dell'èssere, e viceversa, si riconosca la parte migliore dell'uomo in ciò che non è.
*
Spolpare tutto al mìnimo. Poi gettar via quel mìnimo. E avvoltolarsi con virile rassegnazione nel sudario del superfluo.
 *
 Obiettivo - La televisione italiana accarezza una provocante stupidità di contenuti per essere elogiata dalla dilagante superficialità della massa. Sovente è imitata dalla polìtica.
 *
 Quanti filòsofi, dopo anni di filosofare, contìnuano a far mestiere di filòsofi perché "tèngono famiglia"? Capisco bene e mi fanno tenerezza coloro che non crèdono più a ciò che contìnuano ad affermare. E' la finta coerenza che la vita ti concede, sibbene a caro prezzo.
*
Ormai diffido a tal punto della trascendenza che per precauzione non salgo più sull'aereo.
*
Il benefattore s'aggirava nella notte più fonda a commèttere sognicidi. Fu sorpreso dalle forze dell'òrdine, che gli consegnàrono una medaglia.
 * 
 "Non sono così folle da crèdere in ciò che scrivo". Ecco la più grossa bugìa che potrei scrìvere e che pur mi tenta nei rari momenti di làbile riconciliazione con il mondo.
 *
Spero d'èssere sempre nel torto. Mi pare collocazione più dignitosa e cònsona all'umano.
 *
  Leggendo Spinoza mi domando se l'egoismo sia una corazza o una sostanza dell'uomo. Nel primo caso esso mi sùscita un sentimento di tenerezza, nel secondo di compassione.
*
Sarò felice come un bambino felice il giorno che m'accorgerò di non amare più Vermeer e di amare alla follìa gli aborriti tortelli alla zucca. Toccherò con mano che la vita può, sia pur illusoriamente, deragliare dai binari della monotonìa.
*
L'innocenza non mi commuove affatto: essa conosce bene e mette magistralmente in campo tutti gli escamotages propri della colpevolezza: con èsiti più efficaci. Di ciò almeno è colpevole l'innocenza.
*
Onanismo affettivo. In ùltima istanza compiangiàmoci.
*
 La filosofìa come "scienza" è pura follìa. Ma giùdico opinione saggia considerare la scienza come una "filosofìa".
 *
Mi dà sui nervi a volte, ma più volte mi rasserena, che per quante immani tragedie e catàstrofi e indicìbili strazi piàghino e sòffochino questo vacuo pianeta e i suoi avventori, al cosmo infinito non gliene cali assolutamente un bel niente (1), e continui immoto, cieco e sordo, ad ignorarci: com'è naturale e giusto che sia il destino del Nulla, cui apparteniamo di diritto.
     (1) dìcesi all'uopo anche "mazza", "tubo", "càvolo", od altro tèrmine d'un genere non costumato

*
Als ik rijk was, dan kocht ik het aroma van de herinnering niet bestand.
**
 La più tenebrosa e crudele forma di masochismo risiede nel sentimento dell'accettazione. Ce ne scusiamo con noi stessi definèndola "rassegnazione" ed attribuendo ad essa un significato di saggezza.
*
I) La cultura è la graduale presa di coscienza dell'universa incapacità degli èsseri di condurre le cose secondo un progetto mìnimo di felicita. Affiora l'arte, a recàrcene la malinconìa.
*
II) La cultura, se non ti sospinge al progressivo disvelamento del Nulla, ti rimminchionisce.
*
Ignoro le cose, o le cose non esìstono? Nel primo caso mi salvo, nel secondo m'invero.
*
Condizione necessaria per vìvere in modo tolleràbile il ràpido passaggio su questa terra opaca è rifuggire dalle tranellerìe della conoscenza. Ignorare signìfica dissetarsi a gogo ed illuminarsi.
*
E' affatto contraddittorio trattare del non-èssere. Appena vi accenni o vi pensi non è più tale.
*
Chi va proclamando fiero di non amare gli uòmini ma le bestie (o viceversa) non s'accorge di porre una contrapposizione affatto fittizia.
*
L'indifferenza come atteggiamento è odiosa, ma come ìntimo sentimento è quanto di più nòbile alberghi nell'uomo.
*
La domanda che più mi ha confuso e imbarazzato nei recenti anni mi è stata posta dal telefono cellulare nell'atto d'èssere impostato nella funzione di "agenda": "Vuoi che la settimana inizi con la domènica o con il lunedì?". Niente e nessuno mi aveva fatto sentire così demiurgo e padrone del tempo.
*
'A pizza - Iersera, in trattorìa con gli amici, ho gustato la clàssica pizza versione pomodoro mozzarella e acciuga. Dopo un morso, forse due, ho chiesto al cordiale cameriere un'aggiunta di càpperi (lat. capparis) da disseminar qui e lì: tondo tondo lungo la vulcànica circonferenza della focaccia partenopea fino a guadagnarne, con cadenzata manualità nel moto centrìpeto, il rubescente centro. Il mio palato ha avuto agio di verificare che il fàscino asprigno del càppero bacia e èccita viep(p)iù la già distesa acciuga: in un incoercìbile complottar d'arcani ormoni loro. E più s'inebria esso, lu càppero, avvoltolàndosi negli ondìvaghi slittamenti, o civettuole mossette, della pummarola dal colore della felicità (chi non intende il rosso?) quasi fosse trascinato in un'òasi di profonda, impreveduta brage... Ma l'acme degli accoppiamenti del càppero l'ho toccata lorché lui s'è conficcato tetràgono nei nivei panneggi del succitato formaggio; bruno smeraldo su nevicosa piana, àtomo verdigno incastonato nel lattescente firmamento, cupo barbaglio a divorar la diafan(e)ità mozzarellesca; intanto che la bocca mia finalmente sapeva che cosa volesse dire l'inenarràbile spusarizio d'acerbità e douceur, d'amaritùdine ed ambrosia, di ciclòpico guardo (ché raramente i càpperi il pizzettaro l'accoppia) e vacchesco cèdergli.
*
Lìberati una buona volta dal senso del dovere e dall'infausto imperativo categòrico. E' già stato fatto tutto ciò che era necessario: ed anche di più.
*
Corteggio la Sorte. Ella ha sembiante straniero ed ìndole falòtica. Ma m'àuguro che capìtoli alle avances di un povero cristo che più non sa a che uscio bussare se non al suo bislacco. 
*
  Il cane è un animale: s'affeziona al padrone.
 *
 Il contenuto di uno scritto è opinàbile e marginale. E' la punteggiatura a darmi un senso di sicurezza o, al caso, d'ebrietà. La si impieghi come i tasti del pianoforte, la si legga come i segni di un frantumato ghirigoro e la si veda come un fiorito giardino.
**
Non c'è mezzo più efficace per punire sé stessi che scrìvere poesìe.
*
Se vuoi èssere il meno infelice possìbile dèdica una parte della giornata ad accrèscere la tua ignoranza: cùrala, rispèttala, dilàtala. Meno saprai meno ti peserà la minaccia dell'esistenza e più si restringerà il brumoso orizzonte del possìbile. L'ignoranza somiglia alla farfalla: da lei che vola lieve e senza meta impara la sìntesi estrema e svagata del vìvere.
*
Conseguita l'altrieri l'età dell'intendimento, e considerati scrupolosamente gli èsiti della Storia universale dalle orìgini ad oggidì, ho sùbito fondato un movimento intenzionato ad invertire il processo d'estraniazione del gènere umano, ovvero ad avviare la sua riscossa civile e culturale, il cui motto è "Gl'imbecilli al potere".
 *
Chi potrebbe esclùdere che dentro il probo cittadino s'àgiti l'uomo lussurrioso?
*
 Bisognerebbe avere ciò che non si ha soltanto fino al momento in cui lo si ha. Sostituiremmo in tal modo il banale malèssere del desiderio con il sottile piacere del rimpianto.
*
Tòllero il dissoluto pronto a sfidare il Destino in mare aperto, ma non il peccatore che scaricherà il fardello dei suoi peccati sulle spalle del pentimento.
*
Lo spirito inizia là dove la carne arranca.
*
Gli idealisti dicevano ch'esiste solo ciò ch'esiste nella nostra zucca. Dissentì un signore quando sulla zucca gli piovve una  cagatina d'uccello.
*
Me ne sbatto i coglioni di ciò che affèrmano al proposito gli astrònomi e delle loro dimostrazioni scentìfiche: io sono fermamente convinto che la luna sia fatta di zùcchero.
*
La più devastante tragedia che ti possa colpire nella vita costituisce un nulla che non lascia la benché mènoma traccia nella vita immòbile del cosmo. L'indifferenza che impregna e governa il tutto rappresenta il male assoluto per lo sciocco orgoglio e la boriosa presunzione dell'uomo.
 *
 Mi affàscinano gli orologi perché mi dànno l'illusione del tempo.
*
Trasporta più gente un àutobus nell'ora di punta o babbionate il pensiero nell'ora della più fitta riflessione?
*
Riconoscimenti - Se riapriremo a tempo dèbito le bare della vìttima e del carnèfice ci si confonderanno le idee.
*
 La morte è ciò che la precede di un istante.
*
Ci si vìncola ad un nonnulla pur di non precipitare nel Nulla. Grullo chi afferma che quello è un nulla, ignorando che in mancanza di meglio è tutto. E del resto chi potrebbe esser ancora più grullo  da illudersi che la realtà sia molto, molto più di un nulla?
*Quale ànima caritatèvole incastrerà in ogni mia affermazione quella esattamente contraria ad essa per farmi sentire meno lontano dal vero?
*
Philosophie, que me veux-tu?
Voilà la vèrité.
"... Et le Temps m'engloutit minute par minute,
Comme la neige immense un corps pris de roideur;
Je contemple d'en haut le globe en sa rondeur,
Et je n'y cherche plus l'abri d'une cahute,
Avalanche, veux tu m'emporter dans ta chute?"

(Baudelaire, "Le gou^t du néant")
*
Perché sia a noi data data una rimota chance d'avvicinarci all'ideale di civiltà da tutti auspicato cominciamo a trasferire il concetto di patria in quello di ànima. E traslochiamo in massa. Qualcosa di sìmile l'aveva intuito e adombrato il cosmopolitismo dell'Età della Ragione: sècolo d'oro del pensiero moderno e contemporaneo, purtroppo dìruto dalla psicòtica rodomonterìa del succesivo Io romàntico, che nell'andare del tempo avrebbe reso il concetto di patria occulto veìcolo d'ingordigie, semenza di ossessioni e lutti. Novecento docet.
*
Non so ancora se più m'ha fatto trasalire o più mi ha serenato quell'incontro di un soggetto con il predicato verbale: "L'uomo passerà".
*
Dopo aver conosciuto te stesso - si fa per dire - ti accorgerai che la vera libertà l'otterresti solo a condizione di liberarti di te. Inattuàbile.
*
L'infinito è necessariamente stàtico. Dove potrebbe muoversi?
*
Perbacchìssimo! Ho visto un gran-bel cartellone pubblicitario penzolante sulle strade urbane: una raggiante pin-up-girl porgeva con pupille ammalizzite su la palma della mano un petit flacon infiocchettato. La scritta a caràtteri gòtici, ondulata sulle di lei lattee poppe, dicea a' deambulanti: "Evacuativo per cervelli costipati dal pensiero".
 *
Come meglio sfruttare un momento d'acuta lucidità intellettuale se non vergognàndosi d'èssere uomo?
 *
La credenza a desco, la credenza prima di coricarsi, sotto la notte stellata o nell'imperversar di procella.
*
Invito parenètico e due domande rettòriche
Smèttila di pensare alla morte! Forse non la conosci e non l'esperimenti dal dì che sei nato? Non ti sei ancora accorto che la morte è la vita?


Petit déjeuner - Stamattina di buonora, mentre facevo gocciare il miele a mo' di collante sulla crepata fetta biscottata perché questa non si frantumasse in dimolti ed irrecuperàbili frantumi dopo èsser stata da me sfilata con energìa inopinata (in quanto inusitata) dal suo attillato cilindro cartaceo, squilla petulante il telèfono. Mi trascino al sonoro ordigno, ne divello la lunata cornetta che poggio con indolenza decadentìstica su l'òrgano uditorio destro (sinistro per chi mi fosse a fronte). Faccio: "Chi è e cche d'è sì presto?". Mi fà: " Chi vuoi che sia? e ch'ha da esse'? Perdònami. Ma nell'appena defluita notte m'à (1) arrovellato il cervello il biforcuto quesito circa il rapporto tra l'Uomo e l'Essere". Faccio: "Che c'hai, amico mio? Ne soffri?". Fà: "Ha' voglia! Perché se, come sospetto, Uomo ed Essere non coincìdono, o meglio, se l'Uomo non partècipa dell'Essere, fra l'Uomo e l'Essere necessariamente si spalanca un abisso incolmàbile". Faccio: "E chetti frega, caro mio?". Fà: "Mi frega sì, amàbile nederlandese in esilio nella terra de' limoni. Non vedi la tragedia che bolle in pèntola? Non vedi che l'Uomo s'illude d'èssere il beniamino dell'Essere mentre l'Essere dispregia l'Uomo in quanto sua esatta ed esecràbile antìtesi? Del resto, ove l'Uomo coincidesse con l'Essere, avrei ragione d'ipotizzare che egli sarebbe Dio in quanto ùnico èssere pensante". Faccio alla romana: "Ciao bello, se vedemo!". Fà mogio, rinculando dall'inadempiuto diàlogo: "Aho!". Il miele è debordato dai frantumi delle fette biscottate ed à adombrato vaghi laghetti àurei sparsi d'in su 'l tavolo del petit déjeuner, che le mosche sorvòlano, adocchiando, leccàndosi i baffi loro, dàndosi di spalla l'un l'altra prima di scendere giravoltando qua e là con astuta indifferenza: come se niente fosse: come se il bottino nun ce fosse, proprio.
  (1) "à" sta per "ha", secondo un'antica e dismessa scrittura, che tuttavìa non faremmo punto male a ricuperare: a far risparmio di preziosi spazi.

 *
 Chi saprebbe indicarmi un esperto di sinestesìe?
*
Dùbito che il concetto di "patria" rafforzi la pace e la fratellanza fra i pòpoli.
*
In un'aula magna bigia e neghittosa il docente così si volse ai discenti: "Non sarà forse cosa al tutto vana che voi signori sappiate che la certezza sta al dubbio come un tazzone di camomilla ad una coppa di Dom Pérignon, couvée Rosée". Fu così che dai banchi,  tutti si brindò, plaudenti e rincorati.
 *
 Esercizio su imbuiare e imbuire - Ho l'impressione che più le ore notturne s'imbùiano, più si frègino della mùsica di Rossini - Forse mi sono imbuito.
*
A forza di ridurre le cose all'essenziale esse scompàiono senza che ci àbbiano rivelato il loro nùcleo costitutivo, abbandonàndoci al disperato dubbio circa l'esistenza di tale nùcleo originario. 
 *
Per tentare d'intuire la realtà delle cose sarebbe opportuno praticare l'indifferenza non come sentimento specìfico ma come negazione della differenza.
 *
A scelta - Esìstono i temi, non le variazioni. Ma anche: esìstono le variazioni, non i temi.

*
Sarebbe bene che l'intelligenza, invece d'èssere affinata come lama di coltello, fosse battuta ed allargata come un haché.
*
 Non posso non ammirare coloro che mi òffrono dell'uomo e del mondo una concezione ottimistica, diciamo "leibniziana". E' gente serena e sorridente, con la quale di rado la conversazione incontra incaglio o spuntone. Non di meno non posso non constatare e verificare come l'ottimismo rappresenti la precipua qualità coltivata dalla stupidità. Nei cui confronti mi guardo bene dal nutrire uno sciocco sentimento di sufficienza, ma piuttosto di rispettoso timore.
*
La mia sprovvedutezza non giunge a tal segno da domandare l'ora esatta. Come sapere che ora è  se già è altra nel momento stesso in cui ottieni la risposta?
*
L'ànima è abitata da un complesso di valori assoluti la cui diffìcile traduzione in atto fa sì che l'uomo li trasferica a Dio, che per amor suo li accetta senza discùterli.
*
Besciamella in "c", ovvero All's well that ends well - Dal crudo cozzo de' contrasti colò 'na besciamella sui contrapposti cuori ed uno ne compì.
 *
Sono grato a quei medicamentosi sogni notturni di cui cavalcherò nei diurni travagli la scia.
 *
Camminavo su un marciapiede. Ho notato una vecchietta dalla sguardo chino chièdere con umiltà l'elemòsina. Le ho fatto la carità. Ma mi sono quasi sùbito accorto che la forte soddisfazione che ho provato per il mio gesto all'apparenza altruìstico era l'appagamento sentimentale per aver fatto a me stesso la "carità" di cui avevo bisogno non meno della signora, seppure su un altro piano. Credo che ogni sentimento funzioni così. L'amare l'altro da me - un animale, una persona, una divinità - non è l'amore disinteressato di un'anima bella e generosa ma l'assunzione del mio sìmile (o oggetto) come alimento di cui necèssito per poter vivere. Taluni definìscono ciò egoismo, talaltri l'eterna legge di conservazione dalla Natura applicata a tutto (e dunque anche a me) affinché tutto proceda secondo un ordito, o caso, o moto, a noi sconosciuto. Non ci resta che accettare la nostra mancanza di libertà ossia il nostro ineluttabile asservimento a questa specie di meccanismo còsmico. E semmai consolarci che anche le stelle, loro sì alte e belle a vedersi e odorare, sono rotelline in servitù a noi sorelle. 

Nessuno strumento è più affidàbile della ragione: talvolta, anzi quasi sempre, t'inganna ma non t'ingiuria.
*
Estate - Stamane un'avvolgente calura: per reazione vorrei un limone acerbo, uno spìgolo e una tela di Hans Hartung:  peintre austère, sans fanfreluches
*
Lacrima 1) - A detta di Persio, de nihilo nihil. Donde la fonte della làcrima, il guaiolar del cane, il vagito del baby.
*
Lacrima 2) - Variazione sensìstica in tono intimìstico e spleenètico sul noto principio razionalìstico cartesiano. "Làcrimo dunque sono".

 *
  Ciascuno di noi ha il diritto di crearsi il proprio mondo e il dovere di distrùggerlo per non ostacolare i fidenti nel progresso.
*
 Non pochi rèputano di trarre vantaggio dalla propria assenza confidando nell'immaginazione altrui.
*
Non so che cosa ci renda più disingannati dell'ipotètica intelligenza delle cose.
*
Il mondo sarebbe quasi ineccepìbile se la pràtica godesse della libertà di cui gode la teorìa. Che tale libertà si è conquisa squisitamente vaneggiando nell'alto de' cieli, ignorando le sudate smanie delle suburre.
*
Novità - Ogni mattina mi desto, mi deploro, mi sfilo dalle coltri, m'oriento, mi latteecaffeo (o theizzo). Poi, ogni mattina dell'anno, e degli anni, gironzolazzando fra le domèstiche mura vò alla ricerca della lente d'ingrandimento o del microscopio, chissà dove distrattamente poggiati nel defluito ed obliato giorno (fra i tomi sofoclei? nella batterìa de' tegami? entro la panza del pianoforte o la torre frigorìfera? sovra le purpuree babbucce? sotto gli occhioni belli dell'orchidee?....). Cerco, cerco e, come chi cerca trova, trovo anch'io alfin o l'uno o l'altro od amendue gl'istrumenti summentovati. Perdutamente chino sul microscopio o piangiucchiatamente perlustrante colla smargiassa lente gli angusti spazi del cavallottesco abituro così m'impegno, così mi dispero - così agitato come da amenza rapito - a rinvenir un novello granello di polve od una novella formichella, aureo chiodino od ago argenteo, impreveduta ragnatela o ragnetto pèndulo dal Raffaello Sanzio corniciato.... Ahi! Nulla. Nulla di nulla. Nulla di nuovo, ovvero, tutto eguale a ieri e all'altrieri, tutto lo stesso fin dall'Antico e da' Sumeri, fin dalla notte de' tempi, e su su, fino dalle nebulose orìgini del Tutto, cui presiedette chi opina il Caso e chi, più verisimilmente, l'Abisso, altrimenti detto Caos primordiale, donde malauguratamente se ne discese, fra l'altro, pure l'uomo quale deformanza, od eccesso, dell'animale. Mesto, ogni mattina, a mezza mattina, ripongo la lente d'ingrandimento o il microscopio ove il casalingo caos mi suggerisce, e di lì a notte fonda mi dolgo e noio allo stremo delle sapute cose, della negata epifanìa di vita nova.
*
  Non rammento più quando e dove fu costituita una commissione composta da luminari di scienze filosòfiche e mèdiche, che verificàrono èssere l'uomo affatto privo di lìbero arbitrio. E fùrono le àule di giustizia e le gattabuie d'un sùbito svuotate, sostituite da appòsiti istituti di commiserazione, conforto e speme.
*
 Immagino, non ostante il diniego della lògica, che la casualità sia nell'universo ciò ch'è l'arte nell'umano.
 *
 L'autunno è la stagione che più s'addice alla Ragione.
*
"Odero, si potero: si non, invitus amabo" (Ovidio). Nella vita bisogna far buon viso a cattiva sorte.
*
Precipitare o ascèndere. E' un moto che dipende dal punto d'osservazione.
*
Il piacere non ti dà piacere quanto il dolore ti dà dolore. E' inameno squilibrio, ingiustizia bell'e buona ai danni della vita. Di siffatta ingiustizia non saprei proprio chi o che cosa incolpare. Forse non c'è niente o nessuno da incolpare, essendo che il Niente e il Nessuno hanno tutti i difetti che si vuole, eccetto quello di commèttere screanzate ingiustizie.
*
Alcuna volta mi sorge il sospetto d'intèndere la filosofìa come aristocràtico approdo alla rinuncia.
*
Come il gocciare d'una brocca d'aqua, vìvere è pèrdere àttimo dopo àttimo il tempo assegnàtoci alla partenza.
*
Originalità - Ciascuno vuol dire la sua. E non s'avvede che è quella di tutti.
*
V'ha qualche misteriosa ragione perché non esista nulla oltre ciò che esiste?
*
Eutanasìa - Se la morte è la fine d'atrocità o di scandalose noie, ed insieme la porta che ci permette d'ingressare e dimorare nell'eterno e divino Regno de' Cieli - beatitudine suprema per intensità e durata - non è mai stata concepita legge più idiota e disumana di quella che inibisce e punisce l'eutanasìa... In quale stato di barbarie annaspa ancora l'uomo se si permette d'opporsi alla volontà esistenziale del suo sìmile e di decìderne la sorte suprema, quasi fosse un Dio che meni per mano figli e figliastri nel pàntheon del Bene? In realtà l'uomo dimostra nella fattispecie d'èssere un guercio spocchioso che si dimena e traballa sulla propria scala di valori, un istèrico che va agitando l'ingessato stendardo di una "verità", improbàbile come ogni "verità", ma da lui imposta come "ùnica"...  Amo i Paesi Bassi, la quieta e profonda tolleranza con la quale si dibatte intorno all'uomo: delle sue due, tre cose precipue.
*
Se fossi giùdice, ogni mia sentenza avrebbe per presupposto il principio dell'irresponsabilità dell'uomo. L'uomo sarebbe l'èssere colpevole di ciò che pensa e fa solo a condizione d'èssere responsàbile di ciò che è: il che con ogni evidenza non è. "Troppo fàcile", "troppo còmodo" mi si obietta... No, né fàcile né còmodo. E' la tragedia di cui è vìttima l'uomo, il quale, posto alla guida di un'auto in stato di cecità, viene accusato d'èssere responsàbile dell'incidente che ha provocato.
*
b) Variazione su quanto sopra -  Se fossi giùdice riterrei responsàbili della propria vita soltanto  coloro che sono nati di propria iniziativa.
*
c) Seconda variazione su quanto sopra - Come accade dopo la nàscita, anche dopo la morte sarò ritenuto responsàbile di ciò che sarò?
*
La mente dell'uomo è opificio inaffidàbile e fallimentare. Ne sia riprova il malsano concetto di eternità, responsàbile d'aver inoculato ed espanso in noi bipedi il devastante terrore della morte. Meglio pensare che l'eternità non esista, giacché se esistesse sarebbe una meta negàtaci, onde una tortura il nostro andare.
*
 Poche cose m'intràlciano il chiaro percorso della ragione quanto le emozioni. La vita è fatta male. Possìbile che non tròvino un sia pur mìnimo accordo, o minùscolo incastro che sia, Descartes e Chopin?
*
Da reprìmere non sono gli impulsi ma le certezze. I primi ti fanno sentir vivo, per quanto vivo tu possa e sappia èssere, le seconde t'indigestiònano di delusioni.
*
Il pensiero della malattìa m'àgita, ma più m'inorridisce il monòtono vivacchiare dell'universo.
** L'universo tutto attende ancora chi lo crei.
*
Non escluderei a priori che l'indolenza, ove coltivata con determinazione, possa imparentarsi con l'èstasi.
*
Il più acerrimo antagonista della banalità è la superficialità.

 Chi s'impegna, quanto meno si sfrange.
*
Commuòversi è fàcile. Si badi bene a non comportarsi di conseguenza.
 *
 Non v'ha nulla al mondo di più vendicativo che scagliarsi con furente sdegno contro i "peccati" degli altri che noi stessi brameremmo nel segreto commèttere se ne avèssimo talento e ardimento. Avviene di quando in quando che la morale sia meschinamente modulata dall'invidia.
 *
 Mio fratello, roso come me dalla bramosìa del non-èssere, c'è riuscito. Infatti non tengo fratelli.
*
La Storia, o di una reiterata imprevedibilità che ingènera stucchevolezza.
*
L'uomo non crea, sposta.
*
L'egoismo è la perfetta forma d'assenso e di sottomissione alle leggi della Natura. La quale ci crea affinché ciascuno di noi agisca per la salvaguardia di sé stesso senza dispersione di forze e distrazione  d'obiettivi, sì da meglio favorire gl'incorruttìbili meccanismi di quella.
 *
Siamo disposti a riconòscere i nostri torti, anzi talvolta ce li inventiamo di sana pianta, se abbiamo di fronte chi si mostri bendisposto ad aggiùngere alla comprensione e alla giustificazione la consolazione.
*
 Musicisti ad hoc - Ore 17,45: the al latte, guantiera di pastine (1) per il the, vecchie signore e Mendelssohn (del tipo "Lieder ohne Worte", "Scozzese", etc...).
   (1) Pellegrino Artusi ne "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" tratta di queste pastine, indicàndone ingredienti e dosaggi. Farina d'Ungherìa o finìssima gr. 400, farina di patate gr. 160, zùcchero a velo gr. 160, butirro gr. 160, due chiare d'ovo, latte tèpido quanto abbasti. Dosi codeste, assicura il Maestro, ad ottenere assai pastine: diremo noi quante ne necèssitino alla sobrietà delle summentovate signore, amanti la mùsica morigerata e serenante del Felix.
*
 Il Tutto è troppo. Basta il Nulla.
* 
Consiglio ad Adamo - Il sapere come peccato di superbia? Non ti resta che il sapere come hobby.
*
 L'orgoglio è la màschera della rinunzia.
*
 "Tempus edax rerum" - Tutto si corrompe nel perenne divenire: le idee eterne, i mondi, le cose, gli èsseri e gli dèi, i polìtici e taluni di loro in specie: chez-nous (je ne sais pas pourquoi).
 *
La ragione trova il proprio lìmite e la propria umiliazione nella lògica affatto inespugnàbile del credente. Tuttavia il credente ignora, fra l'altro, le vertìgini dell'assurdo, i maestosi e sconfinati deserti dell'ànima, i rebussìstici 'nguacchi del Nulla, et cetera... In fondo, che sia una questione di gusto?
*
Il tempo, "fàrmaco d'ogni eccitazione dell'ànimo" secondo la definizione del sofista Crizia, sarà da noi benedetto o maledetto? Cela dépend. Un conto sono gl'inferni del sentire che il tempo sapientemente estingue, altro la morte del sentire che il tempo voluttuosamente interra.
 *
Caro amico, ci hanno insegnato gli scèttici greci che non è dato conòscere né dimostrare nulla poiché ogni cosa non si configura e non vale in sé e per sé ma solo in relazione con un'altra, secondo una successione infinita. Mi obietti che talune cose non hanno bisogno d'alcuna dimostrazione, ma è la tua un'affermazione errata poiché dette cose hanno bisogno almeno della dimostrazione che non ne hanno bisogno, anche in questo caso secondo una successione infinita. E ancora: quale criterio assùmere per stabilire se una cosa esiste o non esiste, se è vera o falsa, buona o cattiva, etc..? Ma quale criterio deciderà poi se il criterio che abbiamo assunto è valido? Caro amico, lo stesso tipo di ragionamento scèttico può valere anche per il movimento: infatti per una cosa che si muove i casi sono due: o essa si muove nel luogo in cui sta, il che è affatto impossìbile dato che se si muovesse non sarebbe più in quel luogo, o si muove nel luogo in cui non sta, il che è altrettanto impossibile. Sarà dunque saggio ipotizzare che il movimento non esista.... Mi dirai che tutto ciò è assurdo o paradossale. Posso darti ragione, a patto che tu ammetta che i ragionamenti su cui poggia la lògica corrente non lo sono di meno: a considerarne gli effetti disastrosi.
*
Nega, nega sempre, in ogni caso, con fèrrea determinazione. Nega tutto. Contribuirai a che il mondo perda un po' della sua spocchia scema.
*
Nel mondo, nella natura, nell'uomo, non vi è nulla che tenda al futuro ma tutto tende all'orìgine: con un senso di rimorso per ciò che nel frattempo è stato ed una sorta di spaesamento per ciò che appare.
 *
    Nella stagione inclemente ancora tanto quanto, ma d'estate è intollerabile sentirsi addosso il caldo alitare del ruffiano.
 *
 "Quod non vetat lex, hoc vetat pudor", afferma Seneca, che se l'avesse detto nell'ìtala favella avrebbe detto così: "Ciò che non vieta la legge può èsser tante volte che lo vieti il pudore"
 *
La malattìa è un vento impetuoso che ti strappa di dosso ogni indumento e ti scaraventa dinanzi ad uno specchio immisericordioso.
 *
 Nessuno è fatalmente fuori strada quanto colui che crede d'èssere sincero con se stesso e con gli altri. Siamo le nuvole che viàggiano informi.
*
 Al fine di mitigare lo scetticismo da cui sono segnati i circospetti e gli avveduti, o più in generale per trovare la soluzione, la chiave di volta del mistero esistenziale che ci dispera, il nostro intelletto dovrebbe èssere capace di tenere sotto stretto controllo la griglia degl'implacàbili meccanismi che modèllano, muòvono e giustìficano la (nostra) realtà. A tal propòsito io mi sentirei non meno che una pantera all'ebro assalto della vita se avessi per testa "L'arte della fuga" di Bach.
*
L'altruismo è una droga della solitùdine.
 *
Taluni ùsano la doppiezza come buona educazione.
 *
Chissà che operazione rivoluzionaria e provocatoria credi di fare negando l'evidenza! Stai semplicemente smascherando un inganno.
 *
Caro Nietzsche, dicci quanto dovremo ancora attèndere e penare prima che l'uomo conquisti un livello di civiltà tale da èssere e sentirsi sìmile ad una Divinità, imperturbàbile a tutto.
*
Sia lodata della Chiesa la perizia nel modificare o capovòlgere con lenta ponderatezza i propri giudizi: Giovanna d'Arco, messa bruciare sul rogo nel 1431, fu proclamata santa dopo cinque sècoli, nel 1920.
*
Che mortal scucciatura, e che fatica sprecata, provare ad interessarsi a qualcosa che non sia sé stessi!
 *
Nessuno nel corso dei sècoli ha fatto al nemico una guerra tanto cruenta, non interrotta neppure dalla vittoria, quanto il Cristianesimo alla carne. E pensare che, per averne la meglio, sarebbe bastato lasciarla fare!
 *
I fantasmi che ci creiamo e con i quali viviamo non sono per noi meno "reali" delle persone cosiddette reali che ci attòrniano. Se non altro, abbiamo la sensazione che i fantasmi sìano per natura più ubbidienti alle nostre inclinazioni spirituali e comprensivi delle nostre nebulose esigenze. Certo, sono fantasmi e dunque soggetti a vanire d'un tratto, lasciàndoci sbigottiti non appena allentiamo la tensione; ma nel complesso sono più fiorenti di vita, più pronti a rispòndere alle nostre domande, più articolati e flessuosi, delle dette persone. E soprattutto s'addormèntano e si ridèstano all'unìsono con noi. Abbiàmone cura. Sono delicati, dànno tanto considerato che sono fatti d'un niente.
*
I compromessi della polìtica sono infantili al confronto di quelli indecenti del cuore.
*
 Si scrive sulla rete meno per comunicare che per verificare d'èsserci.
*
Chi ha il tempo da pèrdere conta da uno a dieci, ma chi conta il tempo che ancora lo separa da ciò che attende conta da dieci a uno.
*
Sorridi al nemico fino all'ùltimo momento prima d'attaccarlo: la sua guardia sarà abbassata sicché tu agirai con minor fatica. Dopo la vittoria potrai ovviamente evitarti la molestia di sorrìdergli, a meno che quel tuo sorriso tàttico, mutàtosi di segno, non sia la conseguenza del tuo ìntimo e particolare piacere per l'azione condotta a tèrmine con successo.
*
Beati gl'ignoranti. A loro la vita.
*
Incipit di un azzardato tentativo di microcosmogonìa nihilista.
In principio era il Nulla, che, non essendo, ingenerò Nulla, che, pur non essendo, avrebbe preferito èssere qualche cosa, anche a costo d'annullarsi, ossìa di ridiventare nulla. Nell'àmbito di questa còsmica contraddizione nacque l'uomo, o meglio, la sua illusione (già che discendeva dal Nulla). E in virtù di detta contraddizione nacque con due braccia, due occhi, due gambe, due testìcoli, taluni con due capelli, etc... due, il numero minimo per inverare ed esprimere una contraddizione. Con l'illusione dell'uomo nacque altresì l'illusione della donna. S'accoppiorno per Nulla e scoppiorno tout de suite, ma non prima che da' loro pensieri fòssero concepiti ed esciti monti, mortadelle, cacofonìe, pennuti, superstizioni, cannoli sìculi, nuvolaglie, champagne, battigie, calessi e dimolti altri pensieri che, non potendo vagare nel Nulla senz'annullarsi, fùrono costretti anch'essi ad èsser inglobati nell'illusione. L'Illusione, un'anticchia frou frou, crebbe siffattamente vuoi di volume vuoi di riputazione, insino a che il Nulla, imbufalìtosi di brutto, scagliossi tonitruando contro quella. La raccapricciante pugna durò ad un incirca una mezza dozzina di millenni, provocando infine in lei, nell'Illusione, un'immane maceria fumante metamorfosàtasi in punto interrogativo, altrimenti nomato Dubbio. Il quale s'andò pol(i)pescamente sviluppando in lògica, estètica (si sa, cognitio inferior) et ethica, metafìsica, teologìa, scienza, arte, economìa, psicanàlisi and bisnès (pr. nap.), ed in ancor altro assai, fino ad ingombrare in pràtica tutto l'infinito Nulla. Nè da allora ad ora Nulla più è cambiato, così risulta ai più avvertiti degli scrutatori.... Si narra da certuni specialisti und studiosi tudeschi che il Dubbio, verisimilmente fra diecimila ventimila sècoli, sarà risucchiato con ardenza pari ad arditezza dal Nulla, con ciò sarà cosa che il Nulla tornerà solingo prence del Tutto, com'era in orìgine.
  NB - Vuolsi qui rilevare in guisa parentètica che codesto frantume di cosmogonìa nihilista darebbe conferma, ove godesse di sufficiente fondamento, alla notoria tesi de "l'eterno ritorno" (firmata via via da Eraclìto, Empèdocle, Platone, Nietzsche, tra gli altri).

*
Sia lècito prostituirsi con le idee degli altri, non con le proprie.
*
Fra crèdere e disperare non v'ha differenza alcuna. E' sempre l' "io" che respira.
*
Sommessamente saggezza e cautela ci raccomàndano di non scommèttere sull'inesistenza d'alcunché, in considerazione dell'assoluta inconsistenza concettuale delle prove intese a dimostrare il contrario.
*
Errori in crescendo - Credeva in qualcosa. Ora si crede qualcuno.
 
Il dolore, da qualunque parte provenga, non va rispettato ma insultato.
 *
L'èssere è una circonferenza che inscrive un vuoto.
 *
 Siconfanti, turlupinatori e grotteschi psicopompi, grazie a voi l'uomo che avete invano depredato dei suoi larvali frantumi si consola illudèndosi d'èssere stato ricco prima della magra rapina, e vi è riconoscente. Del resto, la caritatèvole memoria non ha forse la funzione di trasfigurare e rivalutare il passato in ciò ch'esso non è mai stato, né sarebbe mai potuto èssere? Anàlogo uffizio spetta all'aspettativa incaricata d'adombrarci il futuro.
 *
Beli latri taci putrisci.... èccoti sotto i funèrei lumi del disinganno 
*
Che cos'è il mondo se non la somma degli esempi pràtici di cui si sèrvono idee e concetti per meglio farsi intèndere?
 * 
La vita è così incredibilmente breve che è una sciocchezza bruciarla con l'èsser persona seria.
*
 Si abolisca la pena di morte, ma non il reato di socievolezza.
 *
 La dimostrazione che la dogmàtica è una forma superiore di sapere rispetto alla scienza risulta dall'evidenza che la seconda è soggetta ad errore, la prima mai.
*
Essendo la compassione l'ùnico sentimento che l'ottimista era ancora in grado di suscitare negli altri, risolse di votarsi fidente al fallimento.
 *
"Filosofìa" dovrebbe èssere il percorso che il pensiero compie per approdare alla consapevolezza, melanconiosa ma liberatoria, della propria impotenza (inadeguatezza) ad indagare il "ciò che è", di cui pur partècipa.
 *
  Peccato I - Che cos'è il peccato? E' un senso di colpa che non trova significato al di fuori di chi lo prova
*
 II - Il concetto di "peccato" è una degenerazione del concetto di "cultura".
*
 III - Universalmente si conviene che la natura e il mondo animale non commèttono peccati. Perché mai dovrebbe commètterli l'uomo? Sorge il sospetto che i "peccati" altro non sìano che un astuto escamotage dell'ànima per rèndersi piaciona oltre misura. 
 *
Saggezza, sei straordinariamente inconsistente!
*
L'ìncubo è la versione attenuata della realtà.
 *
 E' tutto inùtile. A tutto c'ha già pensato l'eterno universo. L'hanno intuito da lunga pezza gli Orientali. Donde la quiete del loro intelletto.
*
E se il buongustaio par excellence fosse il cannìbale?
 * 
Noi stùpidi siamo i màrtiri del Destino. Onoràteci.

                         
                                                                     *****



IL POLITICO & LA POLITICA

Al polìtico è lècito "sporcarsi le mani", purché sia lìmpida la giustezza del fine cui egli intende mirare. Rimane insolùbile un nodo: sentenziare circa la "giustezza" di quel fine: come di qualsìasi fine.
*
Il polìtico àbile è un prestigiatore che trasforma le speranze in illusioni.
*
Ho sognato d'imbàttermi in una donna di cui mi colpìvano in particolare tre elementi: la prorompente avvenenza, l'ininterrotta loquacità e il cervello di gallina. La mattina, al risveglio, mi sono dimandato a lungo che mai significasse quell'epifanìa insòlita, già che m'avviene di norma di sognare accadimenti corali o persone famigliari. Ma d'un tratto mi è tornato a mente che il giorno innanzi avevo animatamente discorso con un amico del concetto e del significato di "democrazìa".
*
 L'alta scienza polìtica assurga all'arte sublime di rènder meno intolleràbile alla società la problemàtica condizione dell'esistenza umana.
*
Ho auspicato che l'elegante presidentessa della Càmera e l'autorevole presidente del Senato accennàssero, nei rispettivi discorsi d'insediamento, a ciò che taluni di noi in segreto più desìderano, e che talaltro (1) ebbe già occasione d'esprìmere: "...Car nous voulons la Nuance encor, / Pas la Couleur, rien que la nuance! / Oh! la nuance seule fiance / Le r^eve au r^eve et la Fl^ute au cor!...".
(1) Verlaine, "Art poetique"
*
 Il polìtico ha da praticare non l'arte del "possìbile" ma del "probàbile" se non vuol sostituire alla dura realtà un'utopìa foriera di danni incalcolàbili.
*
La volontà esercitata da pochi su gli altri è sempre violenza, ma l'esercizio della democrazìa non sempre è sinònimo d'attendibilità.
*
"Homo hominis lupus" (Plauto). La lotta polìtica ne costituisce l'apoteosi.
*
 Non un vaporoso sentimento ma soltanto la retta e fredda ragione illùmini e sorvegli la condotta del polìtico avveduto.
*
Talvolta l'uomo fa polìtica non già per votarsi agli altri ma per fuggire da sé medèsimo.
*
Predilezioni crepuscolari - Amo i polìtici ùmili: quelli che si dèdicano alla polìtica non per un ideale civile ma per tirare a campare: un mestiere come un altro, più rincrescèvole di altri.
*
1) Giulio Andreotti, polìtico di stirpe rinascimentale, di scuola machiavèllica; il maggior polìtico italiano del Novecento: il più intelligente, diplomàtico e raffinato; il più amorale nella misura in cui tra polìtica e morale non s'ha da strìngere coniugio alcuno.
*
2) Giulio Andreotti, uomo tràgico che non ha mai saputo "èssere" uomo. Da qui la grandezza e il "misticismo" della dimensione polìtica che lo animava e ne sublimava l'ìntima disperazione. Non credeva nell'uomo ma nell'opportunità di aiutarlo, talvolta. Figura scespiriana, non ha contato rivali.
*
  Rammento che Nietzsche parlava di idiozìa numèrica a propòsito di Parlamenti e maggioranze.
*
 Infelice e sommamente sventurato il polìtico onesto del tempo presente, destinato ad èssere coinvolto e travolto in futuro dal severo giudizio della Storia circa un'època tra le più scandalose e corrotte della secolare vicenda itàlica.
*
Mi mette di buon umore il pensiero che taluno volga la propria attenzione e magari s'accalori  alle varie fazioni ed ai vari "personaggi" che dànno corpo sbilenco alla paradigmàtica vita "polìtica" di questo Paese al limitar d'Europa.

Campagna elettorale. "Il est plus facile de parai^tre digne des emplois qu'on n'a pas que de ceux que l'on exerce" (La Rochefoucauld),
*
Sono lontano dalla Sinistra per la fede che professa nel valore del Progresso. Sono lontano dalla Destra per la fede che professa nel valore della Tradizione. Sono vicino al Centro, per l'àgile indifferenza che professa verso entrambi i valori.
*
L'Italia polìtica s'è vista costretta a sostituire i vecchi con i giòvani perché i vecchi sono corrotti. Nei Paesi civili i giòvani sògliono imparare dai vecchi; in Italia i giòvani polìtici vògliono imparare da soli, a diventar corrotti.
 * 
Si suol affermare che fra le possìbili forme d'ordinamento costituzionale e polìtico la democrazìa sia il minore dei mali. Non mi basta. Vorrei che fosse, almeno, il minore dei beni. E finché essa parteciperà della sfera del "male" criticherò il principio che la maggioranza, per il solo fatto d'èsser tale, abbia a priori partita vinta sugli opinari della minoranza, con le disamene conseguenze che tale decisione comporta. Il Bene, ammesso e non concesso che si possa configurare, non è scelta del nùmero ma della ragione, alla quale peraltro non garba dimorare in molti cervelli. Vero è che ciò che per uno è Bene per un altro non lo è o è addirittura il contrario: e questo sùpera anche la distinzione fra maggioranza e minoranza. Chi ha in tasca il Bene? E chi decide se ce l'ha l'uno o l'altro? E chi decide chi decida chi ce l'abbia? etc... Non v'ha soluzione alla governabilità dell'uomo. O forse una soluzione ci sarebbe: eliminare o la polìtica o l'uomo. Sarei proclive alla seconda soluzione onde restituire, grazie alla scomparsa del secondo, acconcezza alla prima.
*
Se per il polìtico il fine giustìfica i mezzi, per l'esteta i mezzi giustìficano il fine.
*
Ogni uomo s'abbia il diritto d'èsser l'ùnico cittadino del Paese ch'egli stesso fonda.
*
E' minor male per la società una democrazìa marcia o una ferrea dittatura? La risposta potrebbe èssere ovvia: senza la libertà che la dittatura stràngola non c'è modo di combàttere il male. Ma si potrebbe da taluno obiettare che una democrazìa marcia non meno restringe, sia pur con guanto vellutato, le libertà ed i diritti del cittadino. Dunque, da una parte la grinta feroce, dall'altra il sorriso mellifluo; da una parte il totalitarismo, dall'altra la corruzione. In un caso c'è chi muore sul patibolo, nell' altro chi sul marciapiede. Io penso, anzi, io vedo l'universo intero, e le sue stelle, e i suoi mondi, e suoi interminati e bui spazi sorretti da una tetràgona "dittatura": per questa ragione il meccanismo è perfetto e l'uomo è infelice.
 * 
 La polìtica oggi? Lasciàmola a chi non sa far di meglio.

                                                                                 *****

SENTORI ITALICI

Essere italiani? Non è serio.
*
Sono un valente disfattista, ma debbo espatriare: in Italia tutto è già disfatto.
*
Ogni dì la gazzetta sfoglio ed il video guardo. Ogni dì l'Italia più mi piace, e vie(p)più fiero me ne sento. Non crederei d'andar errato se asseverassi che questo Paese, vellutato siccome addòmine di vespa, è d'esempio al mondo civile: quasi un'utopìa, quasi la polis del V sècolo a.Ch.... Deh, orecchio non si porga ai tòssici calunniatori che nottetempo scorgi arrotolarsi schiumanti di livore e invidia per il Bello e Buono che pispìnano rispettivamente dai beni culturali e dalla morale pùbblica del Paese. Itala terra del kalòs-kagathòs: wow!
 *
L'Italia è una Repùbblica fondata da Ponzio Pilato.
*
Nulla è più assurdo e ridìcolo delle querimonie e dell'indignazione che gli italiani appalesano per la riprovèvole condotta di una classe polìtica, la quale agisce peraltro secondo i paràmetri che gli italiani pràticano a man bassa e implicitamente le suggerìscono. Chi non ricorda d'Orazio: "De te fabula narratur"?
*
L'Italia, "Vivo sepolcro a un popolo di morti". La supèrstite salvezza è nella progressiva e ràpida estinzione degli indìgeni e nel correlato ripopolamento del territorio da parte di extracomunitari dell'Europa dell'Est, dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina: pòpoli sovente vigorosi, lavoratori enèrgici, disposti a sostituire con braccia forti e cervelli sodi le pèndule masse di clowns e  burattini locali. Mentre l'ìtala decadenza si vòltola èbete nell'agonìa, e i rùderi avànzano ovunque come pòlipi, e le rose sono omai màcere, scorgo nuove ortiche rinverdire qua e là campi diserti, e fili d'erba occupare interstizi di periferìe, e miserandi giòvani e vecchi di distanti orìgini curvi alla fatica. Ecco i nuovi "italiani", loro, gli extracomunitari, le ànime cui si dovrà la sopravvivenza di un nostro informe ricordo, l'immàgine ingiallita d'una terra da sècoli prostrata, esaurita.
*
Qualcuno fece osservare che in Italia, il Paese più teatrale e frìvolo al mondo, nacque Leopardi, il  poeta più pessimista al mondo. Parrebbe una contraddizione, ma non lo è.
*
L'Italia sarebbe un paradiso terrestre se la sua storia avesse vantato, prima, una riforma luterana (anziché una controriforma di natura eminentemente estètica e scenogràfica) e, in sèguito, una rivoluzione francese: a raddrizzar le gambe del tàvolo. Ma gli italiani sono sempre stati e sempre saranno diffidenti verso personaggi quali Lutero e Robespierre: gente poco malleàbile e assai "avventata" .
*
I) Lo "Jus soli" è d'una ovvietà disarmante. Chi nasce sulla terra è terrestre, e chi nasce in Italia, se proprio lo vuole, sia italiano.
*
 II) Nuova Costituzione. "Jus soli". Colui che pur nascendo in Italia da genitori e nonni e bisnonni ed avi e arcàvoli italiani non vuol èssere italiano, non sarà costretto ad èsserlo.
*
 O l'una o l'altra. O i mass media quotidianamente e spudoratamente mèntono, o l'Italia è un paese incivile.
*
Ci giunge notizia che gl'italiani tèndono a disertare in massa il voto. E' un momento di sconforto, ma non c'è da preoccuparsi oltre modo. Quanto prima riacquisteranno, con la fiducia nella loro classe polìtica, la consapevolezza dell'aprico futuro da che sono attesi.
*
 Elezioni del giugno 2013 - Risultato del ballottaggio al Comune di Roma. La maggioranza de' quiriti non ha votato il signor Alemanno né il signor Marino. I Romani, vecchi marpioni, vogliono il ritorno del Papa Re.
*
 Nel Lombardo-Veneto i risultati dei ballottaggi comunali prima e l'èsito del referendum per l'indipendenza poi ci dìcono che le popolazioni indìgene rimpiàngono le illuminate amministrazioni absbùrgiche, che un avventato ed ingenuo processo unitario dell'ìtalo territorio aveva respinto di là dalle Alpi. Gli errori si pàgano. Franz Joseph imperatore, e sposo a Sissi, se la ride sotto i baffi.
*
Non da oggi il problema più grave e insolùbile che affligge la penisola non è dato dai polìtici italiani, ma dagli italiani. Ogni pòpolo è per gran parte il frutto della storia che ha saputo e voluto tèssere.
*
Mìseranda  Italia, non più penìsola ma atollo d'affanno e bùbbole, landa condannata al ghigno, un vile bistro t'imbratta la dignità violata.
*
Dall'Unesco sia tolta Pompei all'Italia: per la salvaguardia di Pompei e per l'agònica dignità dell'Italia.

 Il futuro del Paese è nell'incastro con la sponda africana.
*
Come la mùsica di Dvorak sono gl'italiani: ambiguamente folclòrici; e come la mùsica di Rachmaninov scenograficamente sentimentali.
*
L'italiano ci tiene a far sapere che all'occorrenza sa commuoversi.
*
Nell'Italia polìtica soltanto dopo i segnali necessari (ma spesso insufficienti) di un conclamato sbavucchiare (o sbavazzare), il vecchio potente prende in considerazione la straziante ipòtesi di deporre il surplus di potere che lo (in)ghirlanda.
*
 "Detto questo" - Nei loro discorsi i polìtici italiani - tutti indistintamente - sògliono collegare l'argomento trattato al successivo mediante la fòrmula standardizzata: "detto questo". Essi ignòrano, o fìngono d'ignorare, che finora non è che àbbiano "detto questo": non hanno detto nulla, così come nulla sarà quanto pomposamente s'apprèstano a dire.
*
Italia, inordinata tragifarsa.
*
 Come ultimo tentativo di salvarla da ciò che è, lancerei questo Paese in una rimota serra astrale, e ve lo lascerei mill'anni: a decantarsi, a mondare sé stesso... Ma che cosa ne resterebbe al momento del ricùpero?
*
In verità v'ha qualcosa di peggio della tanto vituperata corruzione dilagante in Italia: il letale dilettantismo che la sbrìciola e marcisce (1). Di nulla avrebbe bisogno il Paese, che rifiorirebbe immantinente a sfolgorar in tutt'Europa, se mai vi regnasse una sorta di corruzione (e depravazione) praticata da persone altamente qualificate e competenti. Non era forse questa l'Italia immortale e sublime del Rinascimento?
  (1) sia qui conceduto l'uso di "marcire" in senso transitivo: uso insueto e cimentoso, ma non al tutto interdetto alla bisogna

 "Si fore vis sanus ablue saepe manus" diceva un precetto della scuola mèdica salernitana. "Se vuoi èssere sano làvati sovente le mani". E' esattamente ciò che da sempre fanno gl'italiani.
*
L'Italia anche quando è triste ride. Ride di sé, e della sua tristezza, e della sua stoltezza.
*
Maggio 2013 - Che dire di un Paese che un tempo tenni per mio, che mentre se ne resta avvinghiato alla corruzione in un famèlico e lurco amplesso, non sa come salvare dal precipizio il prestigioso Maggio Musicale Fiorentino, miseranda vittima di quell'inveterata inettezza gestionale che lungo i patri lidi alligna, anche le cose più amate e delicate dell'arte infettando?
*
 Gli olandesi sono i padri dell'Olanda, gli italiani sono i figli dell'Italia.
*
Come le vacche sono sacre in India, in Italia sacri siano scèttici & cìnici
*
Al cittadino italiano non interessa punto il Bene comune se esso non coincide in misura perfetta con il proprio tornaconto personale (o, al più, famigliare).
*
Quest'Italia? Al propòsito si rammèntino le opportune parole di Orazio: "Sincerum est nisi vas, quodcunque infundis acescit" ("Se il vaso non è pulito qualsìasi cosa tu ci metta va a male").
*
L'Italia è un paese che infonde disperazione.
*
 Quale sìndaco saprà ben governare i romani come hanno saputo fare i pontèfici per sècoli? L'operazione più avveduta dei polìtici quiriti sarebbe dunque quella di riconsegnare il Campidoglio al confinante Vaticano, che assai conosce per esperienza ed ufficio, ossia per filo e per segno, i suoi polli: bonaccioni e menefreghisti, credenti e diffidenti, sensuali e irònici. Verso i quali la Chiesa ha sempre usato tolleranza morale - la condanna del peccato, il perdono al peccatore - sì da far accettare, o sopportare, alla cittadinanza l'astratta e rimota sfera della mera dogmàtica teològica.
*
Se tutti gl'italiani emigràssero il Paese sarebbe salvo.
*
 "Hic manebimus optime": così il centurione quirite al vessillìfero mentre in Senato discutèvasi se restarsi in Roma o trasferirsi in Veio; così oggi i deputati riconfermati su gli alti scranni delle Camere di fronte a la decorsa possibilità d'èssere trasferiti a Regina Coeli.
*
Per un utilizzo di nove "t" - Da troppo tempo in Italia è in atto un'intolleràbile dittatura della tolleranza.
*
Monti? Letta? Renzi? Ma no! Annibale.
Sia auspicata da e per l'ìtale sponde una robusta, raddrizzante e crocerossìstica dominazione straniera che, aspirato il marcio ed arginato il crìmine, èduchi gl'indìgeni a' vantaggi del Bene comune: qual si concepisce da Paesi prossimi e rimoti.

Roma non mi è mai piaciuta. Città brutta, sporca e cattiva. M'annoia la torma dei suoi monumenti, fastidiosi come mosche, e le mùltiple distese dei quartieri anònimi e scoloriti, che pàrtono dalle periferìe, invàdono il mio cuore e si pèrdono in un ìncubo architettonico. Io amo le città profumate e rotonde, mettiamo Mantova e Groningen, che respinta l'assurdità della vile dimensione umana ambìscono alle vaporosità della sognerìe. Alle pròssime elezioni per il sìndaco voterò colui che prometterà, pur inattendìbile, di costruirmi un largo palazzo, un ostello d'ideali, anzi: un opificio d'utopìe. Colui che chiamerà all'uopo, resuscitati all'uopo, due geniali architetti che avrei da sempre voluto facitori della mia casa, costruttori dei miei spazi: c'est à dire Etienne-Louis Boullée et Claude-Nicolas Ledoux, architectes visionnaires dans le siècle des lumières. Vorrei che il primo realizzasse per la mia città il suo progetto del "Circo" e della fantastica "Porta di città"; il secondo il suo sfèrico "Ricetto per guardie forestali" e la "Casa per quattro famiglie". Cose fuori del tempo, volte a cantare una piana e numinosa eternità che nei ritmi aristocràtici delle superfici e nella trasfigurazione di motivi distillati dall'antica Grecia disseterebbe la mia brama di pace interiore.
*
Allarme in Italia! Sono ormai intasate le fogne della corruzione.
*
Il Senso della Misura, o sia Il Trionfo della Moderazione
"A Firenze ogni 500 anni nasce un grande uomo: lui (1) è uno di questi" (Roberto Cavalli, couturier fiorentino).
(1) "lui" sia riferito a Matteo Renzi

Un'ìtala signora che si dèdica all'ìtala polìtica ci avverte che l'ìtala gente è oggimai scivolata in uno stato di disperazione. E' da crèdere che la sua mesta constatazione risponda al vero soltanto in parte, giacché l'ìtala gente è disperata non da oggi ma da sècoli e sècoli -  Da sècoli e sècoli si avverte che chi è colpa del suo mal ha da piàgnere sé stesso.
*
Affé di Dio, guarda! guarda, se reggi, che cataclismàtica procella di balle verbali s'abbatte sul già diruto ausonio suol.
*
La malfatta Italia: vano tentare di cambiarla. Al più il cittadino può fìngere di scandalizzarsi e il polìtico fìngere di cambiarla.

La prassi polìtica disquisisce, frèmita. s'arrovella, alterca, s'abbaruffa su quale fra le fùnebri onoranze più s'attagli a l'Italia: che va decedendo èbete.
*
Non sorprenda la capacità degli italiani di adattarsi al declino di cui sono attori consumati e vìttime indolenti.

 Appello al Presidente del Consiglio incaricato - Signor Renzi, La prego: illuda. Signor Renzi La scongiuro: m'affidi il "Ministero per la felicità dei cittadini". E Le prometto baccanali d'ogni sorta & sporta in ogni metròpoli, contrada, abitazione, cuore.
*
Ai solenni senatori così Matteo Renzi la prima volta si compiacque di volgersi: "Sono venuto a casa vostra per sbàttervi fuori: una volta per tutte". Al compimento della parlatura, nàrrano le crònache più attendìbili che il premier non riscosse battimani passionati dagl'intorcinati senatori.

Letta, o della Melanconìa.
Renzi, o dell'Opificio.
L'Italia, o della Melanconìa dell'Opificio.
*
L'Italia è rapinata e prostrata da' furbi. Se lo mèrita.Tutti in Italia aspìrano ad èssere furbi.

... e via via Monti, Bersani, Prodi, Letta, Renzi, Napolitano.... Sarà dagli stòrici definita la presente e morta stagione "Età delle vìttime sacrificali".
*
Vent'anni fa la metà degl'italiani si schierava con Berlusconi. L'altra metà no: attendeva Renzi.
*
La borghesìa italiana lasciò a quella francese il còmpito della rivoluzione e se ne lavò le mani. E due sècoli dopo ne paga le conseguenze con la propria agonìa.
*
Il Senato non sia abolito, ma fatto Tempio oligàrchico della Disperazione. 

                                                                                *****

AROMI NEDERLANDESI

Dispero che avrò mai agio di scrìvere in nederlandese fluente, come vorrei, qualsivoglia pensiero. Non ho più l'età giovane per assorbire ed impiegare, quale seconda lingua, un arduo idioma che si snòcciola aspro ed orgoglioso tra il todesco e l'inghilese. Ma non mi dò per vinto, e come il filòsofo persèvera nell'accanita ricerca della "verità" pur cosciente che al conseguimento di tale "verità" non gli basterà una vita, e neppure cento, ma per la quale darebbe la vita, così io continuo periodicamente a studiare il nederlandese benché gli èsiti conseguiti non giustìfichino l'inconcludente tenacia. (E  sovr'a tutto non darei la vita, ancorché meschinetta, a detta lingua non essendo superfluo in certuni casi rimembrare che "est modus in rebus"... Eppoi Spinoza e Huig van Groot e Desiderius  Erasmus  non scrìssero le òpere loro in latino? Sweelinck non si espresse in mùsica? E Vermeer e Rembrandt e il mio prediletto Jordaens, e van Gogh e Mondriaan e De Kooning non parlàrono attraverso le tele?)
*
Sono grato alle catàrtiche armonìe che ascèndono dalle argentee canne di un òrgano, ma armonìa  più compita mi è  la vista di un tàcito polder.
*
 L'Olanda è una monarchìa, ma sarebbe la stessa se fosse una repùbblica. L'Italia è una repùbblica, ma sarebbe la stessa se fosse una monarchìa. Questa la differenza fondamentale fra i due Paesi.
*
 Nelle città nederlandesi il pedone che attraversi la strada ove più gli garba rischia d'èsser travolto dall'automobilista, il quale non ha alcuna intenzione di rallentare la velocità dell'auto di fronte all'improprio e scostumato ostàcolo, sicchè non è improbàbile che la carcassa del pedone sia destinata ad un lindo lettino nosocomiale. Ma se il pedone prenderà la savia risoluzione d'attraversare la strada sulle non infrequenti strisce pedonali, l'automobilista comincerà a rallentare la velocità del mezzo cento metri prima del passaggio di quello e si fermerà del tutto venti metri prima, affinché il pedone compia l'attraversata con passo còmodo, sguardo rilassato e spìrito sereno, sicuro in quei momenti di non commèttere ad una bieca sorte ma all'educazione cìvica dell'automobilista la grata integrità della propria carcassa, la delicata ragnatela del proprio senno.
*
Tengo sempre i Paesi Bassi in standby.
*
 Pur di parlar bene la lingua nederlandese accetterei di buon grado di parlare sgangherato come un polìtico quella italiana.
*
Ne sono intenerito: nei Paesi Bassi anche le puttane sono cittadine stimate.
*
 Quello delle doppie vocali nella lingua nederlandese è un atroce rompicapo che soltanto chi è stato allattato dalla bella, ritrosa e scontrosa madrelingua olandese non lo patisce. Ad ovviare a siffatto incaglio le genti nederlandesi pràticano da lunga pezza l'inglese come seconda lingua: una forma di rispetto e di grata accoglienza vuoi dei turisti bramosi di zòccoli, tulipani, mulini a vento e luci rosse, vuoi dei commercianti e imprenditori foresti, i quali non di meno se n'èscono malconci dalle trattative con gl'indìgeni, già che i nederlandesi magari non sono inchini a coltivare busilli metafisici e aporìe escatològiche, ma povero te se scendi a tenzon d'affari con loro, ché ti strèmano come ingenua pastorella va cedendo senza accòrgersi del cedimento in atto. (Sulla natura e sulla psicologìa degli olandesi leggi le memoràbili pàgine di Huizinga: da pronunciarsi "Hàuzinga" con la "eu" francese e con gravissimo e ìnfero raschiamento gutturale della "g").
 *
 Solo il cielo olandese conosco più mutèvole del mio umore.
*
I Paesi Bassi sono in festa per il "Giorno della regina", Beatrix van Oranje-Nassau, che il 30 aprile 2013 abdica in favore del figlio primogènito Willem Alexander. Una monarchia democràtica, un Paese "normale", una classe polìtica "normale", una gente "normale. Non si può di certo negare che sotto il profilo della morale mediterranea gli olandesi sìano persone assai riprovèvole, da non prèndere ad esempio, pervicacemente dèditi alla pràtica di peccati veniali e mortali: spinelli, quartieri a luci rosse, eutanasìa, matrimoni gay con correlata adozione di bambini, et cetera... di fronte alle quali perversioni scolorìscono i loro mèriti per i sostegni sistemàtici alle famiglie, la lotta vincente alla disoccupazione giovanile, l'assistenza gratuita alla vecchiaia, l'inesausta battaglia contro l'elusione fiscale, l'eccellenza dei sistemi sanitari e scolàstici, le imponenti risorse finanziarie destinate alla cultura, alle scienze e alle arti, etc... In verità nessun mèrito può valere se non accompagnato e sorretto dai principi di una morale latina che, seppur non praticata, reputiamo inviolàbile giacché tratta per via diretta  dall'Assoluto.
*
 30 aprile 2013 - Da oggi i Paesi Bassi hanno il nuovo re: Willem Alexander van Oranje Nassau, figlio primogenito di Beatrix che ha abdicato in suo favore. Solenne cerimonia d'incoronazione nella Neue Kerk di Amsterdam in Damplein. Leve de Koning der Nederlanden! Het vaderland van Spinoza is mijn vaderland.

Chi afferma che i nederlandesi si sono nutriti meno della civiltà borgognona che di quella tedesca non ha capito nulla dello spìrito del mio pòpolo.
*
 M'infastidìscono, non so perché, quei molti legami stretti dai Paesi Bassi con la Spagna nel Cinque e Seicento. M'affàscinano quelli che nel sècolo dècimo quinto sono stati coltivati fra i Paesi Bassi e il ducato di Borgogna. Quanto ai rapporti con la Germania, dùbito che Johan Huizinga abbia scritto cose verisìmili circa l'estraneità culturale fra la civiltà nederlandese e la tedesca, anche se auspicherei che la realtà fosse stata quella. Del resto il grande stòrico scriveva nell'època degli orrori nazisti sul suolo patrio ed era cosa comprensìbile e giustificàbile che volesse recìdere, o quanto meno ostacolare, un'intolleràbile vicinanza od influenza di civiltà. Il pòpolo nederlandese ama gl'inglesi, non ostante abbiano avuto distrutti da questi la superba flotta e l'impero coloniale; ed ama i francesi perché van bene la domèstica birra e lo jenever, ma la sciampagna gàllica è tutt'altra cosa. Quanto agl'italiani, le gente olandese li osserva con preoccupata (oggi) e divertita (ieri) incredulità.
*
 Non leggo più il pur incantèvole Lichtenberg dacché ho appreso che aveva in odio i nederlandesi.
*
Ho trascorso la più parte parte del mese di gennaio (AD 2014) nei Paesi Bassi e ne ho approfittato per godermi ancora una volta la gran pittura olandese e fiamminga del sècolo dècimo sèttimo. Da sempre m'attràe la tumultuante kermesse imbandita dai Manieristi della Scuola di Haarlem, ma sono due su tutti i pittori da me prediletti: Rembran(d)t e Jacob Jordaens. E forse ancor più il secondo del primo (come si può preferire Haendel a Bach, i fasti della sensualità alle solenni profondità dello spìrito, l'eccesso alla misura, il colore al disegno, l'azzardo al càlcolo, il barocco al clàssico nelle riarse sere d'estate). Ma anche sono tornato alle tele di Vermeer, alla sua pittura soffusa d'un pudico lirismo, ed in talune di esse, ove il lirismo s'accentua, m'è parso di sognare sottili rispondenze con l'àure musicali di Chopin (penso in specie alla "Ragazza con turbante" e alla "Donna in blu"). E sono tornato a Mondriaan, e ne ho dubitato, ed all'ùltimo van Gogh, che più discendo negli anni più il vento che curva quei tràgici campi m'adombra lo sbocco.... Non di meno non è a crèdere che più stinta goduria abbia io avvertito in Olanda assaporando di buon mattino presso gli appòsiti chioschi - come lì costùmasi - i polputi tocchi dell'aringa cruda: cosparsi di scostumata cipolla e accumulati su ùmile cartoncino donde uno stecchino, con cadenza relativa all'appetito di chi lo manovra, va traèndoli alla bocca.
*
Sogno un'Europa lìbera, senza confini, aperta ad ogni uomo e pòpolo del mondo, e un'Olanda-fortezza con barriere d'acciaro chiuse a tutti tranne che a me. Uno scrigno è uno scrigno. 


                                                                            *****

UN PAPA DIMISSIONARIO E UN  PAPA NUOVO

Le dimissioni

 I) Sua Santità Benedetto XVI si è dimesso. Lo capisco, sono anch'io pensionato.
*
II) Ci si è domandati il motivo di quelle dimissioni. Anch'egli è uomo, e nella testa degli uòmini vòrticano notoriamente insondàbili garbugli.
*
III) Per compiere un gesto come quello delle dimissioni, da alcuni addebitato alle deficienze delle forze fìsiche, il papa deve aver avuto in sé una forza erculea.
*
IV)  Dio, di cui il papa è il rappresentante sul nostro picciolo pianeta, avrà accettato le dimissioni? E se le avesse respinte sollecitando lo Spirito Santo ad illuminare i cardinali per la rielezione del Ratzinger? Il "papa emerito" avrebbe l'ardire di reiterare un no a Dio che neppure il più erètico dei credenti ardirebbe pronunziare? Vero è che nulla deve stupire di quanto accade. All'uomo è destinata l'ignoranza delle cose, ed essendo ignorante non gli s'addìcono la verità né, tanto meno, il giudizio. Pensiamo invece quanti stolti pàrlano con la bocca straripante di quella che loro proclàmano la "verità" ed è per contro mera e mìope opinione.
*
V) Un vicario di Cristo che si dimetta s'umanizza.
*
VI) Non v'ha dubbio: i tedeschi hanno sempre posto seri problemi al mondo intero.
*
VII) Ho la sensazione che in terra tedesca, e bavarese, anche dopo l'elezione del nuovo pontèfice, molti cattòlici tradizionalisti in cuor loro non cesseranno dal sentire come "loro" papa il dimissionario.
*
 VIII) E se nel colmo della notte il "papa emèrito" si destasse di soprassalto gridando: "Oh! Dio mio, che m'hai fatto fare?"
*
 IX) Favola - Lu pastore, lasso, abbandonò lu gregge suo. Che melanconioso facette: "Beee, beee...".
Morale della su narrata favola: il disinganno ha un universo raggio.
*
X) Se Sua Santità si è "dimessa" da Vicario di Cristo sulla terra in ragione - si narra - dell'ormai bilicante vigore fìsico, si è costretti a constatare, per l'ennèsima volta, l'egemonìa della materia sullo spìrito, o sia la dipendenza di questo da quella. Del resto lo spirito svolazza e si sollazza, gorgheggia e caprioleggia, s'attrippa e s'estolle (alla catarsi), ma lo fa grazie ai "dindi" di mamma materia. E lorché i dindi svapòrano, per lo spìrito sono guai. Vita grama, vita stenta e... dimissioni. Non sarebbe stato meglio se fòssimo stati creati di solo spìrito? o meglio, per semplificare le cose, di sola materia? Questa dualità inamalgamàbile destinata ad insanàbile conflitto, quest'aporìa genètica non meno bizzarra che sospetta pone gli èsseri sensìbili e delicati (p.e. il Ratzinger) in situazioni esistenziali imbarazzate ed imbarazzanti, che coinvòlgono financo Stati teocràtici e Popoli di fedeli. Pazienza. Rècita l'adagio che "non tutte le ciambelle rièscono col buco". E fra dette ciambelle si còntino i figli d'Adamo.
*
Fumata bianca: Papa è Bergoglio. E dall'Olanda: "Ze hebben een paus" ("Hanno un papa").
*
 La figura di un "Papa Emèrito" è più raffinata di quella di un papa "regnante". Al secondo, si sa, si rivolge la sterminata massa dei fedeli; al primo s'accòstano le ristrette cerchie degli emotivi, degli estenuati, degli inappagàbili, de' collezionisti di rarità squisite, dei "decadenti" (o siano i Des Esseintes). All'àurea e fulgente imago del papa "regnante" si contrappone l'epifanìa umbràtile e argentea del Papa Emèrito, trionfo paradigmàtico delle età segnate dalla voluttà del declino.
*
Santa Romana Chiesa nel vòrtice degli scàndali. A quando il palingenètico riscatto, o sia "purga",  d'un redivivo Lutero?
*
a) Se la Provvidenza ha voluto duplicare il papa - due papi inginocchiati l'uno a fianco dell'altro nella comune preghiera - c'avrà pure avuto i suoi buoni motivi. Che non sta a noi congetturare.

b) Quanti vedendo due papi in Vaticano penseranno di veder doppio?

c) Due papi in Vaticano: la realtà ha delle ragioni che la ragione non conosce.
*
 Ha detto il santo padre Francesco: "Noi uòmini abbiamo tanti peccati, ma Dio ci perdona sempre". Dobbiamo senz'altro dedurne che Dio è buono, ma che non predilige la linea retta, altrimenti invece di perdonare di volta in volta i suoi figli peccatori avrebbe stroncato per sempre il peccato fin dal suo primo far capoccetta. Contro cui in orìgine l'Adamo incocciò, e seco lui l'Eva di lui germana. E, appresso ai due protòtipi, tutti o quasi gli èsseri umani: peccatori chi più chi meno, tanto da trasformare lungo i dimolti e variopinti millenni il bruciante stato peccaminoso in aquoso stato di routine.
*
Silenzio opinàbile della Chiesa che ha inteso coprire gl'incredìbili crìmini di preti e vescovi pedòfili; però meno grave del silenzio che la stessa volle stèndere sul genocidio degli Ebrei... Perché la Chiesa ha sì cari i silenzi? Gesù era uomo d'inequìvoca parola, non d'ambiguo tacere.
*
"Fate il Bene", esorta papa Francesco. Come non rispòndergli di sì? Fare il Bene è il còmpito più nòbile, misericordioso e catàrtico che l'uomo dotato di retta ragione e profondo sentimento possa e voglia assùmersi. Va da sé che prima d'avviare la propria azione intesa al più fùlgido fra gl'ideali l'uomo deve aver ben chiaro e definito il concetto di Bene, al fine di non imboccare vie sbagliate od ottenere l'effetto opposto a quello meritoriamente programmato. Il Bene, come del resto il Male, è parola all'apparenza elementare ma nel concreto equìvoca, elusiva e traditora, ed anche polisemantica al paro d'ogni parola serie ed autorèvole. Cos'è il Bene? Se una gomma dell'automòbile si buca si domandi al conducente incazzato ed all'accorrente gommista se il Bene loro coincida; e se le suole delle scarpe si consùmano si domandi al viandante poverello ed all'alacre ciabattino se concòrdano sul Bene dell'evento; e se il professionista è colto dall'influenza ed il mèdico accorre al suo capezzale si domandi loro qual sia la jella, quale il bene. E, per citare un caso elencato nei "Ragionamenti dùplici" di un sofista allievo di Protagora nel 400 a.C. vèdasi se coincise il Bene fra gli spartani vittoriosi in guerra e gli ateniesi sconfitti... E il Bene dei Crociati e quello degl'infedeli erano sovrapponibili a puntino? E fra Absburgo e Savoia? E fra Islàmici integralisti ed infedeli d'oggidì? E fra Russi ed Ucraini? A farla corta, chi ci assicura che il Bene mio e il tuo siano tutt'uno? "Detto questo" (come dìcono i polìtici avvezzi a non dire niente), ci si dèdichi pure a fare il Bene, secondo sollècita il santo padre, usando l'accortezza, ove possìbile, di non cagionare, sia pur a fin di Bene, il Male altrui.
*
"Avete visto che cosa brutta è un cristiano stanco e annoiato?" (Papa Francesco). E' vero, anche se non è cristiano.
*
Papa Francesco ha accennato all'esigenza di una "teologìa della donna". Questione gigantesca da quando la Bibbia ci comunicò che Dio aveva creato per primo l'uomo e,  in sèguito, la donna traèndola da una còstola dell'uomo, e non già che Dio aveva creato la donna la quale aveva  dipoi partorito l'uomo: come Maria avrebbe partorito, ancorché vèrgine, il figlio suo Gesù. Nella Chiesa, la posizione subordinata della donna all'uomo è palese, e d'altronde il papa l'ha riconfermata. Quale "teologìa della donna" sarà possìbile? Il novello pontèfice assicura  che la Madonna è più importante di apòstoli, preti e vèscovi, ma non ci dice che la donna è più importante dell'uomo, od almeno importante, nell'àmbito teològico, quanto l'uomo. E ancora: Dio non è uomo né donna. Le tre grandi religioni monoteiste concòrdano su ciò, eppure tèndono ad impiegare sempre il genere maschile (mai quello femminile) riferèndosi a Lui. Il cammino "teològico" della donna è ancora lungo, assai lungo: non se ne scorge la meta.
*
Il papa ha dichiarato di non aver il diritto di giudicare chi è gay. In verità, non abbiamo il diritto di giudicare l'uomo tout-court.
*
"Non siate mai uòmini tristi, non lasciàtevi mai prèndere dallo scoraggiamento" (papa Francesco).
 A scrutare la poco edificante Storia dell'umanità, le vicende dei pòpoli sfruttati per sècoli, la ferocia con cui la cieca Sorte infierisce ab origine su ànime e corpi, pestilenze e guerre che falciano generazioni, parmi che gli amorosi detti del pontèfice indirizzàtici rìschino di risonar come disumanìssima richiesta.
*
Non aveva punto torto papa Ratzinger a combàttere strenuamente ogni forma di relativismo.... Nel momento in cui papa Francesco esortava la folla de' fedeli plaudenti in piazza San Pietro a ringraziare il buon Dio per il dono fàttoci della vita, quella vita centinaia di bambini in altre parti del mondo la perdèvano per denutrizione e disidratazione tra la moltitùdine delle mosche plaudenti.
 *
Le recenti e scandalose vicende della Santa Sede per ciò che concerne la pratica pedòfila e la corruzione finanziaria contribuìscono a rimarcare il sentimento d'orgogliosa estraneità che provo per un mondo che lì apparecchia un'occulta e grassa cucina di vivande avariate.
*
"Dio non si stanca di perdonarci", ci assicura papa Francesco. Temo che sia proprio questo il nostro guaio. Non ci emenderemo fintanto che il piacere del peccato sarà in noi esaltato e "raddoppiato" dal piacere d'èssere perdonati. Per sua mala ventura l'uomo è dèbole nell'ìntimo (non meno che nella carne), per natura conformato a quella che egli giùdica devianza (o nequizia). Non sia dunque vie(p)più stimolato a birboneggiare, a sùggere il miele del peccato, benché l'inferno se lo meriti a prescìndere dal fatto che ha ardito rampollare su questa valle di tentazioni, più vane dell'innocenza.
*
"Dio è gioioso" (papa Francesco). Non pochi tra noi, su questa terra, meno.
*
Malavventurati Santi Padri de' sècoli IX e X. - Giovanni VII morì colla testa fracassata da li nimici sua. Papa Formoso, ormai defunto, fu riesumato e gittato nel Tevere già carcassa putrefatta. Il dispetto glielo fece papa Stefano VI. Leone V fu carcerato ed accoppato, et eguale sorte toccò  all'antipapa di turno Cristoforo. Papa Sergio III ebbe ad amante la potente puttana Marozia con la quale generò il pròssimo papa Giovanni XI, il quale, invero irriconoscente, facette imprigionar la mamma ma poi spirò carcerato. Nell'intanto Giovanni X rendea l'ànima a Dio soffocato da un cuscino nimico. Giovanni XII, sessuomane, fornicatore et adùltero, abbandonò l'umana dimora mentre copulava nella dimora di una signora maritata. Benedetto VI passò nell'al di là grazie ad un forte strangolamento. Anche Giovanni XIV finì i suoi giorni in gattabuia, affamato. L'antipapa Bonifacio VII l'avvelenorno, e ne lasciorno il cadavere insepolto. L'antipapa Giovanni XVI fu mutilato per ordine dell'Imperatore Ottone III, che avea fatto papa il cugino ventitreenne Gregorio V.


                                                                     *****

FRA I VERZIERI DEL "BELLO"

Secondo vari modi l'arte ha ognora significato la più radicale ribellione al mondo qual è. Per tale ragione è sì bella - quand'è arte.
*
Platone aveva visto giusto. Ogni idea sradicata dalla sua pura astrazione e scaraventata nel caos del reale s'ammala d'un morbo che d'un sùbito la conduce a morte: la contraddizione. Ad esempio: l'idea del Bello, cui tutti si guarda con vivace ammirazione pari a rispettosa voluttà, si frantuma in mille idee l'una opposta all'altra, l'una intenta a vanificare l'altra, e ciò ch'è bello per me è brutto per te, e a me sfizia assai la mùsica aleatoria intanto che il tuo più scandalizzato diniego estètico la schifa. E ciò che era bello l'altrieri non lo è più oggidì, e ciò ch'è bello a Ragusa non lo è a Rotterdam... Avec une écriture cunéiforme très chic, sentenziava nu prèvete assiro-babilonese intorno all'anno 2000 (a. Ch. n.): "Non è bello ciò ch'è bello ma l'è bello ciò che piace".
*
 Manlio Sgalambro buonànima, fu lui che m'insegnò a diffidare della mùsica: l'arte che più t'illude ed inganna mostràndoti attraverso l'òpera alchèmica dei suoni un mondo stregato che non esiste nella miseranda realtà.
 *
Al contrario dei Sofisti vorrei guadagnarmi da vivere insegnando la mia ignoranza
**. 
 Impossìbile spiegare perché mi piaccia un quadro o un dramma teatrale. Del piacere estètico posso a mio agio constatare l'esistenza, ma non posso darne giustificazione. Nulla di più arbitrario del gusto.
*  
Esecranda banalità - La pittura sta alle cose della natura come la mùsica ai moti dell'ànima.
*
L'arte è marginale.
*
  Non tutto ciò che mi emoziona trova la mia approvazione. Ad esempio: leggo con diletto perverso e vergognoso i romanzi d'appendice di Eugène Sue, ascolto con spurio pathos i melodrammi popolari di Verdi, guardo con intimo ammicco le òpere filmiche di Tinto Brass...
*
Il cìnema di Tinto Brass è giocato fra l'elegante levigatezza di Antonio Canova  e le pulsioni di George Grosz. Rivalutiàmolo, con moderazione.
*
 L'arte rappresenta tutto ciò che siamo impossibilitati a possedere. Donde il suo fàscino, l'ìntima sua melanconìa, la sua crudeltà.
*
Caro amico perdona, se puoi, i miei gusti attardati: lungo le mezze stagioni la pittura per me ha nome Odilon Redon.
 *
 Ammesso e non concesso che esista, l'arte si fa. Parlarne è còmpito che si è assunto l'Estètica: disciplina capricciosa e paludata che, al pari della Metafìsica, erige un discorso vano intorno a quanto perennemente va fra indefinìbili parvenze tremolando.
*
Ascolto Chopin, e mi torna a mente Baudelaire: "La bellezza è un mostro enorme, terrìbile, senz'arte". Ogni cosa s'elide con le altre, mentre corruschi si stàgliano ne' cieli i trionfi della contraddizione.
*
 L'arte è devota compagna di viaggio ma ìnfido approdo.
*
Mi affàscina la pittura: quella edile in specie.
*
Il tanto onorato "piacere estètico" è un derivato slavato ed impotente del "piacere" tout-court. Il quale, infinitamente fugace, è una sorta di droga che ti lascerà più acre ed intolleràbile la condizione quotidiana del vìvere.
 *
  Il Barocco è una brutta bestia. Si spampana scandaloso in euforìa smoderata, s'arrìcciola quando intende leziosagginare come una perita cocotte, s'inèrpica verso la ridondanza di zuccherose vette, sprofonda in atri ìncubi e letali ossessioni se l'invade la coscienza dell'universa inanità.
*
Osservando l'architettura barocca ho la sensazione che i suoi fasti rincuòrino sovente la melanconìa dei vuoti, che nell'arte clàssica e classicista sono ritmi sovrani.
*
Che il silenzio partècipi del linguaggio musicale è un dato di fatto tècnico; che la mùsica partècipi del silenzio è un fatto poètico.
*
Stante che la parola è altro dall'oggetto cui si riferisce, ogni discorso è a spropòsito. Ma nel contempo è grazie alla sconnesione fra significante e significato che può aver vita la poesìa: anzi, è la poesìa il luogo d'eccellenza ove più forte e stridente è la discordanza fra parola e suo oggetto. Se la parola aderisse come un guanto al contenuto non sarèbbero mai nati Lucrezio, Petrarca, Goethe, Baudelaire, etc...
*
  L'arte contemporanea è memoranda espressione dell'abbrutimento e della follìa in cui l'èssere umano può precipitare - ed è precipitato - nelle fosche età di barbarie qual è la presente.
*
Metti che ascolto la "Pastorale" di Beethoven ma che di questa Sinfonìa non ne riconosca neppure una nota. Così m'accade quando leggo una poesìa tradotta in una lingua diversa dall'originale: se leggo "L'infinito" di Leopardi in tedesco non m'appare alla vista una sola parola dell'originale in italiano: si tratta di due poesìe affatto diverse, anzi di una poesìa e di un qualsìasi scritto. Nessuno può impunemente sostituire le parole del poeta con altre parole, al pari delle note del compositore e dei colori del pittore. E' tempo perduto, la mia lettura è vìttima di un inganno culturale: "L'infinito" leopardiano è traducìbile solo al costo d'abbàtterne l'esistenza.
*
 I lettori di poesìe còrrono seri rischi. Ma più seri li còrrono coloro cui càpita per disavventura di lèggere le poesìe d'emulazione di quelli.
*
 L'impudica rettòrica spiritualìstica che accerchia ed impregna di sé il discorso estètico sulla mùsica a datare dal sècolo dècimo nono, m'ammorba e deprime fino a ingenerarmi un moto di repulsa nei confronti dello stesso linguaggio dei suoni. Pappagallescamente s'usava ripètere un tempo: "Tutte le arti aspìrano alla condizione previlegiata della mùsica". Non lo crèdo. La mùsica aspiri per contro alla funzione d'ùmile sottofondo, carta da parati, coadiuvante di tranquillanti & sonnìferi,  preparazione ai parti... Non sia essa foriera d'èstasi ma pròdromo di silenzi.
*
Non confido nell'Estètica perché credo nell'inoppugnabilità del gusto soggettivo e non già nella presunzione del giudizio "oggettivo". Il gelato mi gusta al limone e cioccolato, e sulla frittata di cipolle ci verso su un fiotto d'aceto rosso. Non so fino a quando. Forse fino al giorno che cominceranno a piacermi Dante e Albeniz e a dispiacermi Petrarca e Ligeti.
*
Mùsica, cìnema e letteratura: potenti sonnìferi. Non architettura e archeologìa. E' un giudizio di postura.
*
Um-pa-pa -  Siano messi al rogo tutti quei brani musicali fàttisi stomachèvoli nei concerti mattinali d'ogni primo dell'anno, inflitti all'ascolto ancora avvinazzato dei telespettatori d'un'Europa semmai bisognosa de' sommessi accordi d'un Requiem compassionevole.
*
Omero, Michelangelo, Beethoven e tutti voialtri di razza sopraelevata: non crediate d'aver ingredienti acconci ad assaporire la vivanda monòtona dell'umana esistenza.
*
Adoro filmacci, quadracci, musicacce, libracci. Mi òffrono una pronta direzione e una fàcile giustificazione alle mie ribellioni, e mi làsciano il cervello a bagnomarìa, e mi concìliano un grato sonniferare: yes, cose parve (parvacce) sed apte mihi.
 * 
 Mi ritrovai una sera ad ascoltare un concerto camerìstico di un gruppo vocale e strumentale tedesco che interpretava mùsiche d'avanguardia di metà Novecento: òstiche assai agli òrgani uditori più costumati. Al tèrmine della cruda performance, mentre escivo di sala, mi s'avvicinò una signora di mezza età, musicòfila, anzi musicopàtica, che aveva il vezzo di contraddire ogni volta i miei pareri musicali, peraltro da lei richièstimi. Frastornata da quel subisso di "cacofonìe" grandinàtele sulla capa nel corso del concerto, mi domandò sconcertata: "Mi perdoni, ma Lei che ne sa più di me sa dirmi che diàvolo è la dissonanza?". "Signora mia - le risposi urtato - se vuole averne un'idea sia pur vaga, pensi al rapporto che intercorre tra Lei e l'universo tutto"... N'ebbi un insulto, ma fu da quell'istante che la signora usò l'amabilità di non indirizzarmi più la parola.
*
Per non percòrrere invano le molte e diverse vie dell'arte si consiglia di revisionare ogni mattina il proprio giudizio estètico e di sostituirlo almeno una volta al mese. Se invece queste vie non piàcciono  non ci si vergogni di affermarlo con orgoglioso vigore. L'unico motivo per cui l'arte non è superflua è perché nessun piacere lo è. Ma non tutti amano godere di tutti i piaceri, se non i più spudorati tra gli edonisti.
*
 Anche a Picasso capitava di dire frasi idiote come questa: "L'architettura è l'arte dell'intelligenza".
*
Tienti lontano quanto più è possìbile dalle ferali illusioni dell'arte. Rifiutati di ascoltare le note di Bach e Beethoven, di guardare i dipinti di Vermeer e Van Gogh, di lèggere le opere di Ronsard e Proust... Il linguaggio della poesìa è una breve festa in maschera: ti lusinga, risucchia, affattura e  spinge a confidare in una torma di fantasmi estètici che però, senza preavviso, vanìscono sul più bello facèndoti ripiombare, nudo ed indifeso, nell'insulsa realtà del mondo. L'ùnica speranza che ti rimane è quella che anche la miseranda "realtà effettuale" altro non sia che un fantasma, simile ad un fuoco fatuo ingenerato da un arcano capriccio del Nulla, o - ipotesi più verisìmile - ingenerato da un improvviso ghiribizzo dell'umana follìa. L'arte non è dolce bàlsamo alla disperazione ma tòssica menzogna di felicità. L'annessa "catarsi" non ascesi dell'ideale ma raggiro del vero.

 "Les grands artistes n'ont pas de patrie" (De Musset) e neppure le òpere d'arte. L'arte è la negazione della patria. Oldenbarneveld ha fatto grande l'Olanda, Rembrandt il mondo. Beethoven scriveva ad un amico che gli cercasse una moglie delle sue parti e, in via subordinata, una serva servizievole, ma la sua "Missa Solemnis" anelava al Logos che non parla tedesco.
 *
 Esecranda banalità - La pittura sta alle cose della natura come la mùsica ai moti dell'ànima.
*
28 aprile 2013 - "Viva la libertà". Che cosa volere di più dal talento di un attore di quanto dà Toni Servillo in questa bella òpera cinematogràfica di Roberto Andò? Si rimane magati dalla raffigurazione del doppio personaggio realizzato dall'intèrprete campano con il rigore di un bulino e la precisione realistica di un pittore fiammingo. Ogni gesto, e parola e istantanea del suo viso sono racchiusi nelle pàgine di un libro esotèrico riservato all'antica scuola dei sacerdoti e delle divinazioni. (Forse solo ne "Le conseguenze dell'amore" Servillo ha superato quest'ùltima prestazione).
*
 2 marzo 2014 - E' scomparso Alain Resnais. Debbo al suo film "L'année dernière à Marienbad" una tra le esperienze estetiche formative della mia giovinezza.
*
 Marzo 2014 - "La grande bellezza", premiata con l'Oscar, è un gradèvole esercizio di calligrafìa cinematogràfica firmato da Paolo Sorrentino. Il quale qui sta a Fellini come Renzi a Berlusconi, Mahler a Wagner, Manganelli a Gadda, lo spumante allo champagne, Jordaens a Rembrandt, la mozzarella alla bùfala. Opera corèutica e corale: ossia il ballo e il generone capitolino. Il primo a rievocare le sgangherate pulsioni di una sensualità e sessualità impotenti: il secondo come affresco variopinto di una borghesìa e di un gruppo pseudo intellettuale affetti dal morbo letale di una fùtile alienazione. Nel mezzo, emergente quasi a cùpola laica da un'umanità nevropàtica ed elèttrica, il personaggio del giornalista dandy e désengagé interpretato da par suo da Toni Servillo. La cui performance contribuisce a rèndere più meritèvole d'assenso il cimento sorrentiniano, cui partècipano altresì un Roberto Herlizka degno di un miniaturista fiammingo, l'assai meringata Sabrina Ferilli e la nota màschera di Carlo Verdone.
 *
Dopo la proiezione del film sorrentiniano, tutti sembrano interessati a parlare di "bellezza" non sapendo che cosa essa sia giacché nessuno l'ha mai saputo né mai lo saprà. O meglio, esistono tanti concetti e definizioni di "Bellezza" quanti sono i cervelli che la pènsano e la giùdicano come tale. Nulla di più opinàbile del cosiddetto e presuntuoso giudizio estètico, che sarebbe più appropriato definire modestamente "giudizio di gusto": anzi, il gusto non dà giudizi di caràttere oggettivo ma fòrmula soltanto pareri sulla scorta di sèmplici e vaghe impressioni. Il "Bello", il "Brutto" sono parole lìquide o, se si preferisce, insensate, al pari del "Bene", dell'"Utile (e dei loro opposti), etc... La realtà con la quale abbiamo a che fare non è quella che è in sé, ma quella che i nostri sensi fallaci e la nostra ragione vacillante percepìscono tra mille dubbi ed equìvoci. Non a caso ci affidiamo ai dogmi, che per definizione si sottraggono ad ogni giudizio, per poter godere d'un mìnimo di certezze, conforto & bàlsami. L'uomo non è un soggetto che ha di fronte l'oggetto-universo da valutare e giudicare, ma, ahinoi, è una rotellina microscòpica all'interno di quell'universo, o màcchina infinita in cui s'inabissa e di cui ignora affatto l'orìgine, la natura, la forma e lo scopo. E tutto ignorando, pretende di sapere cosa sia niente meno che la Bellezza. (A mio parere essa è ciò che fra tutto l'inesistente meno esiste, e pertanto ciò su cui l'uomo più fantàstica desideroso).
 *
Un 5 marzo nasceva P.P.Pasolini. Pochi films ho amato e amo più del "Il vangelo secondo Matteo". Non un'òpera cattolica in senso stretto ma d'universale pietà "religiosa".

 Quando l'equìvoco è benemerente - Il contatto emozionale con un'òpera d'arte ti fa sentire "artista". Sia essa ognora lodata.
*
Quanta pittura insulsa ha l'ùnico "pregio" d'èssere del Seicento? e quanta mùsica stucchèvole è incensata per il sol fatto d'èssere stata composta nel Settecento? Sembra cosa lècita indignarsi per le opere delle avanguardie moderne e post moderne, ma è segno d'incompetenza e gusto guasto esprìmere ripulsa per le "sole" delle età barocche e neoclàssiche. Tacciamo se poi accadesse di trovare sotto le suole un reperto della civiltà greco-romana: àpriti cielo! il meno che la nostra bocca potrebbe sbrodolare di fronte alla bigia epifanìa sarebbe una vagonata di motti estàtici... La stupidità umana è superata soltanto da quella estètica.
*
L'arte era un "ideale", prima di divenire un fàrmaco impotente.
*
Non facciàmoci illusioni: l'arte non supplisce alla vita, anzi la contraddice, non di rado con violenza inusitata. Si prenda a mo' d'esempio il vanire dal reale delle terre cotte invetriate di Luca Della Robbia, della mùsica di Schubert, della pittura di Carrà...
*
 Rembrandt, Frans Hals, Rubens: i sommi pittori del Seicento fiammingo-olandese. Confesso tuttavìa che la mia ammirazione, il mio segreto entusiasmo vanno sovrattutto a Jacob Jordaens. E' più vorace di colore e più sontuoso d'immàgini: senza timore d'accumulare nella propria cifra tècnico-stilìstica il fasto rubensiano e il classicismo della Rinascenza italiana, il manierismo del Pontormo e il chiaroscuro caravaggesco. E' la sua pittura sensuale e a tratti sopraffattrice, ed irrompe nelle campagne e negli interni borghesi tutto empiendo d'un ottimismo benestante, qua e là venato di schietta ironìa, di rado d'umorismo. Assai mi gàrbano quelle donne rubescenti nelle gote, dai larghi seni butirrosi, le cosce che parrèbbero dilatarsi in coscie, i fondoschiena tripudianti di cellulite compiaciuta, e la plenitùdine esistenziale dei gruppi di sbevazzatori e sbevazzatrici, e i miti richiamati da esauriti Olimpi e recati a smoderati picnic mondani, fra ponderose fronde stracolme di sé stesse... Jordaens mi fa osservare le vilesche cose della vita salire sul palcoscènico dell'eccesso: a ballar la giga modulata dal più corrusco e realìstico Barocco.
*
 Ho perduto anni a lèggere libri minimi, ad ascoltare mùsiche mediocri, a guardare tele e sculture e architetture indecenti, films insulsi.... e di conseguenza ho trascurato o ignorato  capolavori dell'arte e del pensiero che ormai non ho più il tempo, né l'intelletto, né forse la volontà, d'accostare. Sarei lieto se oggi i giòvani usassero l'accortezza d'evitare questo mio (e di molti altri) madornale errore che causa noia all'esistenza, gravi pecche al sapere, restrizioni fatali al godimento estètico e, soprattutto, lunghi rimpianti. Ma quale scuola illuminata saprà insegnare agli allievi a dissetarsi soltanto al gocciare del puro piacere?

 Ho rivisto la cassetta del film "Das cabinet des Dr. Caligari" di Robert Wiene. Forse è perché m'attrae la rappresentazione delle più profonde lacerazioni del cuore, il loro graduale "infettare" la mente, il corpo, lo sguardo spolpato e le cose, forse per questo mi è sempre stato caro l'Espressionismo nelle varie forme linguìstiche: musicali, cinematogràfiche, letterarie, pittòriche: da Schoenberg e Berg a Wiene e Lang, da Trakl e Wedekind a Engor e Marc, etc... Il loro è un vìndice infierire sulla realtà umana onde costrìngerla sotto tortura a denudarsi d'ogni tòssica belluria d'armonìa ed a confessare la processione dei misfatti più turpi da essa compiuti, le sue fàbbriche di menzogna, le idiote illusioni date in pasto all'ingenuità ed ai terrori dell'uomo. Dopo tanto mendace e ingordo Ottocento l'Espressionismo s'incàrica - non senza una venatura di nevropàtico sadismo - di sollevare il Velo di Maja sullo stato di disperazione dell'èssere. Ufficio quant'altri mai commendèvole.
 *  
 Bellezza I - Un tempo la Bellezza l'ammiràvano tutti, la carezzàvano in pochi, quasi nessuno l'ingravidava. Oggi, vecchia maldentata, agonizza su la branda dell'umiliazione.
*
Bellezza II - Non trovo nulla di più "infedele" della Bellezza. Creata dalla provvisorietà del gusto estètico, si lascia posare ovunque vogliamo, pronta a sottràrvisi non appena quel gusto lo decreti.
*
Bellezza III - La Bellezza non è qualità ìnsita nell'arte e nella natura ma applicazione dell'io all'arte e alla natura. Lo stesso concetto di "arte" è soggetto a definizioni prive di fondamento oggettivo, ad opinioni làbili e capricciose. Il tèrmine "arte" è un'etichetta che la più squisita ed insindacàbile soggettività riferisce a "manufatti" di per sé "neutri", al paro della realtà tutta. La psicologìa tradisce il non-èssere del mondo. L'aggettivo, ruffiano della "Bellezza", crea e deturpa il sostantivo.
*
La pop art mi ha insegnato ad amare il degrado degli ideali (estetici).

Nel Novecento l'arte non è stata in grado di rivoluzionare un orizzonte drammàtico che è divenuto, oggi, inavvertito tramonto. Il Novecento è stato soprattutto il sècolo della scienza, come già lo era stato il Seicento. Ma nel Seicento l'uomo aveva dominata la scienza, nel Novecento ne è stato dominato, succube dei reificati meccanismi di quella. 

Secondo me Karlheinz Stockhausen non è un gran mùsico, né Dante un gran poeta.
*
Più s'affina il gusto, più si diventa provinciali.

                                                                     *****


(RI)LETTURE

Osservavo i libri allineati in librerìa. Le opere lette un tempo quasi tutte le ho dimenticate: me ne rèstano vaghi sentori, echi indistinti e, delle letture più rimote, aloni. Come degli eventi, e delle cose.
*
 Stamane, mentre sorseggiavo e degustavo, leccàndone fin le spumose tracce posate lungo il declivio dell'irrorate labbra, il cappuccino in pòlvere - stupendo trionfo dell'artifiziale - rileggevo le poche paginette di un capolavoro della letteratura italiana del Novecento: "Il cetriolo del Crivelli", sorta di recensione che C. E. Gadda fece alla "Madonna della Rondine" e ad altre opere del pittore vèneto Filippo Crivelli, vivuto nel quindicèsimo sècolo (1).... E qui avrebbe dovuto seguire un mio faticatìssimo accenno all'ultrafunambòlica scrittura gaddiana, accenno che pur avevo fatto, ma che più non ho, essèndosi d'un tratto cancellato per impròvvida mia imperizia e/o sbadatàggine il sèguito del facebookiano "messaggio". Nè la memoria vuole assìstermi nell'ìmproba prova di una ricostruzione, il cui èsito rischierebbe magari d'ingenerare all'altrui lettura ulteriore e più grave imbarazzo rispetto al mio. Pardon, amici. Fate da soli, studiate di lèggere del summentovato cetriolo (e dell'annesso picciuolo). Il diletto che ne ricaverete vi ricompenserà della ricerca patita.
   (1) artìcolo apparso su "Il Giorno" del 24 ottobre del 1961 con il summentovato titolo di Pietro Citati che, a detta di Dante Isella, non poco impensierì il cauteloso ingegner milanese.
*
Karl Kraus uno e due
1) "Il male non cresce mai così bene come quando ha un ideale davanti a sé".
 2) "Una donna deve avere un aspetto così intelligente che la sua stupidità si presenti poi come una piacèvole sorpresa".
*
Intorno ai vent'anni il mio spìrito procedeva sereno e robusto verso prospettive d'umana fiducia sotto la guida di Voltaire, sempre più chiarificàndosi in una visione della vita all'insegna infallìbile della Raison. D'un tratto m'imbattei, credo per mero caso, in "A rebours" di Huysmans: dopo l'adolescenziale e aspro conflitto tra fede e ragione per cui la prima aveva avuto naturalmente la peggio, la lettura del capolavoro letterario della Dècadence mise in serio perìcolo e fece vacillare le fondamenta delle mie persuasioni illuminìstiche. D'improvviso mi si spalancava dinanzi l'abisso delle sensualità, l'egemonìa delle età argentee e crepuscolari su quelle àuree e clàssiche, il gusto raffinato delle cose impreziosite dall'usura, i languori dolenti dell'èstasi ed insieme l'occulta fuga dell'ànima verso i deliziosi e spossati corrompimenti dell'èssere, e l'inesaurìbile gamma delle deliquescenze che sfanno il pathos, etc.. etc... Rammento che in treno presi coraggio e confidai con càndida enfasi a Massimo Mila che mi sedeva accosto: "Sto leggendo "A rebours", che libro straordinario!", e lui con paterno affetto, come a mitigare i miei estuanti èmpiti: "Tutti l'abbiamo letto, da giòvani...". Mi vergognai e sospettai anche d'arrossire ... L'infatuazione, come un amore filtrato da una fredda luna, dileguò nel giro di brevi stagioni, ma tracce di decadentismo non me le sarei più tolte di dosso, e nell'età matura, nell'età tecnològica e nucleare, questi frantumi avrèbbero rischiato di farmi apparire di quando in quando risìbile, démodé, o intollerabilmente provinciale. (Asciutto della rugiada delle penombre tornai - un'anticchia stremato - a Voltaire, che mi rassicurò paterno: "Càpita"... Ben più grave e radicale sarebbe stata la successiva crisi ingenerata in me da Nietzsche...).
 *
Se metti in coppa a tutto il concetto di Dio il concetto di finito discenderà dal concetto d'infinito. Se invece metti in coppa l'uomo, l'infinito discenderà dal finito. Stanotte contro l'insonnia leggevo Feuerbach e avevo la vaga sensazione che il maestro tudesco dicesse qualche cosa del gènere. Non ho potuto approndire la sfiziosa alternativa né le complesse conseguenze che essa comporta perché il cervello mi s'è tosto inceppato, e io mi sono addormito: né di quello ho sognato.
*
 Con piacere e ammirazione seguo sulla rete i giòvani filòsofi - gente straordinariamente preparata e mossa da una lògica più affilata d'una lama di coltello - i quali pàrlano senza cessa di "verità": come vecchi scolàstici o idealisti dell'Ottocento...
*
Scherzetto metastasiano - Un 25 febbraio come oggi, ma d'anni or sono, nasceva Carlo Goldoni. Lo leggevo da giovane quando non avevo acora sotto mano il prediletto libro di Molière. Poi, avanzando nell'età, più o meno nel pieno dell'età virile, abbandonai e l'uno e l'altro, per dedicarmi ad una lettura forsennata del Metastasio: a le sue ciondolanti Ariette intese al più mòrbido relax del mondo, a' suoi drammi avulsi da spuntoni scostumati. Rammento, fra gl'innumeri, "Zenobia": virtuosa figlia a Mitridate re d'Armenia, amante di Tiridate re de' Parti e zita (1) a Radamisto figliuol a Farasmane re d'Iberia (il plot il Metastasio notoriamente lo cavò dal XII libro degli Annali tacitiani). Che coinvolgimento che fu allora per me la detta Zenobia! Ch'estuosi sgorghi di pathos! Che èstasi nella melodìa, e nel ritmo, e nelle cadenze di quella scrittura imparadisata e di quei numinosi accenti!... Giorni e notti senza soluzione di continuità dedicai a la mia Zenobia, obliando lavoro e hobby, trascurando esercizi pianìstici e sudate carte metafìsiche, né più andiedi dallo psicoterapeuta, né più misi su i dischi di vinile di Beethoven, Berio e Bellini, né più frequentai i boiscaut, né la vibrante torma delle regazze che, sgonnellàndo come se gniente fosse avanti e indietro sotto la mia finestra fiocamente rischiarata, tradivano motivi di seria preoccupazione, quasi ambascetta.... Anni e anni m'incendiò il cor Zenobia, e fu solo quando lessi "Nitteti" (vassallo d'Aprio re d'Egitto) che Metastasio mi concedette di lasciar la vecchia strada zenobiesca per la nuova nittetina, sempre sua beninteso... Pèndulo, canuto e lasso, posso oggimai asserir che Metastasio mi facette quel ch'io fui e sono in sogno.
(1) "moglie", nap.

All'uomo dal gusto estètico educato ad una compita bellezza garba di norma la donna d'una vaghezza armoniosa e signorile, dal portamento cortese e lieto, proporzionata nei tratti del viso, lìmpida nello sguardo semmai appena ritroso ove dimandi il caso... Ma non perciò quell'uomo, pur dotato d'innata decenza e di coltivato decoro, non capìtola di fronte all'incendiaria avvenenza della donna irruente, mignotta nel venalìssimo offrirsi, tùmida nelle rutilanti labbra, il seno immansueto, flessuosa nel passo ammalizzito e nuda nelle parole all'òspite... a tacer d'altro (che magari è il di lei meglio). Così m'apparve alla prima lettura, e tuttora mi pare , "L'essenza del Cristianèsimo" del Feuerbach: irresistìbile e volgare.
*
 Amo Spinoza - il filòsofo nederlandese che insieme a Voltaire ha accompagnato le mie rare escursioni intellettuali - perché mi ha insegnato che l'uomo pensa ed agisce in base ad un'ùnica legge, affatto estrànea a qualsìasi principio ètico: la legge dell'autoconservazione. "L'uomo è un èssere egoista e bada sovrattutto al proprio interesse personale". Legge che invero governa e tiene saldo l'universo tutto.
*
Di palo in frasca. Sul mio tàvolo ho via via sostituito Molière con Voltaire, Montaigne con Lucrezio, Goethe con Nietzsche, Huysmans con Gadda, Marc'Aurelio con Gorgia, Burckhardt con Huizinga... Non c'è dubbio che la mia mal riuscita intellettuale è addebitàbile all'incostanza, al rigetto dell'approfondimento scientìfico e testardo. Ma a mia discolpa adduco l'aver dato retta a Wilde: chi va sotto la superficie lo fa a proprio rischio e perìcolo. Io che di perìcoli e rischi già ne correvo a josa a fior d'acqua.
*
Da quando il sole sorge a quando tramonta amo più Mallarmé di Baudelaire, Verlaine e Rimbaud. Non  però la notte, giacché sono un dilettante sentimentale.
*
Vorrei tornare alle orìgini, riavvicinarmi alle tràgiche fantasmagorìe barocche della lingua di Gadda, mia antica passione dopo Nietzsche che m'aveva modellato ad una giovinezza infuocata, e dopo Voltaire che mi aveva avvertito dello scarto fra la pochezza degli uòmini e la grandezza della ragione che invano li àbita.
*
Perché Montale mi affascinava anche quando discorreva in modo sèmplice delle cose più sèmplici? Perché alla mia immaginazione pareva d'avvertire, sottese o sovrapposte alle ùmili e comuni parole del maestro, quelle perfette di "Ossi di seppia".
*
Giovanni Papini invitava a non prèndere per ispirazioni le reminiscenze. Da che accettai l'invito divenni un depresso.
 *
Il mio maestro ideale, colui che mi ha plasmato nel modo di ragionare, di valutare le vicende della vita e soprattutto dello spirito, è stato Voltaire. Il suo inesoràbile razionalismo illuministico: una sorta di fortezza inespugnàbile, di Bibbia laica, di temperata fede nell'immanenza sensìbile. Non solo il rigore dell'intelletto m'ha additato, ma anche quell'affilata lama dell'ironìa che non scioglie le problemàtiche ingarbugliate perché le taglia di netto, dimostràndone la ridìcola inconsistenza insieme alle pericolose conseguenze. Voltaire m'ha condotto alla tolleranza delle opinioni, alla misura della libertà, all'umana accettazione dell'errore, all'amore per la democrazìa e all'orrore per le dittature polìtiche e morali; m'ha insegnato la leggerezza nell'arte, e a poco a poco la relatività del tutto.... E' proprio in rapporto a quest'impianto razionalìstico, da cui sono sorretto, difeso e sospinto, che resto esterrefatto ogni volta che cònstato come  vorrei, se non soffrissi di vertìgini, ascoltare soltanto il "Tristano" e lèggere soltanto "Romeo e Giulietta"... (Se ben ricordo, Voltaire m'ha insegnato anche ad accettare le contraddizioni che s'àgitano in noi, le quali se per un verso ci ostàcolano nella comprensione reciproca, per altro ci rèndono reciprocamente più intriganti: e Dio solo sa se ne abbiamo bisogno, noi mìseri èsseri umani).
*
Leggendo l'altrieri  l' "Elegies" di Ronsard tradotte in italiano m'accorgevo che nessun oggetto intellettuale subisce un processo di feroce banalizzazione e d'estraniazione espressiva quanto la parola poetica tradotta - qualunque sia il valore della traduzione. Anzi, più la traduzione è persuadente, si sa, più è profanata la poesìa. (Medesima considerazione valga per la prosa d'arte).
*
Non sono mai stato capace di una lettura sistemàtica del Momsen e del Gregorovius perché mi ha colto, ogni volta, un'indomàbile uggia; ma sempre sono rimasto conquistato dalle òpere di altri due grandi stòrici tedeschi dell'Ottocento: il Niebuhr e il Ranke. Ciò che ho apprezzato in particolare del secondo è la scarsa considerazione per le vicende dei pòpoli al confronto del rilievo da lui impresso alla storia diplomàtica. Intendo dire che concordo sull'egemonìa del documento rispetto ai moti dell'ànima, agl'ìnfidi pàlpiti. Sono suporter della Raison, e nemico acèrrimo degl'impulsi del core, notoriamente sublime opificio d'inganni.
*
Meglio èssere analfabeti che scrìvere le poesìe scritte dal Manzoni.
*
Comunicazione di servizio agli amici. Dopo alcuni giorni di frequentazione Feuerbach m'è venuto a gran noia. Non mi diverte né contenta uno che filosofeggi quasi tutta la vita coll'ùnico intento d'aggiustar la mira a Hegel! Sarebbe come se un leccardo spendesse il proprio tempo prezioso a corrèggere la dose di rhum al babà del gran pa^tissier partenopeo.

*
M'accorgo sfogliando i "Quaderni" (1957-1972) di Cioran che, a confronto con il feroce e narcisìstico pessimismo del ràbido intellettuale rumeno, il mio non è che una sorta di pappetta per cachèttici.
*
So che cosa dovrei fare per rintracciare le àuree pregiate e legg(i)ere che m'aleggiàvano dintorno quand'ero ventenne; ripescare nella mia librerìa gli scritti di Boine, Papini, Bontempelli, Serra, Cecchi... Nessuno parla più di loro, la nostra època sprofonda nell'ignoranza più turpe come la nostra cultura si vanta della propria ridicolàggine. Per quanto mi concerne, mi porrò ex novo all'ascolto delle mùsiche letterarie del Flora.
*
Lungo tutta la giovinezza mi proposi di lèggere "L'uomo senza qualità" di Musil. Fino al giorno che Montale mi disse in tono confidenziale: "Lo sa? E' un gran mattone!". Smisi il sofferto propòsito e non ci pensai più. Oggi l'ho ripreso in mano. Ringiovanimento o rincoglionimento?
*
 Fra i "Frammenti pòstumi" di Nietzsche ne faccio mio uno: "E' cosa di cattivo gusto voler andare d'accordo con molti. A me basta in fondo già il mio amico Satis: sapete chi è? Satis sunt mihi pauci, satis est unus, satis est nullus".
*
Dai frammenti del Trattato "Contro i Galilei" Giuliano l'Apòstata appare quale un sottile e tormentato intellettuale della Tarda Antichità che nel quarto sècolo lotta contro l'irrefrenàbile diffusione del Cristianèsimo onde mondare e restaurare la religione pagana in un Impero sul ciglio della dissoluzione: eroe romàntico ante litteram. Gli renderà merito, dopo più di mill'anni anche Desiderio Erasmo da Rotterdàm; e nel trascorso sécolo lo studio paradimmàtico del belga Joseph Bidez.
*
 Sceso in cantina per prèndere una bottiglia di vino d'annata, ho ritrovato in un àngolo fuligginoso quel mondo ormai tarlato che partiva da Hegel e giungeva a Freud via Nietzsche e Marx, che noi giovani c'aveva condotti alla disperazione dell'Io e agli ambigui bàlsami del Dubbio.
*
E' difficile, se non impossìbile, trovare un libro ricolmo di violenza e risentimento come il Vecchio Testamento.
*
Torno a cìnici, sofisti e scèttici dell'antica Grecia come ad "evangeli" laici. Rilettura che mi  disintòssica la mente dalle incrostazioni di melassa.
*
 In un àngolo impolverato della biblioteca m'imbatto con sorpresa pari a piacere nei "Chimismi lirici" (1915) di Ardengo Soffici: delizioso e voluttuoso riandare del poeta-pittore toscano ai più noti calligrammi di Apollinaire. Si respira nelle parole e sugli accenti un fru fru, un'ebrietà tìpica dei primi anni del Novecento letterario italiano in cifra futurista. Ansia di libertà verso un che d'indefinito, urgenza di squarciare orizzonti senza tanti squinci e quindi culturali. A bere non si va nell'enoteca inghingherata, ma alla vinerìa sottocasa. Dove spùmano e saèttano le parole a ruota lìbera, funambolando e scombiccheràndosi in barba alla grammàtica turlupinata. Tutto si può ardire, tutto elìdere. E chi può apprezza, chi sa ne gode, e l'ignorante beato non s'è mai creduto sì pròssimo ad un (fintìssimo) opifìcio poètico.
*
Stanotte nel corso dell'aggrovigliato e insensato sognare ho sognato che con tono tra noncurante e  fastidiato Angelo Maria Ripellino (che mai ho conosciuto) m'insegnava, ad un tavolo della redazione romana dell'"L'Espresso", il modo di stilare le recensioni. Stamattina, ancora sorpreso dalla desueta bizzarrìa del sogno, mi domandavo perché nessuno parli più di lui. "Praga magica", a tacere d'altri titoli, è un capolavoro assoluto della saggìstica italiana del Novecento (quando ancor giòvane lo lessi ne fui folgorato). Certo, oggi ci si lìmita a lingueggiare intorno ad imbarazzanti nullità letterarie con gli accenti di un'ammirazione prodotta dalla letale mescolanza di gretto tornaconto, ignorantàggine e idiozìa.
*
Il mio egoìstico istinto di sopravvivenza dura fatica a sentirsi ùmile allievo di chi, come Cioran, largisce il suggerimento seguente: "Ognuno di noi esaurisca la dose di follìa che gli è stata dispensata alla nàscita, eppoi sparisca".
*
 "Felice quella morte che non concede tempo sufficiente ai preparativi"  (Montaigne).
*
Mi càpita talvolta d'incocciar in libri di giornalisti che àmano definirsi "scrittori". Tràttasi per lo più di rimpasti di raccolte d'artìcoli (se non d'agenzìe). Terrificanti.

Giunto (non sine labore) a notte alta e coricàtomi, nell'atto di spèngere la luce sul comodino mi sono domandato come sia mai stato possìbile che quel poeta non abbia avuto niente di meglio da fare che illuminarsi d'immenso: atto sconsideratìssimo, in grado d'inferire un colpo esiziale alla Poesìa.
*
Per mesi la mia lettura preferita è stato l'orario dei treni. Che leggevo e rileggevo ogni sera, come un libro di poesìe o di preghiere di cui mi si rivelàssero sorprendenti significati: delicati e dirompenti in uno. Quando lo si adotterà nelle scuole d'ogni òrdine e grado in vece d'iliadi, commedie divine e promessi sposi?

Così riflettevo su una bella intervista a Gianni Vattimo: "Lui beato ci scherza dottamente su, ma a me il "pensiero dèbole" m'è venuto per davvero, ed è certo che sono guai quando mi si fa buio pesto nella testa e le mie parole si sbrìciolano in ermètiche cacofonìe..."
*
Un tempo tanto m'attraeva il mondo fra l'irònico e l'elusivo di Giorgio Manganelli quanto ora mi è indigesto lo smaccato "gaddismo" della sua narcisìstica scrittura. E però chi ha letto Gadda senza restarne, in misura e maniera varie, affatturato? (Basterà citare i suoi "nipotini"?).
*
Oggi 17 febbraio, nel 1673 rendeva l'ànima al Caso Molière, che mi piace rievocare per aver rasserenato da par suo, ossìa meglio d'ogni altro autore, le serate e i pomeriggi più malincònici della mia adolescenza.
*
 Si rileva in quel passo de "L'Anticristo" di Nietzsche: "Ciò che differenzia il Cristianèsimo dal Buddhismo risiede nel fatto che il primo fa la lotta al peccato, il secondo al dolore". (Traduzione non testuale).

 

                                                                       *****


PENTAGRAMMI

Bien souvent j'ai confié à la pudeur de la musique de Brahms le finissage de mon chagrin.
*
Ti consiglierei di non andare al mare ma d'ascoltare i "Quartetti" per archi di Mozart se mai volessi sintonizzarti sulla mia lunghezza d'onda.
*
Il silenzio diffida più della mùsica che della parola.
 *
Stavo riascoltando il "Requiem op. 89" di Dvoràk. Infastidito, ho smesso ancor prima di giùngere alla metà dell'òpera. Dvorak, autore tardoromàntico di superficie, la cui mùsica riveste il carattere predominante di un'orecchiabilità aproblemàtica, e la cui melodìa pseudo floklòrica tende a sconfinare in un angusto ideale canzonettìstico (donde il relativo "successo stradale"). Nel "Requiem" sopravvìvono aree di fragilìssimi tratti lìrici subissati dalle teatrali e accadèmiche esplosioni di una falsa drammaticità. A dominare la mediocre partitura è una cifra dolciastra: atteggiamento stucchèvole sotteso del resto a quasi tutta la produzione del compositore ceco.
 *
 Una rete radiofònica ha intitolato un programma musicale  "L'irrequieta genialità di Skrjabin". Era più opportuno se l'avesse misuratamente intitolato "La geniale irrequietùdine di Skrjabin"
*
Il 25 marzo del 1867 nasceva Arturo Toscanini. Mi piacciono di più il Rossini e il Mahler di Abbado, il Beethoven di Furtwaengler, il Mozart e il Brahms di Bruno Walter, il Verdi di Muti... Il suo fare lesto, metronòmico e impeccàbile mi dà sovente la sensazione di un "quid" trascurato, di un "noumeno" inesplorato... (Lo so, lo so bene che il "noumeno" non si può esplorare, ce lo dice Kant, ma almeno tentare d'avvicinàrvisi per vie arcane, inenarrabili...).
*
Mozart ha mostrato la multànime armonìa dell'uomo con la natura. Beethoven l'ha distrutta prospettando la strada verso gli scempi novecenteschi.
 *
 Nulla in mùsica mi dà buon umore e gioia quanto l'ascolto del sebastianbàcchico "Concerto in la minore per quattro cèmbali, archi e continuo" (BWV1065): frizzante e aprica purga dell'ànima, e dei suoi meandri. Vero si è che il mùsico tudesco altro non fece che trarlo pari pari dal "Concerto per quattro violini op. 3 n. 10" di Vivaldi, ma vuoi mettere il perlaceo godìo dei suoni, il tintinnare cristallino dei timbri che le corde pizzicate del quartetto cembalìstico (se vuoi sexy assai) ingènerano rispetto alle caute strusciature sciìstiche degl'istrumenti ad arco?
*
Cèmbalo e violoncello: infine gli opposti si tòccano. Se fossi mùsico comporrei sonate solo per loro due. Vado in èstasi per il suono delle perle rotolanti sul mògano.
*
Sia l'ascolto della mùsica d'arte tassativamente vietato a quanti ci fornicano sopra.
*
E' scomparso Claudio Abbado, classe 1933. Lui con Giulini, Sinopoli e Muti: la grande Scuola di direzione d'orchestra del secondo Novecento italiano. Ciascuno di loro con peculiari ed esemplari sensibilità interpretative. La razionalità d'Abbado che culmina nella lezione rossiniana, ma pronta a convertirsi prodigiosamente in sconvolgente disperazione nel sinfonismo mahleriano. La spiritualità ascètica di Giulini che sembra recare le scritture mozartiane e brahmsiane ad un ideale di bellezza "greca". Il rigore acribico e freddo di Sinopoli che trattiene a forza la necessità d'esplòdere in incendiaria passionalità a contatto con l'universo wagneriano. La sensualità mediterranea di Muti che avvampa nelle letture verdiane ma trascolora in raffinatissima elegìa nel proibitivo linguaggio operistico di Mozart. E' scomparso Abbado: il mio giudizio mi suggerisce: "Toscanini non ascese mai ai suoi vertici". Gli metto sùbito la mano sulla bocca: "E' vero, ma taci: guai a dirlo!".
*
Chopin 1) Non mi piace il pianista che intèrpreti Chopin secondo una cifra di freddo eroismo. Non mi piace il pianista che lo intèrpreti con i toni di un sentimentalismo smoderato. Né mi piace il pianista che lo intèrpreti alla ricerca di un arduo equilibrio intellettuale fra le due dette e antitètiche letture. Mi piace ascoltare Chopin senza pianista.
*
Chopin 2) Non ho mai ritenuto che la sua mùsica occultasse sostanze virili ed eroiche, anzi mi pare, come appare, emanazione di una specie di languore velenoso, di una sensualità tanto più tòrbida quanto più disfatta, come faceva a tratti trasparire la lezione di Cortot. Credo pertanto che questa mùsica vada assunta da chi l'ascolta a pìccole dosi e sotto stretto controllo della ragione. E' il modo migliore per trarne diletto. Chi vi s'abbandona è perduto.
*
La mùsica è benèfica perché ci allontana dalla falsità delle certezze e ci avvicina alle più elusive  sensazioni.
*
26 marzo 1925, nasceva Pierre Boulez. Una vita ho lottato per riuscire ad amare la sua mùsica architettata come un dèdalo, e non ci sono riuscito. Ma l'ammirazione non mi è mai venuta meno. Un linguaggio, il suo, rebussìstico ed esotèrico, orbo di mèlici bàlsami e di risapute armonìe, uno schiaffo ai démodés, un knockout alla ràncida sensibilità attardata sul bel tempo che fu. Mùsica translùcida, micidiale nella facoltà di ragionare, incardinata su indefettìbili càlcoli per ogni paràmetro compositivo. Non amo ma ammiro questi suoni che mi sèmbrano usciti da un opificio alchèmico del Medio Evo, configurati a grumi vaganti, squarci siderali, profilature spettrali, rapprese bagarres, silenzi oceànici e slarghi diserti. Boulez ha rifiutato la màschera dell'ottimismo coglione ad ogni costo: al contrario, ha guardato in faccia la realtà effettuale delle cose a suo modo sublimàndole, prosciugàndole d'ogni belluria, decifràndone i penetrali, la rovinosa alienazione, la càrsica tendenza al maleficio. Scrittura di un petroso virtuosismo, madre ai nostri tempi, draconiana nella disperàggine, diaccia nell'immisericorde onestà fotogràfica.
*
Sìmile ad un cameriere durante un pranzo di gala, l'intèrprete musicale è indispensàbile ma secondario. E' il "cameriere" del compositore. Oggi per contro il discorso musicale, fatta eccezione per l'avanguardia e l'appartata produzione contemporanea, ha come centro d'interesse l'intèrprete anziché il compositore. Segno di un costume segnato da una volgare superficialità e da una radicata ignoranza di massa.
 *
 Il diàlogo tìmbrico che più mi seduce è fra cèmbalo e cello. Flauto e arpa mi ùrtano. I violini fànno la figura di disfrenate comari a fronte della viola dall'appartata solennità. L'oboe che mi carezza melanconioso soffre però di rinite, e il pianoforte di percussività: e ha voglia l'insegnante zelante di  sollecitare l'allievo a cavar col tocco dalla chilomètrica tastiera un suono dolce e cantante: quell'istrumento non accetta dai piatti polpastrelli altro che percosse (sia pur variamente mistificate: come in Chopin o Debussy, sovente). Quanto alla chitarra, non la conosco; e alla mùsica sinfoniale delle stelle fisse, su ne' cieli, sono sordo dall'età della ragione per via della ragione.
*
Non sono più in grado di tollerare i mezzi-musicisti: fra i moderni, ad esempio, Dvorak, Sibelius, Rachmaninov, Glinka, Granados, Pizzetti, Walton, Kodàly, Janàcek, Martinu, Orff, Rota, Villa Lobos, Henze... Per tacere de' viventi. Mi noiano, e i loro suoni manco sono in grado di distrarmi dalle miserie delle cose.
*
8 settembre 2013 - L'8 settembre 1841 veniva al mondo Antonin Dvorak, al cui successo presso il pùbblico di tutto il mondo non rispòndono i mèriti del compositore. Falso folklore, accademismo di modesta lega in un impiegato della mùsica superficiale e di largo consumo.

*
 Mi pongo di fronte con rinnovato pathos alla "Sonata in si bemolle maggiore op. 106" ("Hammerklavier") di Beethoven: òpera che i pianisti dovrèbbero studiare e eseguire in privato almeno una volta al mese al fine di ricordare a sé stessi che non si è pianisti se si è soltanto pianisti.
*
La "Messa in si minore" di Bach, un capolavoro della mùsica occidentale, m'ispira non tanto un forte sentimento religioso quanto una monumentale rappresentazione del dramma dell'èssere umano che ànsima e invoca aiuto nel cupo vòrtice dell'universo. Questa mùsica mi fa da ponte fra l'Io e l'Abisso: non è volta all'Io ma all'Abisso. Ciò la rende eterna.
*
9 febbraio 2013.  In questo giorno del 1885 nasceva in Vienna Alban Berg. Sebbene da tempo provi un fastidio immediato per l'òpera lìrica (eccezion fatta per la mozartiana), da sempre m'affàscina la sua "Lulu", vetta ancorché incompiuta del "melodramma" novecentesco. Penso che in questa mùsica, in questa tragedia sociale, sia spiegato meglio di quanto àbbiano tentato Marx ed Engels il decadimento della borghesìa, e meglio di Freud il potere e l'ossessione del sesso. Amo questa partitura aspra e pudica, i contorcimenti armònici che per vie occulte aspìrano a spiragli di lìrico abbandono, la velenosa violenza di un canto sul punto di cèdere alla più indifesa e disperata confessione, etc...
*
Ascoltando un "Concerto per violino e orchestra" di Paganini (mi pareva il primo, in mi bemolle maggiore) ebbi la sensazione di una mùsica votata ad un esibizionismo mercenario, prona ad un istèrico violino che piroetta come una bistrata ballerina d'avanspettàcolo.
*
Nella roventìssima state, in aspietto di rinfronzir in autunno, a rinfrullare penseri & azioni, mi rifrigeravo a la Mer di Debussy - "magister umidus" per antonomasia, giusta la definizione del Savinio - òpera che parèvami assai bene registrata da Claudio Abbado con l'Orchestra del Festival di Lucerna nell'anno Domini 2003, sibbene, delle Trois Esquisses symphoniques, opinavo pas mal l'interprétation de M. Pierre Boulez avec la Cleveland Orchestre, nell'omai rimoto anno 1993.
*
 La qualità più rilevante del maestro Lorin Maazel è una robusta memoria musicale.
*
Una sensazione di quiete illimitata e mìstica - metti il tramonto di una giornata dedicata all'innocenza - mi dà l'ascolto le Sinfonìe bruckneriane. Ma se mi soffermo a riflèttere sulla natura profonda e, in parte, segreta che le informa ed ànima, avverto con turbamento misto a compiacimento estètico circolarvi molli frantumi della Dècadence: quelle squisite e venèfiche deliquescenze intese a compenetrare di voluttà i percorsi, gli anèliti, le castità dell'ànima. Sotto il manto d'una finta sprovvedutezza, Bruckner quanto alla pràtica dell'ingenuità la sapeva ben più lunga di Wagner e Mahler.
*
Verdi I) Ogni volta che sono raggiunto dalle sue note mi s'effonde in bocca un sapore di zampone...
*
II)  Togliere l'àura del patriottismo risorgimentale alla mùsica del primo Verdi sarebbe come togliere la bellezza ad una donna sciocca: che ne resterebbe?

 III) Se fossi stato un autorèvole musicòlogo avrei goduriosamente speso la mia gibbosa vita di esegeta a demolire il simulacro verdiano.
 *
 Mi sono imbattuto alla radio ne "La rondine" di Giacomo Puccini, cui non piaceva l'operetta. E infatti questa non è propriamente un'operetta, ma non è manco un'òpera. Il problema è che tra òpera e operetta non v'ha di mezzo una via a percòrrere, sicché "La rondine", non avendo dell'una né dell'altra, è un niente che nel primo atto rivà stancamente alla "Traviata", nel secondo alla "Bohème", nel terzo ad un non si sa che, che iersera m'ha fatto anzi tempo appisolare.
*
Dopo le liquescenze chopiniane, quelle di Debussy sùscitano equìvoci.
*
Con mestizia apprendo la scomparsa dell'amico Wolfgang Sawallisch, direttore d'orchestra bavarese, intèrprete probo e severo dal sembiante di pastore luterano: di quelli che solo l'area austrotedesca sa plasmare. Amato in Italia sovr'a tutto dalle platee e dalle Orchestre di Santa Cecilia e della Scala, Sawallisch, come prima di lui Eugen Jochum e Karl Bhoem, è stato uno tra gli intèrpreti pazienti: che hanno voluto attèndere la dipartita dei più anziani "mostri sacri" della bacchetta prima d'avanzare al proscenio e mostrare e educatamente imporre la sobrietà del proprio indubbio e ordinato talento. Sawallisch non era Karajan, ma morto Karajan Sawallisch era in grado d'attutire l'universale rimpianto per quello. Amava Wagner e Richard Strauss, e la propria moglie. Andava in teatro la mattina di buon'ora, come un capufficio si reca in ufficio, ed al tavolo di lavoro, specie nei teatri d'òpera tedeschi, s'impegnava alla soluzione dei moltèplici problemi amministrativi ed insieme badava a che ben si stagliasse all'orizzonte sonoro il crepùscolo degli Dei. In trent'anni non ho mai ascoltato da lui un'esecuzione approssimativa. Né parola intemperante.
*
Peccato che la mùsica, con tutte le straordinarie potenzialità di cui gode, s'ostini ad èssere sempre eguale a sé stessa. Quanto mi piacerebbe se una tantum escisse, diciamo così, dal seminato.
*
Ho acceso la radio senza riflettere sul gesto che stavo compiendo. Sono stato investito dal marchiano "Concerto n. 2 in do minore per pianoforte e orchestra" di Rachmaninov. Con scatto felino ho artigliato l'apparecchio e l'ho spento. Avrei meglio tollerato un turpiloquio.
*
Realtà ricattatoria, o infondata suggestione, sospetto che la mùsica, più degli altri linguaggi dell'arte, sia sprecata per la dappocàggine delle cose e la zoticàggine degli uòmini.
*
Sotto la mùsica spagnola, che rade volte mi prende, mi par d'avvertire un'eco di nàcchere.
*
Settecento musicale I) - Ma quant'è compita ed armoniosa la mùsica dell'Europa nella prima metà del Settecento! Un'aura di quieta e luminosa classicità l'avvolge, le forme simmètriche a rispecchiar la simmetrìa dell'ànima, il linguaggio melòdico raccolto e ordinato, e quello armònico severamente controllato per entro i binari della decenza percettiva. Ci si domanda sempre se la mùsica rispetti e rispecchi i propri tempi. E senz'esitanza ci si risponde di sì. Ma com'è possìbile allora che gli uberìferi nùgoli di suoni settecenteschi svolazzàssero, nobili e gai quant'altri mai, sovra le genti d'Europa zelantemente intente, in quei foschi decenni, meno a danzare la sòffice gavotta che a scannarsi in bàrbare guerre? S'intèndano qui la guerra di successione spagnuola, e la guerra di successione polacca, e la guerra di successione austrìaca e la guerra de' sette anni: tali non solo da funestar campagne brumose e borghi squallenti, làcere giubbe e sfiancati destrieri, ma tali da triturar pur anco trìtoni & trilli.
*
Settecento musicale II) - La mùsica che ascolto con più diletto è quella settecentesca: da Bach a Haydn. Ma settecentesca è pure la concezione estètica che più m'è estranea, volta a concepire l'arte come bellezza della moderazione e la fantasìa come sorvegliata speciale della razionalità.
*
Nei rari conversari che mi coinvòlgono, al fine di far la bella figura di uno spirito controcorrente, non èsito a dichiarare la mia predilezione per Haendel rispetto a Bach. Se poi m'imbufalisco per via delle scempiàggini che il conversare ingènera aggiungo che più di Haendel e Bach apprezzo Telemann.
*
Una rete radiofònica ha titolato un programma musicale  "L'irrequieta genialità di Skrjabin". Meglio se l'avesse più misura intitolato "La geniale irrequietùdine di Skrjabin"
*
Quando ascolto la mùsica di Verdi m'incazzo!
Quando ascolto la mùsica di Mozart mi chimerizzo!
Quando ascolto la mùsica di Brahms m'elegìaco! (dall'inesistente verbo elegiacarsi)
Quando ascolto la mùsica di Beethoven m'illudo!
Quando ascolto la mùsica di Chopin m'effèmmino!
Quando ascolto la mùsica di Bach mi inreligiosisco!
Quando ascolto la mùsica di Sweelinck mi rimpatrio!
Quando ascolto la mùsica di Wagner rabbrividisco!
Quando ascolto la mùsica di Schubert ne diffido!
Quando non ascolto mùsica infierisco su di me!
*
Vantaggi emotivi più sottili ricaveremmo dalla mùsica se, in luogo d'ascoltarla, la immaginàssimo.


                                                                        *****


INCURSIONI ELLADICHE 

"Per ciò che concerne il problema degli Dei, non ho possibilità di verificare né che essi sono né che essi non sono". Così s'espresse con onestà intellettuale Protagora da Abdera, e dopo che l'ebbe scritto sui libri, gli Ateniese glieli bruciàrono. Altri nei sècoli avrèbbero imitato gli Ateniesi: altre idee bruciando coi loro autori appresso. Il mondo sarebbe più accetto, e l'uomo più grazioso, se s'abolisse il nefasto ed ingrugnato concetto di "verità".
*
Il divenire è lo scòrrere inarrestàbile del tempo, entro il quale ci è dato concepire il passato e il futuro ma non il presente. Secondo l'antica Stoa non c'è l' "adesso". Ottimo! Ma meglio ancora se ci fosse, in sua vece, il "mai".
 *
 La religione dei greci è stata tra le pochìssime che non àbbiano contemplato la resurrezione del corpo né la vita eterna al compimento di quella terrena. Ciò dovrebbe indurci ad ipotizzare che l'uomo greco sia stato più infelice e disperato dell'uomo cristiano o musulmano. Ma sarebbe tesi disagevole da dimostrare. Mentre non si può opporre nessuna obiezione alla risurrezione di Cristo, se considerato, come i cristiani lo consìderano, il figlio dell'onnipotente Dio. E di conseguenza nessuna obiezione al fatto che tutti i credenti, figli di Dio e dunque fratelli di Cristo, risorgeranno. Quanto allo stesso Iddio, essendo eterno mai nacque né mai morirà: sarà quindi l'unico a non risòrgere nel dì dell'universa resurrezione: esclusione che se d'istinto ci sorprende - Dio da niente è escluso - a ragionarci su ci appare d'una sùbita ovvietà.
*
Non amo le religioni che càricano l'uomo di colpe inestinguìbili, le religioni che presèntano della vita terrena una visione affatto subordinata alla trascendenza, le religioni che incèntrano la coscienza dell'io sul peccato, le religioni che ci assèdiano ed assìllano l'ànima con la perentoria richiesta di un inesplicàbile riscatto. Se la religione in uso fosse ancora quella pagana, classicamente atteggiata, tollerante e soffusa di metafìsica ironìa di fronte all'universo destino, intendo la religione dell'antica Grecia, sarei anch'io felice in braccio a quel credo.
*
La meta del saggio è l'acqua - Talete, mon amour.
*
Sia registrata un'affinità fra Aristotele e il sottoscritto. Lo Stagirita di giorno pensava al pensiero che pensa sé stesso; io di notte sogno il sogno che sogna sé stesso. Percorsi non meno che sublimi verso il comfort della pura astrazione onde affrancarci dal rabbuffato "reale", ossìa dalla fètida palude del concreto, dal tedio degl'ìncubi onirici.
*
Mi trovo sulla stessa lunghezza d'onda di Alcmeone da Crotone: soltanto gli Iddii posseggono la conoscenza, gli uòmini la congettura.
**
Il paganèsimo greco riconosceva la responsabilità della divinità nell’umane tragedie; il cristianèsimo no. Ciò costituisce uno tra i motivi fondamentali che mi rèndono questa religione lontana dalla mia sensibilità, delle mie aspettative.

La cultura greca del quinto sècolo a.C. costituisce, insieme all'Età della Ragione del Settecento francese, il pilastro precipuo su cui la civiltà occidentale poggia.

Saggezza d'un tempo che fu, o sia elogio del cocu e del pappone dabbene.
"Dìcono gli Stòici che non è assurdo convìvere con un'ètera, o addirittura trarre il sostentamento per la vita dalle prestazioni di un'ètera"  (Sesto Empirico, Pyrrh. Hypot., III, 210 = Stoicorum Veterum Fragmenta, III, 755).
*
"In verità nulla sappiamo, ché la verità è nell'abisso", così Democrito secondo ci riferisce nelle "Vite di filòsofi" Diogene Laerzio narrando di lui e del suo pensare intorno a ciò di cui nulla si può sensatamente dire se non del mistero che inzuppa e fascia l'ùltime cose.
*
C'insègna Pirrone, preclaro maestro di scetticismo, che se le cose sono contradditorie fra loro ed i relativi giudizi sono contradditori e equipollenti ne consegue necessariamente l'ignoranza della verità, così come il conservatore non è conservatore in assoluto, ossia per natura, ma è inteso come tale in relazione alla posizione che ha rispetto ad un altro; mutata la posizione non è più un conservatore. E conclude Pirrone, dopo altri ragionari siffatti, che tutte le cose sono vere o tutte le cose sono false, essendo che se solo alcune sono vere e altre false non abbiamo criteri per distìnguerle: né i sensi né la ragione dànno garanzia in propòsito. Tuttavìa a mio giudizio non dobbiamo abbàtterci: una via d'uscita c'è: è il dogma, che com'è noto contiene in sé la verità. O, per meglio dire, dogma e verità s'identìficano, secondo ha sempre mostrato ogni religione.
*
Diogene 1 - Narra Diogene Laerzio che uscendo Diogene di Sinope dal bagno pùbblico e domandàndogli un tizio se molti uòmini vi facèssero il bagno rispose di no. Un altro gli domandò se vi fosse molta gente, e lui rispose di sì.
*
Diogene 2 - A propòsito dei rapporti fra gli italiani e la loro classe politica torni a mente quell'episodio di cui fu protagonista Diogene di Sinope, che interrogato sul perché mai chiedesse la lemòsina ad una statua, rispose: "Mi alleno a chièdere invano".
*
A detta del filòsofo Empedoklès d'Agrigento il sole è più grande della luna. Non ci credo.
*
Affermava Aristotele che l'incomparàbile vantaggio del bugiardo è quello di non èsser creduto anche quando dice la verità. Ma in effetti qual è la "verità"? Nessun umano, neppure lo Stagirita, può conoscerla. Non c'è parola più insensata.
*
 Pessimismo greco, o sia il Soufflé seduto di Prometeo.
Come maravigliarci della nostra umana pochezza se consideriamo che l'uomo è stato creato da un maledetto capriccio di Prometeo contro la volontà di Zeus? Il quale ben fece a punire l'idiota per la fatal grullàggine, incatenàndolo ad una rupe caucàsica, dove, come si sa, un'àquila di notte gli sbocconcellava il fègato che di giorno ricresceva affinché la notte successiva l'àquila potesse di nuovo saziarsi ed il reo di nuovo penar per l'imperdonàbile mascalzonata.
*
Avevo acquistato al mercato domenicale di Porta Portese una terracotta raffigurante un barbuto e baffuto greco dalla chioma buclée. Chi era mai costui? qual Plato od Aristotele? Fidia o Prassitele? mi dimandai per lunga pezza, eppoi non ci pensai più su. Un giorno, indolentemente sfarfalleggiando su Fb, ho visto d'un tratto una scultura marmorea col volto identico a quello del summentovato... Chi era? Ancora non posso crèderci: era Zeus, sì proprio lui, il superno dell'Olimpo, il figlio a Crono e Rea! Mi sono detto basito: "Guarda te come quel Dio greco spodestato dal mondo adopra le mille e più bizzarre vie, i più inopinati orditi, le più insuete epifanìe per incontrarti e darti ancora un segno prodigioso della sua presenza, della numinosa sua volizione....".
*
Zeus creò la prima donna (Pandora) per far dispetto allo stolto Prometeo che aveva creato il primo uomo. Se fossi stato io il padre degli Dei, altro che la donna: per vendicarmi di quella tràgica stoltezza prometeica avrei sterminato il sesso barbuto ancora in culla, come aveva progettato in un primo tempo: nel momento del màssimo e numinoso furore.
*
Per quale precisa ragione Zeus fosse affatto contrario alla creazione dell'uomo forse non lo sapremo mai. Ma è fuor di dubbio che tale atteggiamento ha rivelato nel Re degli Dei un talento intuitivo, una dote di preveggenza che nessunaltra divinità, prima e dopo di lui, è stata in grado di possedere e palesare.
*
Zeus era fondamentalmente un democràtico. Avrebbe potuto èssere il Dio-padrone del Tutto - chi gliel'avrebbe vietato? - ed invece divise il potere fra gli Iddii minori, come Napoleone le contrade d'Europa fra i più stretti consanguìnei. Vero è che oggi negli ambienti più tradizionalisti si fa notare come Zeus, seppur meritèvole di lode per l'impianto gestionale del potere, non parimenti lo è stato nell'àmbito eròtico-gaudente: non già per il pòpolo di fèmmine che ha ginnicamente sottomesso ma per la spericolata scelta coniugale caduta su Era, su' sorella.
*
 Gli antichi greci, i quali conoscèvano il tormentoso dubbio che àbita anche gli uòmini di fede, non asserìrono che al principio fu Zeus, re degli Dei, ma dìssero per bocca d'Esiodo: "Al principio fu il Caos" (id est l'Abisso). Dunque non il Dio del Tutto bensì il cosmico vuoto, la solitùdine che escludeva da sé, eccetto il silenzio, qualsìasi presenza, volontà, moto, o sguardo. L'originaria pace che dapprima gli Dei nei cieli dipoi animali e uòmini e cose sul nostro pianeta avrebbero dissolto, a sancire quell'inesprimìbile rovina implìcita nell'èssere; quel "fiasco" del vìvere.
*
 Non mi ha mai stupito che milioni di uòmini si siano combattuti e uccisi per amor di Dio. Se l'umanità si combatte e uccide per miserande bagatelle, come può non farlo quando la posta in gioco è l'Assoluto?
*
 M'accuserete d'èssere un immedicàbile tradizionalista, un bieco passatista, un sospiroso démodé; ma io che pur per istinto, inclinazione, cultura e difetto mi definisco un agnòstico tendente all'ateismo, nei momenti di più profonda commozione, od atra disperàggine, o liricizzante èstasi, od abissale nudità, credo ancora negli Dei dell'antica Grecia.


                                                                       *****

LA SFILATA DI UN "IO"


 Poesiuola mesta, liberamente composta di tre senari ed un settenario, da adagiar su i suoni d'un cèmbalo e d'una viola d'amore.
 

Ciò che più mi duole
ed incazzar mi fa
è dell'esser mio
la superficialità.



Ho ben ragione d'insultare l'èssere dopo che m'ha ingannato circa la sua presenza all'atto della mia nàscita.
*
Mi commuove l'innocenza dei puri di spìrito. Ma ancor più quella dei vegetali.
*
 Talvolta gli altri mi commuòvono. Quasi mai m'interèssano.
*
Corteggio la Sorte. Sconocchiata nel sembiante e d'indole falòtica m'àuguro ch'essa capìtoli alle avances di un povero cristo che più non sa a che uscio bussare se non al suo bislacco.
*
 Iersera avrei gradito far mùsica, ma non avevo il pianoforte "sottomano". Peggio quando avverto impellente l'esigenza d'esprìmermi in assenza d'idee.
*
Talune città le ho visitate. Talaltre sono state loro a visitarmi, posàndosi in me.

Sono per natura contrario a porgere l'altra guancia: gesto masochisteggiante diretto nel contempo a colpevolizzare vie(p)più il colpitore.
*
 Se qualcosa accade attorno a me lo avverto come abietta vendetta della solitùdine.
*
  Dopo una giornata spesa in un cieco girovagare, a sera torno verso me stesso come torna, spinto dalla malasorte, l'extracomunitario alla terra d'orìgine.
* 
Sono per metà io e per l'altra metà non so più chi.
*
 Chiesi alla solitùdine: "Vuoi èssere mia compagna?". Mi rispose in un sussurro: "Non amo la compagnia".
*
A differenza del lupo sono disposto a pèrdere il vizio, ma ci tengo a non nascòndere che assai m'invesca il pelo.
*
Non so gli altri, ma io faccio un'enorme fatica ad "èssere". Quando ne sono stremato m'accontento di "sembrare", con èsiti peraltro più decenti.
*
 Sia il mio spìrito da crociera saldamente ormeggiato all'immanenza. E tu, impalpàbile metafìsica, provocante Circe di fatali garbugli, va (1), vattènne, vade retro!
 (1) o anche va' con l'apòstrofe: quasi a tagliar più di netto il nodo funesto colla Maga, la funesta liaison colla Lusingatrice.

*
 Sono diventato sospirèvole per subisso di dubbi, anèmico per abuso di sfumature.
*
Stanotte mi sono svegliato di soprassalto. E con perfidia ho preso a scherno il Nulla per non èsserlo a sufficienza.
*
Diffida della mia sincerità. Il mio "io" è autèntico soltanto se mente a sé ed agli altri.
*
Cerco lavoro - Sono disposto ad andare a servizio (lungo orario o fisso) presso una verità (con i suoi addentellati). Offro rispetto e, a richiesta, accondiscendenza ai suoi dettami. Chiedo in cambio facoltà d'ironìa il giovedì pomeriggio e la giornata domenicale.
*
La mia natura scontrosa, il mio caràttere falòtico (per usare un aggettivo manzoniano) nacquero dall'incontro della cicoria ripassata in padella con l'accordo di seconda minore senza la quinta.

*
 Evito il micidiale contatto con il Nulla grazie al mio scarso talento nell'approfondire le cose.
*
Lorché m'inginocchio e vedo riflesso nell'immoto azzurro d'uno specchio lacustre il mio volto (a mo' d'ovidiano o caravaggesco Narciso), m'incazzo siccome belva.
*
Libero arbitrio - Vorrei avere  quel lìbero arbitrio in grado di rèndermi responsàbile di ciò che penso e faccio, nel bene come nel male: nel primo caso per trarne il mèrito, nel secondo per avvertirne la colpa. E invece, privo di libertà, faccio ciò che il mio èssere è spinto a fare dalla sua natura e conformazione psicofìsica: questo mio èssere comandato da quel "me" che non ho mai deciso d'èssere ma mi sono ritrovato ad èssere, fin dalla mia iniziale caduta nel mondo: nell'equìvoco d'esìstere.
*
Ho sognato Mallarmé ridere nel fiordo di Furore: gli cadèvano i capelli e l'eufonìa dei suoi versi vorticosi.
* 
Dopo che l'esperienza m'ha insegnato a diffidare sia del buono sia del cattivo, ho scelto l'uomo disumanato: quello che più s'appròssima all'ideale della finzione: cui il tutto si conforma, od aspira.
*
 Non credo in niente. E cadrei pertanto in un'intolleràbile contraddizione se credessi in quello scetticismo radicale, in quell'aristocràtico nihilismo che vò monotonamente palesando in ogni riflessione e noterella. Non di meno m'industrio di scrìvere sull'argomento cose "credìbili", affinchè taluno, al contrario di me, possa crèdervi, implicitamente dimostràndomi, per un verso, la plausibilità  e fondatezza del mio non crèdere, per altro verso, la fragilità del suo crèdermi, anzi, d'ogni crèdere.
*
 Non importunàtemi con l'arte, la polìtica, la scienza, la morale... Mi piace soltanto osservare la noia quando disvela le sue poppe ingiallite.
*
A configurarmi il Nulla mi fingo una giornata sanza vento, ricolma di sole e silenzi.
*
 Di prim'acchito quel signore l'avrei coperto di contumelie se pusillanimità e cautela in uno non m'avessero consigliato di regalargli, in via subordinata, uno specchio.
*
Il mio sedicente spìrito deve ancora decìdersi, e spero che lo faccia con rapidità, se seguire il destino malincònico del mio corpo o, ad un certo punto del viaggio, separarsi e congedarsi da lui, e lìbero librarsi, qual passerotto, verso orizzonti radiosi, nonché eterni. Io preferirei che non facesse la carogna e non mollasse nel momento del bisogno la precìpite carcassa: è così ristorante l'idea di un'unità indissolùbile fra classi diverse! così catàrtico l'ideale dell'aristotèlico sìnolo di materia e forma! Però decida lui, lo spìrito: è daltronde maggiorenne, io peraltro sono tollerante, e purtroppo il mio corpo è dilombato.
* 
Non credo in niente perché allèrgico alla nefandezza delle delusioni. Meglio i rimpianti.
*
 Risurrezione - Mi sorprende la fede nella risurrezione de' corpi, lorché sarà. Di quale età resusciteremo? Un teòlogo assicurò: "Dell'età di Cristo alla sua morte". Non specificò tuttavìa di quale età sarèbbero risorti un mio lontano consanguineo, ed altri con lui, cui toccò in sorte di spirare prima d'aver compiuto quella fatìdica età. Se l'età della resurrezione sarà eguale per tutti - non potendo uno rinàscere incartapecorito di cent'anni ed un altro un minùzzolo di due e mezzo - superfluo rilevare che le sorprese e le reazioni dei risorti nel guardarsi allo specchio saranno non poche e di non omogèneo segno; e non escluderei a priori che taluno possa, nel segreto del core, non gradire l'avvenuta risurrezione fìsica. E mentre spero di non commèttere peccato mortale a non nutrire cieca fede nella ricomposizione della corporea carcassa, ammetto di sentirmi in pace con il problema dell'ànima, ché fruendo dell'immortalità non viene di conseguenza sottoposta alla risurrezione.
*
Accetto chi crede di sapere: è un umanìssimo diritto. Ma compatisco chi sa. (Forse che il buon Dio non avea messi in guardia Adamo et la femme vivant sous le me^me toit?).
*
Se fossi più ottimista certe mattine per prima cosa appalterei la mia giornata ad una talpa.
*
De gustibus - Che posso farci? Non amo la trasparente solitùdine della campagna, i suoi spazi ingordi e i suoi vuoti provocanti, la nudità indecente delle cose e la vastità minacciosa dei cieli che m'opprìmono. Confesso invece d'amare assai la città velenosa, i suoi colpi bassi, i complotti malandrini ad ogni àngolo di strada, i disprezzi e gli insulti della massa e l'indifferenza boriosa delle donne, le malattìe oscene degli àlberi e il sarcasmo offensivo dei fiori finti, i richiami puttaneschi dei supermarket e le trùcide luci dei negozi semivuoti, le ghirigoresche càrole d'auto, moto e mezzi pùbblici, le tetre nenie di mendicanti e storpi e le urla ossessive dei monumenti sìmili a muffati pupazzi barocchi, gli attentati alla ragione e lo smottamento ferale del mio "io" verso recessi inacessìbili alle ànime càndide e agli sguardi calmi... Amo la città a tal segno che se mai leggessi le Bucòliche vergiliane perirei di botto.
*
M'industrio sovente d'èssere coerente, non ostante il giudizio negativo che dò di questa cosiddetta "virtù" cieca. In verità, la coerenza l'ho sempre giudicata caratterìstica degli uòmini sparagnini e pàvidi: signàculo de' cretini.
*
 Sono come uno spartito che nessuno strumento suona.
*
Soltanto se e quando avrò compreso senz'ombra di dubbio ciò che io sono potrò accettare e mèttere in pràtica il suggerimento ovidiano: "Quod non es, simula" ("Sìmula di èssere ciò che non sei")
*
Ho fatto i conti senza l'oste (nella fattispecie la giovinezza). Ché mi sono buscato una pericolosa infreddatura dopo èssermi spogliato d'ogni "credo".
*
Per indolenza, o agitazione, o difetto di specìfico talento,  non ho mai approfondito nulla, tranne la superficialità: che ho sempre trovato aerosa come una primavera, accondiscendente come una cocottina e rinfrancante come un appagamento.
 *
Mi darò una pacca sulla spalla quando mi risolverò di non scrìvere più in pùbblico le mie flèbili considerazioni. Ma mi riterrò ancor più degno di pùbblica menzione il giorno che cesserò di scrìverle.
*
Ah, se sapessi! - Se sapessi come fare è certo che metterei sulla rete le fotografìe che più mi sconfìnferano, mangerei tutti i giorni cotechino e getterei nella spazzatura la stracciatella in brodo, mi trasferirei senza frapporre indugio nei Paesi Bassi, ascolterei soltanto Sweelinck, guarderei soltanto Bosch (pr. Bos) e leggerei soltanto Gorgia (o Voltaire), parlerei a me stesso con toni bonariamente parenètici e tacerei co' tutti gli altri da me, ignorerei i cimenti degl'ìtali polìtici e studierei soltanto le imprese polìtiche di Willelm I d'Oranje, di Jan van Oldenbarneveldt e di Thorbecke (il Bismarck nederlandese), mi reincarnerei in Richelieu e Racine ed eliminerei dalla scena Mazzarino e Corneille, sostituirei di prima mattina il caffé con lo champagne e la nutella con il fois gras, il giorno l'aqua col lambrusco, la sera le monòtone rose coi fugaci tulipani, e la notte i preveduti sogni con mirabolanti insonnie, darei il Nobel della letteratura a Guido da Verona, l'Oscar del cìnema a Toni Servillo e la condanna capitale ai fidenti coute que coute, e imparerei a mèttere con la tastiera del computer l'accento circonflesso su le vocali, ad esempio sulla "u" di "coute", e l'umlaut su le tudesche "a" "o" und "u", e metamorfoserei me medèsimo in una nùvola, che andasse qua e là oscurando i dubbi più atroci e piovesse semel in anno temperata speranza.
*
Il mio percorso parte dalla chiarezza e approda al groppo: di fronte al quale chiudo finalmente gli occhi. E dormo, sgombro da sogni.

*
Potessi èssere più credente negli uòmini: anche a costo d'èssere ancor meno credìbile io.
*
 Non so accettare che la mia "intelligenza" si àpplichi con pari impegno e fervore vuoi al godimento dei più raffinati piaceri vuoi all'angoscia dei più spietati disincanti. A che gioco sta giocando? da che parte sta questo "motore" a me quasi estraneo.
*
Masse - Sono magnanimo, democràtico ed illuminista, e financo giacobino, al caso. E non di meno mi ùrtano le masse: come potrei non diffidare della folla fin dal tempo che dette di sé assai opinàbile saggio scegliendo Bar Abbas (volgarmente Barabba)?
*
Quando penso al "nulla" non penso che nulla esista, poiché l'evidenza in tal caso mi contraddirebbe in modo insolente. Penso piuttosto che nulla abbia un significato, ovvero che il tutto che siamo e che ci circonda sia un meccanismo originato da nessun progetto e votato a nessuna finalità. L'èssere per l'èssere in quanto non potrebbe non èssere e in quanto non può èssere altro che èssere senza attribuzioni. Ogni attribuzione di significato e di finalità a questo èssere mi risulta assolutamente indimostràbile e gratuita, e nessuna teorìa filosòfica o indàgine scientìfica può dimostrare il contrario se non facendo appello ad una metafìsica vieppiù indimostràbile o gratuita. Non solo siamo circondati da un vuoto senza senso, ma siamo noi stessi costituiti di vuoto. Accetto questa realtà che non giùdico peggiore di quelle che s'immàginano altri, in quanto ciò che è non ha alternative: ciò che è non è né bello né brutto, né dolce né amaro, né morale né immorale, etc... E' ciò che è, e tanto basta. Giacché questo meccanismo senza scopo è perfetto. Assolutamente perfetto, nel senso che non tollera modificazione alcuna.

A stare immoto ascendo, nel mio piccolo, a metàfora dell'universo.
*
Che cocenti delusioni sono costretto a  patire dal mio mondo interiore, i cui deprimenti prodotti becchèggiano come una mùsica su un pìccolo, consunto "giro armònico", sempre il medèsimo, che m'esàspera e sòffoca.
*
 Stropicciato e stralunato, stamattina mi sono destato coi capegli più ritti che rari e tuttavìa traballante mi sono posto in piedi su 'l giaciglio a danzar con molle cadenza, radioso nel volto, pavane vetuste modulate da ghironde e ribeche - "L'Antico è tornato!" ho secondamente annunziato alla comunità condominiale, dal ragguaglio affatturata.
*
 Non sono fatto per la realtà effettuale. A passare dalla potenza all'atto mi si fùlmina la lampadina. E' stato forse l'elettricista ha riservarmi il discaro inconveniente? Vorrà dire che mi limiterò alla coltivazione della "potenza", sconfinato impero del possibile; e invece dell'atto una bella dormita, al buio.
 *
Senza scampo - Poco male se fossi allèrgico solo alle rarefatte vette. Gli è che lo sono anche agli atri strapiombi. E in superficie, manco a dirlo, mi scoccio a morte.
*
Vorrei sostituirmi all'andar del tempo, e disporre cose ed eventi in cerchio.
*
Non conosco solitùdine più schiva e profonda di quella che ànima i frequentatori della Rete.
*
 Ignoro se mai conseguirò quella maturità che mi renderebbe orgoglioso dei miei insormontàbili e soffocanti lìmiti, gli ùnici che mi consèntano d'èssere ciò che presumo d'èssere.
*
Mi sento in un ventre di vacca quando mi sento proiezione della mia ombra.
*
"L'eterno ritorno". Risponde per caso all'eterna partenza? E quale dei due "eventi" è preferìbile? Io, maldisposto agli andirivieni, prediligo l'eterna assenza.
*
Il Nuovo - "Quoi de neuf, Enrico?" mi domanda garbatamente Fb ad ogni apertura di pàgina. Mi lusinga, vano nascònderlo, l'interessamento della colossale Rete ad un punticino qual sono io disperso nell'universo. Ma, ad èssere schietto, provo non poco imbarazzo: che volete che ci sia mai di nuovo? Sono giorni e settimane, anzi sono anni e decenni, diciamo sècoli e millenni che noi, bìpedi ansiosi, siamo in silente attesa di un "nuovo" che non giunge né mai giungerà. E se s'annuncia di lontano ecco che gli va incontro lui, monsieur Caronte, e se l'inghiotte lasciando noi nell'alienata attesa... "Quoi de neuf, Henri?". Rien de rien, les jeux sont faits, ab origine (lat.)
*
La manna del cielo che più mi strega è l'eccesso.
*
Non credo nell'al di là. Riparo nel ricordo.
*

Più che èssere a cavallo di due millenni cosa dovrei mai fare nella vita per sentirmi uno di quei  cavalieri per definizione prodi?
*
 Estate - Chi saprebbe indovinare dove ardisca e arda qualcosa d'ancor più concupiscìbile di questo caldo ferragostano che, rovinosa valanga di zùccaro filato, mi lìquefa (più corretto però "liquefà") la mota delle sparse e sbreccate idee?
*
 Ho vissuto assai. Poi mi è stato detto: "Ora puoi meritatamente sognare". C'ho provato. Da allora sono un "esodato".
*
Nel procèdere dell'esistenza mi si disvela in modo sempre più netto la legge naturale che sancisce l'efferata egemonìa della materia e la dolorosa desistenza dello spìrito.
*
 Rettorica - Nella scrittura adoro utilizzare l'allitterazione, la sinonimìa, l'afèresi, la metonìmia, la crasi, la perìfrasi, la metàfora, l'ipotipòsi, l'ellissi, l'anàfora, il chiasmo, l'apòcope, l'armonìa imitativa, lo zeugma, l'epìteto, l'ironìa, la sinèddoche, l'ipèrbole, l'onomatopea, l'asìndeto e il polisìndeto, l'afèresi, l'antìtesi, l'epifonema, la preterizione, l'ipèrbato, la ripetizione, la metàtesi, l'antonomasia, l'epifonema, la reticenza, l'imprecazione e l'esclamazione, l'interrogazione, la paliloghìa, l'epanadiplosis, l'elocutio, etc... Sono vìvide figure del discorso, sono coadiuvanti della fantasìa, inestimàbili strumenti dialèttici, sono sovr'a tutto lente pecorelle che ùsano trascòrrere ed io contare, l'una dopo l'altra, la notte, sino a che non scenda a raccògliermi l'invocato Morfeo...
*
 Non tanto mi àgita l'idea del futuro quanto mi scombùssolano le intuizioni pur sparse e vaghe che ne traggo di quando in quando, avvelenàndomi.
*
 Tòllero da me stesso ciò che non accetti da altri. Mi compiaccio di contraddirmi ma mi dà sui nervi èssere contraddetto.
*
Amici, diffidate delle sirene pitagòriche. Aborro i nùmeri, la loro genericità contenutìstica, il loro mendace oggettivismo. Nel perpetuo metamorfosarsi del tutto non esiste l'uno come concreta realtà ma come mera astrazione concettuale. E il mio "io"? Non fa in tempo a concepire ed a percepire sé stesso che è già altro da sé. Ed appena credo d'aver afferrato con fulmineo balzo il nuovo "io", lui è già anguillescamente sgusciato dalla mia mano, etc... Non ci pare forse che la terra sia immòbile nel cielo?
*
 Mio agognato obiettivo è conseguire la sofìstica perizia nel sostenere appassionatamente qualsìasi tesi senza punto crèdere in nessuna di esse. Non mi muove a ciò l'ambizione ad una virtuosìstica pràtica dialèttica, né tanto meno un esercizio di cattòlica tolleranza, ma la fredda coscienza della vacuità di quanto ci attornia e pervade. Il Tutto è materia gelatinosa.

Vorrei vìvere in un luogo dove il futuro s'inaridisse e fiorìssero finti ricordi.
*
Come inùtile fiammìfero che si spenga ancor prima d'aver acceso la sigaretta, il mio pensare non fa in tempo a nàscere che tira le cuoia.
*
Ciò che più m'angoscia e mi fa rìdere è che ogni parola non può non contraddire sè stessa. Non per nulla essa è lo strumento alla base della comunicazione fra gli uòmini. Neppur la fedìfraga mùsica è sì ambigua.
*
 Graduatoria - Sulla fiammeggiante cùspide dell'insulsàggine ho infilzato la retòrica dei sentimenti.
*
Non amo affatto il mio sìmile: lo compatisco. 

Mònito ai naviganti del lago. Diffido le persone che mi sono care dal salpare con la mia barca dopo il mio approdo.
*
"Perizoma sexy". La pubblicità m'invesca (1). Me ne vò a compràrne uno (2). Eppoi via di corsa, sulla spiaggia d'Ostia (3).
      (1) nell'accezione di "attrarre astutamente" (2) anacoluto al limite della tollerabilità (3) ridente quartiere di Roma carezzato dal Mar Tirreno
*
 Le fissazioni che m'accompàgnano fòssero almeno compiaciute quanto l'ossessività delle modulazioni vivaldiane.

"Fugit hora". E manco male se la fellona in fuga non mi trascinasse seco nelle sabbie mòbili della rassegnazione. "Fugit interea, fugit irreparabile tempus" dice Virgilio. Ma, mannaggia i pescetti, rassegnarmi a cosa - mi domando - cui il destino non mi abbia fatto già rassegnare ab origine, o sia fin dalla nascita? "Sors est sua cuique ferenda", ha notoriamente scritto nel IV libro dell' "Astronomicon" il poeta latino Manilius, vivuto nel primo sècolo a. Ch.
*
Violenta è la mia commiserazione verso chi si pavoneggia nel darmi ad intèndere che vive.
*

Se tout à coup infollito credessi in qualcosa, certo è che non crederei più in me stesso. Ordunque vade retro Satana, sciò sciò, tentillo fetuso!
*
Melozzo da Forlì mai fece àgnolo sì bello quanto mamma facette a me.
*
Sii maledetta cultura vètero-liceale, crociana e gentiliana, che non m'hai fatto guardar più in là d'un palmo dal naso e mi hai reso sìmile a cadàvere.
*
Non rivesto alcun significato: sono un sottinteso.
*
 Rivoluzione grafica - Ho deciso: prima o poi mi affrancherò dalle intolleràbili, coercitivìssime règole grammaticali e sintàttiche. Scribacchierò come meglio mi viene, senza raddoppi di vocali e consonanti, o triplicandole a mia occorrenza, senza le ridondanti "i" di scienza e coscienza se queste saranno affilate come rasoi: e allo stesso aggettivo ridondante aggiungerò una "n" - rindondante - perché ancor più lo sia nel fulgor suo rococò. E i futuri diventeranno tutti anteriori, a procrastinarmi il compimento dell'esistenza, e gli indicativi tutti congiuntivi per omaggiare comme-il-faut la dubbianza che m'è sì cara, e scriverò "commilfò" perché sono fautore d'un lèggere generosamente popolare, ossia d'una più larga comunicazione di massa. E lascerò "leggere" senza accento affinché il lettore decida lui se vuol rovinarsi la vista nella suddetta lettura o preferisca cessare dallo scritto e alibèllulescamènte adèrgersi, posati i bernardoni d'in sul burò, alle "leggere" cose adombrate dal suo proprio fantasticare... e i puntini di sospensione non più tre bensì trèdici, trentatrè, trecento: quanti più n'esiga ora la balsàmica fuga nell'indeterminatezza dell'avvenire, ora il tur nelle trèpide ombrìe del core (1)..........
   (1) "core" mai più scritto con quella ghiaccia e repulsiva "u" nel mezzo che ne rallenta, del core, il serrato e rosso palpitare: quasi atto d'amore infranto, in prossimità dell'acme, dall'àcido squillo del cellulare maudit: uh!

*
 Sono un animalista convinto. Mi batto per salvaguardare l'animale rintanato in ognuno di noi.
 *
 Uso sempre più la lettura come tècnica di seduzione nei confronti dell'intelligenza che mi va abbandonando, la fetusa.
*
 Il conservatore crede che il primo dovere-diritto dell'uomo sia la conservazione delle proprie radici. Il progressista crede che il primo dovere-diritto dell'uomo sia il progresso delle condizioni di vita. Ci sono altri, come me, che non sono conservatori né progressisti. Non crèdono nell'uomo tout-court.
*
 Adesso mi sono veramente rotto i coglioni: qualsìasi cosa penso è già stata pensata! Me ne vado alla ricerca d'avanzi.
*
 E' un fare il riflèttere sul fare? Se sì, io sono un facitore esemplare. Se no, sono un avveduto.
*
 Professione di umiltà. Mi piace dir male degli altri perché voglio sentirmi eguale a loro.
*
 Sia il mio spìrito da crociera saldamente ormeggiato all'immanenza. E tu, impalpabile metafisica, provocante Circe di fatali garbugli, va (1), vattènne, vade retro.
        (1) "va" o anche va' con l'apòstrofe: quasi a tagliar più di netto il ferale nodo colla Maga, la ferale liaison colla Lusingatrice.

Correrò quanto prima da un consumato mùsico e lo incaricherò di trascrìvermi per gran coro di filles de joie tutte le aporìe composte per voce di filòsofo.
*
 Sono igienista: mi relaziono via Rete e vivo in vitro.
*
Soltanto se e quando avrò compreso senz'ombra di dubbio ciò che sono potrò accettare e mèttere in pràtica il suggerimento ovidiano: "Quod non es, simula" ("Sìmula di èssere ciò che non sei")
*
Inidòneo a figurarmi qualsìasi ritratto della cultura, mi piacerebbe almeno possedere e maneggiare un sòlido sapere in un qualsivoglia comparto del reale: anche il più angusto, marginale, parentètico. E lì dentro sentirmi un signore. Invece annaspo nel più avvilente e impudico dilettantismo.
*
L'insonnia è un'affilata lama di coltello che stride su la ghiaccia parete del cervello. Vivvadìo il mio cervello è da lunga pezza alloppiato (1).
  (1) "alloppiato" sta per "appennicato", "addormentato", ma con significato più intensivo e sbracato in uno: quasi a rèndere foneticamente la melanconiosa rinunzia del cervello ad èsser centro responsàbile et àlacre di tutta la màchina (sic) corporea.


Non ho scampo: trafitto è l'udito mio dalle dolciastre cacofonìe degli altrui buoni propòsiti che da Natale a Capodanno contàminano la fràgile decenza del mondo. Io che sono invece pronto a combinarne di cotte e di crude, e, all'uopo, pure di lesse: oggi, domani, sempre.
*
L'altrieri, a sera addentrata, m'empi(e)i incontinentìssimamènte la bocca d'immani babà alla crema e - ad accompagnare, a moltiplicare se possìbile il babbaesco godìo - m'empi(e)i altresì le orecchie degli oratoriali fastigi haendeliani di "Israel in Egypt"... E così sclamai: "Ognora in me viva d'imperitura vita la spera fulgente del più ritondo Barocco in vesta musical-pasticc(i)era!". E di dormeuse trascorso in giaciglio,  presi un sonno fra i più vasti e sòffici.
**

A ferro e fuoco - Per un vecchio sarebbe più fàcile secondare e saziare le fuocose pulsioni di una ventenne in fiore che per me le ferree règole della consecutio temporum.
*
Mi fastìdiano coloro che, sìmili a nàufraghi disperati, ùrlano con voce metàllica e strozzata ideali di bontà.
*
Ho notato che scrivendo alla tastiera "si sa" - modo di dire che ripetendo vò con grave monotonìa - senza collocare il dèbito spazio tra i due tèrmini, vien fuori "sisa". Ciò mi ha rallegrato. E ne ho prestamente dedotto che è meglio congiùngere, siccome la poesìa suole, che disgiùngere, siccome suole la scienza.
*
Il giorno che non avessi più sensi di colpa potrei finalmente, felicemente, palingeneticamente, darmi per vinto.
*
 Metto sul mercato a prezzi da realizzo il tour del mio èssere.
*
Diffido di tutto quanto cada sotto la percezione sensoriale poiché riveste un apparente caràttere d'evidenza e realtà più menzognere del sogno e dell'ìncubo.
*
Delle parole m'ammàliano i suoni. Ma è diletto che pago a caro prezzo: con la delusione per i loro significati, che non cèssano dal tediarmi gravemente...
 *
 La mia mente è il depotenziamento di una battigia d'autunno.
*
M'appassiònano le cose assai più degli èsseri umani perché non sono affette dal pensiero; e più ancora amo l'astratto senza contorni né lìmiti ove posso distèndermi come infinito e dormire come ghiro. E più ancora, ad èsser schietto, mi rapìscono gli "abbellimenti" cembalìstici della mùsica settecentesca, che trasfòrmano in oro i vieti contenuti barocchi come un'ondosa gonna di voile le gambe ordinarie di una donna che se ne va per via. Mi domando perché mai Dio non abbia voluto trarre conseguenze e dar retta nel suo creare atemporale a quel mùsico antico, prima, ed ora a me.
*
C'è qualcosa d'arcano, nel senso di malèfico, che pènetra e si difonde in me nell'atto della lettura. Non saprei altrimenti spiegarmi perché quando la sera mi còrico e prendo un libro in mano, il libro immantinente mi cade di mano.

Mal comune mezzo gàudio. Avviene le più volte che quando sento inerte il mio cervello, mi disattristo e mi consolo osservando il perenne ristagno del tempo.
*
Giorno e notte, pari e dìspari, bianco e nero, aqua e foco, tutto e niente, disperazione e speranza, ragione e sentimento... Invece di spaccarsi, potesse mai l'ànima mia appollaiarsi e dimenticarsi su una còncava sfumatura.
 * 
Non debbo imprecare contro la monotonìa se tutti i giorni di una fugace vita mi si ripètono uguali. Che cosa dirò quando sarò per l'eterno in paradiso?
*
Allevato alle àlgide geometrìe della Rason illuminìstica ho irriso e disprezzato con tutte le mie energìe lo straripante spìrito della Romantik. Ma con il graduale ritrarsi del tempo mi si è disvelato come quel fèrvido e mammellare universo, accondiscendente vuoi alle illusioni vuoi alla disperazione dell'èssere umano, fosse e sia destinato all'occorrenza a fùngere da pietoso ospizio autunnale, aperto a chiunque, me compreso, bussi alla sua porta, a vespro.
*
 Intermezzo culinario
Come se la fulgente spera del sole ed i lunghi languori della luna più non fòssero in successione, ma per prodigio si ritrovassero affiancati, gòmito a gòmito, bocca a bocca, così sarei l'uomo più appagato di questo e d'ogni altro mondo se il mio gusto gradisse intercalar sulle labra, minuto dopo minuto, àttimo dopo àttimo, il falstaffiano cotechino (o coteghino) ed il prismàtico pòlipo: a tacer dell'agnolesco purpetiello in pummarola, che tassativamente esige di pispinar (1) in infocato coccio, siccome Napule ne (2) ditta.
(1) zampillare, rampollare
(2) forma antica ed insueta che sta per "a noi": beninteso, a noi che ci dischiudiamo a cotesto délice divin.

*
  Sono propenso a tener per vero che non l'età virile sia la maggior produttrice di pura perfidia, ma l'infanzia e la senescenza: età bisognose d'aculei difensivi.
*

  Sono spinto all'immediatezza delle sensazioni e delle percezioni. Fossi un mìstico?
*
Umile ma per nulla arrendèvole, ho fatto il tour degli Atenei d'Italia perché mi si concedesse la facoltà di tenere un lìbero corso su "L'idiozìa dello stupore nella maggiore età". Tutti i presidi di Facoltà all'unìssono m'hanno dato risposta negativa, non celando.....
*
 Vorrei diventare una persona "morale". Ma non so scègliere fra tante morali, tutte sì corrusche e procaci. Mi trovo giùdice ad un concorso di reginette di bellezza. 
 *
 Mi fa più felice la felicità degli altri, che non metto mai in dubbio, della mia, cui mi par avventato crèdere.
*
La notte, il giorno, la mattina, la sera, il pomeriggio, l'estate, l'inverno, quando sìbila l'atra tempesta, quando splende il sole più corrusco, nel fulgore della gioia e nella voragine della prostrazione: sempre, sempre: quanto sono brutto!

Faccio progressi, mi sto abituando a non lèggere i giornali; cui seguiranno auspicabilmente i libri.
*
 Mi sarebbe piaciuto ascoltare Carmelo Bene recitare le poesie di Georg Trakl (in lingua tedesca). I loro orizzonti (s)contraffatti e dannati mi dàvano la sensazione d'èsser fatti l'un per l'altro.
*
Danze - Talvolta mi fingo d'una melancònica flessuosità in un menuet d'antan, ma nelle notti afose vorrei la mia ànima lunga e dinoccolata a  ballarci in secreto lambade e salse e bachate.
*
Non dàtemi addosso perché la fede (1), non avèndocela, non me la posso dare. Se vi riesce e piace, piuttosto, dàtela voi, uòmini di fede, la fede all'ànima mia che sta in dolce attesa del frutto vostro e, ove non riservato, del vostro esempio.
    (1) S'intenda qui il concetto di fede come conoscenza non razionalmente giustificata, come identificazione del crèdere col sapere, come unità di credenza e certezza, di certezza e probabilità.

*
 Sostenuto da un elementare quanto radicato buon senso, con la più fiera convinzione intellettuale e morale non ho paura di proclamare che, per mille e una ragione, sono stato, sono e sempre sarò, contrario allo scandaloso "matrimonio omosessuale", cui oggi un'opinione pùbblica condizionata da teste d'uovo vieppiù debosciate sembra consentire. Ma la mia avversione "senza se e senza ma" al matrimonio omosessuale è nulla in confronto alla repugnanza inenarràbile che mi pervade a fronte del "matrimonio eterosessuale".
*
 Come gli sciatori s'artìgliano di fra le cosce un uncino che li trascini su su, fino in coppa al monte, donde discenderanno a valle gai e alìvoli, così m'ero agganciato il buon senso all'intelletto perché mi recasse in vetta del sàpido vìvere. Ma nell'ascesa il gancio mi s'è spezzato e mi sono trovato folle e supino in un lago di neve monòtona: supino al sòlito destino.

Mai m'ha deluso la diffidenza che da sempre nutro nei miei confronti.
* 
 Abitùdini. Ogni notte prima d'addormentarmi mi prego. Non esisto -  lo so bene, me lo suggerisce la ragione - ma non si sa mai.
*
 La festa della donna, la festa della mamma, la festa del papà, del nonno, del cugino, la festa dell'innamorato.... A quando la festa del cretino? ché già mi sfiorano le labbra i dolci sapori della torta che mi son comprato, a sùbito festeggiarmi. Attendo auguri.
 *
Sono quasi certo che se m'accadesse d'incontrarla per via la riconoscerei sùbito da l'andatura flessuosa, i tacchi a spillo, ardenti gli occhi. Il mio primo istinto sarebbe di fermarla e domandarle a brutto muso: "Ma tu, Felicità, non provi mai vergogna per il tuo ìnfido make-up da cortigiana?"... Ma so bene che soffocherei l'invettiva in previsione di dover piatire a quest'usuraia feroce, ove le cose volgèssero al peggio, un pìccolo prèstito.
*
 Per mia natura e deliberazione non studio: svolazzo. La mia spensierata ignoranza m'è grato lenitivo al vìvere.
 *
 Penso che dopo la morte non vi sia perenne beatitùdine o perenne sofferenza, ma il Nulla che ci assorbe e lìbera dall'illusoria presenza di noi stessi. Non credo nell'eterna quiete, credo nell'infinita Assenza.

Mi esàsperano gli accadimenti. Chi si è permesso d'inventàrmeli?
*
  Camminando fra le bianche mura di uno spedale pediàtrico ho la conferma di una celeste bontà.
*
 Vero saggio è colui che, consapèvole dell'assoluta relatività del tutto, si astiene per principio e in ogni àmbito dal giudicare. Per mia sfortuna, di saggi e maestri siffatti non ne conosco, ed io, in loro assenza, persèvero nel giudicare come un forsennato, ad ogni pie' sospinto, ancorché riconosca che i miei giudizi - a partire da questo presente - sono il segno più palese e riprovèvole della mia avventatezza e fragilità intellettuale.
*
L'infinito da una parte... E io tapino che non so, dall'altra. Che figuraccia!
*
 Inùtile contestarmi. L'ho già fatto io.




                                                                          *****

CASCAMI

Nell'età avanzata, insieme alla soddisfazione per la dovizia dell'esperienza acquisita, verìfichi con schiva tristezza che i ferri del mestiere si sono arrugginiti.
*
Chiàmala, se vuoi, sublimazione dell'Alzheimer - Come nell'ascesi del mìstico, la mia vita si va svuotando di ricordi.
*
 Era una donna russa, pròssima alla sessantina, i capelli lisci e fitti color di rame, gli occhi di un azzurro intenso, il volto vivo d'un sorriso paziente ma stanco come il corpo robusto vestito con la modestia di una lavoratrice. Un'extracomunitaria, seduta sull'àutobus, intenta a dialogare in lingua russa con un'amica al cellulare. Non capivo nulla di quel parlare frammisto a scoppi di popolari risa, eccetto, d'improvviso, una frase da lei detta in italiano, che mi parve degna di un scrittore: "Eravamo amanti, adesso siamo badanti". 
*
Ho fatto due conti: non mi conviene più tenermi la mia ànima usurata: perde colpi e mi consuma troppo. C'ho in mente di noleggiarne una ogni volta che la situazione lo esiga.
*
 Per dirla in tèrmini musicali, quand'ero baldo giovine, modulavo. Adesso, pròssimo carcame dèdito all'àtona salvaguardia di un'immàgine che fu, trillo sulle mie acciaccature.
*
 Più s'invecchia e più cose si ridùcono a parole.
*
Giunto in quest'età epilogante sento sol più l'ebrezza dell'impasse. Non è certo quella impertinente della Baccante, ma è pur meglio di niente.
*
"Uscì dalla vita lieto di aver trovato un motivo per darsi la morte" (Cicero).
*
Giòvane, studiavo per farmi un futuro. Obsoleto (1), studio per farmi pòstumo.
    (1) nell'accezione di "rinvecchignito"

*
 Vacanza uno e due - Nelle stagioni dell'età virile m'assentavo con fecondo rimorso dal lavoro. Ora, nell'età bigia, m'assento con tenue spaesamento da me stesso.
*
 Quando l'ambiguità invecchia si trasforma a poco a poco in approssimazione.
*
 Per rèndere più veritiero quanto ci siamo ripetuti sempre con schietta e amara stupefazione, ossia "chi l'avrebbe mai immaginato che la vita sarebbe stata questa?", ci sia almeno conceduto di rincicciare l'età della canizie onestamente lussurriando.
*
  C'è un vantaggio nell'assìstere al proprio peggiorare: la simultanea riduzione dell'illusione.
*
Più avanzi negli anni più avverti l'esigenza d'assecondare le tue abitùdini, ma più le assecondi più invecchi.
*
Bùggeratene dell'affoltarsi delle tranellerìe apparecchiate dalle fraterìe dei consolatori birboni a danno dell'ineludìbile e senil rincoglionire tuo. Bàttitela da costoro, seppur clàudichi più guercio d'Omero, Edipo e Cupido: guadagna in te i tuoi prischi principati, seppur lisi dalla vita a tua insaputa, e ròtolatici dentro, sciaguattàndovi come redivivo pupetto nella bagnarola. Non paventare alcunché, sospingi il tremoleggiare delle dita a segreti disegni, e non spicciarti ché altro non hai da intraprèndere. Devi solo attèndere: finto il presente, fugate le cure, spenti i pensari. Puoi rincoglionire in pace, in un tempo senza più semi, uguale ad un eroe pallente e letàrgico.
*
 C'è improvviso, inatteso, un momento della vita in cui t'avvedi di non abitare più il mondo del presente: sei rimasto là, nello scompartimento di un treno fermo in aperta campagna.
*
Invecchiare è veder ad una ad una spèngersi le luminarie della via. E pensare con progressiva accettazione che quando sarà buio d'intorno la tua cecità parteciperà di quella dell'universo tutto.
*  
 Giorno dopo giorno mi è sempre più diffìcile capire chi potrà vìncere la gara in progressiva lentezza: se l'usura del mio computer, il trèmolo delle mani mie che vi si àpplicano, o il prosciugamento della mia cocozza che vi soprintende.
*
In avanzata età come pile ti si scàricano gl'ideali: e più non senti la necessità di ricaricarli o sostituirli.

*  
Imploro un portentoso mago, un raro teurgo, un perito alchimista perché invèrtano la pèrfida tendenza onde il nùmero degli anni miei s'ingrossa mentre rimprosciuttisce quello dei miei radi lettori.
*
Intèrpreto il disfarsi delle nostre fattezze nella terza età come terribile vendetta di non so chi o che cosa per èsserci noi intromessi, con fastelli di chiacchiere e di mùsiche fatue, nel silenzio dell'universo dal quale non eravamo benaccetti.
 *
  Trovo in Montaigne: "Felice quella morte che non concede tempo sufficiente ai preparativi".
*
 Ormai ogni settimana, come manager acchittati e zelanti, si presèntano al rendez-vous con la mia persona inattesi e ferali sìntomi della fràcica età.
*
 La vita giunge a sera come un sogno dimenticato la mattina.
*
Tutti pòssono tògliermi la vita. Ma chi sarà in grado di tògliermi la morte?




                                                                           *****                   

IL DUBBIO

Il dubbio radicale che mi fa èssere ciò che sono nasce dalla consapevolezza che il mondo non è come m'appare, già che esso appare diversamente ad ogni uomo. Se dunque ignoro che cosa sia il reale ignoro altresì se il reale abbia un fondamento o sia danza della mera fantasìa, ignoro se esìstano le cose, su quale concreto fondamento fiorìscano i sentimenti, gli ideali, le opinioni, le fedi, e sento lo stesso dubbio sul tutto vacillare sotto la graduale pressione (e liberazione) di un Nulla sìmile a luna che a poco a poco si mostri dipanando orlate matasse di nùvole...
*
Assicura taluno che per vìvere giova pur crèdere in qualche cosa. Io invece sono dell'idea che per non soccòmbere bisogna dubitare di qualsìasi cosa. Meglio saltare a pie' pari l'illusione e fare i conti direttamente con il disinganno. Considerato che ci è stato dato in sorte d'èssere impotenti, cerchiamo d'èsserlo almeno con un mìnimo di dignità.
 *
  La lògica aristotèlica che si fonda sul "vero" e sul "falso" (lògica bivalente), mi soddisfece fino ad una certa età della mia vita. Ma come un giorno il sommo Mstislav Rostropovich non si limitò più a suonare il violoncello per dedicarsi anche alla direzione d'orchestra - mi dirà: "I colori del mio strumento non mi bastàvano più" - così un giorno anch'io lasciai da banda la vecchia lògica aristotèlica per abbracciare quella trivalente, fondata su "vero", "falso" e "dubbio" (il "dubbio" relazionato alle proposizioni intese al futuro), secondo la teorìa del Lukasiewicz. Detta lògica mi procurò tosto gran gusto: a tal segno che cominciai ad escludere sempre più il "vero" e il "falso", obsoleti manco poco, per abbracciare il "dubbio". Giunsi così a dubitare di me, degli altri, delle pràtiche e delle teorìe, del razionalismo e dell'empirismo, del bene e del male, dell'ateismo e del teismo, dell'etologìa e della filologìa, della luna e del sillogismo, dell'ìppica e del contrappunto... Dubitai di tutto. Ma di tutto dubitando dubitai necessariamente anche del dubbio. E dubitare del "dubbio" significava che, uscita dalla porta, rientrava dalla finestra, popputa e sghignazzante, altezzosetta e vìndice (come le è proprio) la certezza... Scoppiò allora in me un uragano di contraddizioni: perplessità, vergogna, logicofobìa, smarrimento circa l'egemonìa della bivalente o trivalente... Non l'avessi mai fatto! - feci: "Ahi!", imprecando contro il momento che, per imitare il sommo Mstislav e corteggiare il "dubbio", avevo tradito Aristotele.... Chi lascia la via vecchia per la nuova sa ciò che lascia ma non ciò che trova. Vale anche per il Rostropovich, ché sul podio non fu sì  sublime quanto al violoncello.
*
La cosa più intelligente e maravigliosa che abbia fatto Iddio non fu la creazione dell'universo tutto ma il dubbio connaturato all'uomo circa la loro esistenza: di Dio e dell'universo tutto.
*
Se il Dubbio non mi fosse da sempre vìvido lume e fido duce sarei un supporter dell'ateismo. Così invece ripiego sull'agnosticismo, di cui primo e precipuo esponente empìrico può èssere considerato Ponzio Pilato. ("Non so, potrebbe essere ma come si fa ad esserne certi, chissà chi sa, vedete un po' voi, però mi raccomando: moderazione, molta moderazione...").

E' il latte per i neonati come il dubbio per l'intelligenza.
*
Basta che il dubbio s'incunei in una pur mìnima parte del tutto per mèttere in dubbio il tutto.
*
Rientra fra i miei progetti dare in appalto al Dubbio la ristrutturazione del mio spìrito liso. Però ogniqualvolta che lo contatto esso traccheggia, ed il risultato è che a tuttoggi sono ancora in attesa di una risposta definitiva. Chi sa se mai me la darà? Forse è il caso che mi rivolga ad altri: vero è che altri sì onesti e rifiniti come il Dubbio dùbito fortemente di poterli trovare.
*
 La mia vita è sempre stata segnata in profondità da un'ùnica certezza: il dubbio.
 * 
  Il medèsimo fiore stento e malaticcio è colto vuoi da chi ha seminato il dubbio della Ragione vuoi  da chi la speranza della Fede.

                                                                *****

PAROLE & SILENZI

  Lo scrittore di fama, se vuol accrèscerla, smetta di scrìvere. Il silenzio ipotizza sovrumani capolavori.
*
 La maggior parte delle parole che diciamo e ascoltiamo nel corso della giornata è affatto inùtile. La parola come riempitivo agevolato dell'esìstere.
*
 Giòvane, mi capitava sovente d'agire senza pensarci su; oggi è normale che penso senza poter agire di conseguenza. L'età matura ha dei lati positivi.
*
Potremmo convenire che colui che parla senza sapere ciò di cui parla non sia uno stordito ciarlatano ma un numinoso discendente degli oràcoli. Più la parola è vaga più la sua disponibilità scende in profondità e s'arricchisce di significati. In ùltimo il nulla e il tutto coincìdono con le due facce di una medaglia.
*
Sono già diversi sècoli che sul mercato non si tròvano più cose nuove da dire. Non resta che puntare sul suono delle parole, di parole elusive.
*
Qualche volta m'avvedo che il parlare e il tacere coincìdono alla perfezione, non solo e non tanto nell'effetto che prodùcono, ma nel propòsito da cui sono mossi. E allora ne deduco che la cosa migliore è un arcano borbottare.
*
Tacere e parlare vòlgono a medèsima meta.
*
Ci si esprime al meglio tacendo.
*
Il silenzio è la forma conceduta dalla natura all'èssere umano per indicare l'infinito tutto.
 
  La gente comune e gli scrittori fanno aderire quanto meglio pòssono le parole ai significati. Ma i folli, i grandi poeti, i perdigiorno irrecuperàbili fanno aderire da par loro i significati alle parole.
*
 Ci sono donne che havvi un ùnico modo a far tacere: privarle del punto esclamativo.

S'insegni ai bambini a giocare con le parole.
*
Come tutte le apparenze del mondo, anche la parola inganna, ma è un modo di comunicare con esso. Del resto non potrebbe èssere altrimenti dato che l'uomo è, prim'ancora nei confronti di sé stesso che degli altri, l'equìvoco par excellence. E' grazie all'equìvoco che l'uomo, guardàndosi allo specchio, sospira ma si accetta.
*
La comunicazione non è possìbile, e se mai lo fosse sarebbe fatalmente intorbidata, e perciò vanificata, dalla "parola".
*
La parola si trasmette e si comprende per approssimazione. Il grado di quest'approssimazione è variàbile e indefinìbile. In realtà non si comùnica ma ci si indovina. Ed è destinata a restare senza risposta la fidente e ingenua domanda su quanto ci si sia indovinati.
*
La parola è una brutale violenza esercitata sul silenzio.
*
La parole hanno il significato che gli attribuisce chi le pronuncia e non quello che crede colui che le ascolta. Qualsìasi dialogo risulta impossìbile; in rarissime eccezioni, fortùito. L'uomo non è soggetto fra soggetti ma oggetto fra oggetti.

Guai se anche una sola fra le mie parole fosse sincera! Mi sentirei come scandalosamente ignudo nel bel mezzo della Quinta strada di New York nel giorno del Ringraziamento o dell'Indipendenza. Sia sempre lodata la menzogna: ombrello variopinto con cui ci si ripara dalla pioggia dell'altrui curiosàggine, la quale ne resta comunque appagata come se fosse illuminata dal bagliore cristallino della verità. Anzi, di più.
*

Per sua natura la parola ingènera contraddizione. Il silenzio non è la forma superna del filosofare?
*
 La parola non riempie il silenzio: lo oltraggia con la banalità della propria presunzione. La parola sta al silenzio come l'uomo all'infinito.




                                                                          *****   


PENSIERO & PENSIERI

Il pensiero attinge il vero nel momento in cui scoppia a rìdere delle proprie tràgiche baggianate.
*
 Vorrei che sogno e pensiero fòssero della medèsima pasta, anzi, un'ùnica cosa.
*
Sia lodata sora morte che non mette fine alla materia ma al pensiero, come a dire al bìschero surplus, o caduca patacca, di quella.
*
 La mùsica non basta. Anzi, rischia sovente la ridicolàggine. Figuriàmoci le altre cosiddette arti!
Forse il silenzio. Non il silenzio che racchiude il pensiero, ma il silenzio che nasce dalla sua totale assenza...
Ma a che giova l'assenza di pensiero se non è accompagnata dall'assenza dell'uomo?
Uomo, mi sorge sereno il sospetto che sia tu il gran guaio còsmico.
*
 Pezze d'appoggio - Come lo sgrammaticato si fa scudo dell'anacoluto, così la cecità del mio esangue pensiero si fa scudo della foschìa che avviluppa e di sé intride l'universo.
*
 Esempio di un uso probabilmente appropriato del verbo "rimpannucciare" - Alla mia età il pensiero mi strema, ma per fortuna ci sono cose a rimpannucciarmi.
*
 L'ìncubo che sconvolge la quiete del sonno è meno nocivo del pensiero che scombuia le ore della veglia.
*
 Come lu solitario verme, prenze de' Parassiti, de l'ìnclita prosapia de' Platelminti, se 'n va ne' colori e forme de la tagliatella vagolando co' le ventose soie lungo gli atri intestini (1) de le genti, a sùggere confacèvole pastura, così se 'n va lu me' pensero girellando pezzente per entro l'altrui cucuzze: a manducare materia bigia: a mùngere pensamenti densi. (C'est la vie).
 (1) Nella Nàpoli d'antan altrimenti detti "cularini", "vudielli", " 'ntufulaturi"
*
 Glielo suggerivo per la sua salute mentale: "Non pensare. E' meglio che parli".
*
 Sono convinto che il nostro mondo sarebbe tutt'altra cosa da ciò che è se l'uomo non fosse conformato dalla Natura alla tara del pensiero.
*
Il pensiero lo ùsano tutti, come se niente fosse. E' una vera follìa, che ci costa inconvenienti e incidenti dalle conseguenze incalcolàbili. Permetteremmo ad un bambino di guidare un bòlide? e chi mai se ne assumerebbe la responsabilità? Ai bambini si dìano i giocàttoli, e gli uòmini li si fàcciano giocare con i sentimenti.
*
Ogni mio pensiero prima o poi s'accartoccia, e s'infrange contro lo scoglio dell'assurdità.

Che il pensiero dell'uomo non "s'evolva" punto ma, al contrario, s'intrugli, si scombui e rimminchionisca vieppiù lungo l'andar dei sècoli lo appalesa la storia della filosofìa. Dai presocràtici ad oggi un precipitare senza fine dell'intelletto. Si potrebbe obiettare: "E la scienza?". Già, illusorio belletto dell'ignoranza, fràgile consolazione cui aggrapparsi per dissimulare, o differire di un secondo, lo smacco esistenziale.
*
 Mi trovo sempre perfettamente d'accordo con chiunque non usi pensare. Al contrario, non tollero gli stùpidi.
 *
Due le cose che vorrei smèttere di fare: fumare e pensare. Mi dannèggiano gravemente la salute. In specie la seconda. E dire che vedo intorno a me non pochi che hanno conseguito il primo obiettivo, e quasi tutti il secondo.
*
 Madre Natura, come non fé limone per èsser spremuto, cerasa per èsser spolpata, margherita per èsser sfogliata, così non facette il pensiero acciocché pensasse. Prova ne sia che ogni qual volta il pensiero si mette in testa di pensare, va a male.
*
 Vivèssimo come bestie saremmo più felici, ma ce lo impedisce il pensiero, che c'ha dato la Cappella Sistina e l'aspirina, ma anche il tormento dell'èssere.
*
  Sento nei miei pensieri taluni gratuiti  "adornamenti" ma poche o nulle sostanze: come un cielo stellato disteso sulla cartapesta. Un tempo li esaminavo, questi pensieri bucati, a trarne la mia temperatura intellettuale e reagirvi al caso, ora mi lìmito a constatarli, lasciàndoli vegetare inermi e un po' èbeti là dove stanno: loro ed io in un'immaginata e mansueta complicità.
*
 Al pensiero dell'uomo va stretto l'universo, ma non ne può uscire. Da qui la tragedia che viviamo e che tutte le altre comprende.
*
 L'idiota è sòlito non pensare mentre l'intelligente usa pensare. Siamo sicuri che l'uno sia l'idiota e l'altro l'intelligente?
 *
Non v'ha un solo obiettivo che il pensiero sia in grado di conseguire. Esso corre, s'affanna, suda, zigzaga, gli pìgliano i crampi, riprende la corsa trafelato e dilombato: è così che sopravvanza le cose stesse che intendeva affrontare: cose che si rimàngono ferme ove sempre sono state e resteranno.
 *
  La parola è dannosa, e il silenzio non basta. Che fare? Non pensare.
*
L'uomo barcolla cieco nel buio infinito. S'industria di porvi rimedio ricorrendo al pensiero, senza tuttavìa considerare che il pensiero non sostituisce la vista ma semmai il contrario: come ci mòstrano molti ed apprezzàbili animali, e animaletti, dotati d'occhi.
*
 Puoi sperare d'èssere liberato dalla prigione in cui ti hanno ristretto gli uòmini, non da quella in cui ti ha serrato il pensiero.
*
Prima di fare, si dice, è bene pensarci su. Ma dopo il pensiero, il fare rischia di farci ben magra figura. Gli è che la vile pràtica della prassi è destinata a soccòmbere al cospetto della contemplazione teòrica, come l'uomo di fronte all'àngelo.
*
  Sono assolutamente sproporzionati lo spazio e il peso occupati dal pensiero rispetto al corpo che li contiene e sorregge. Ecco perché ad età avanzata l'uomo s'incurva.
*
 Il pensiero - questo stato deforme che alligna nell'uomo soffocàndolo - è di per sè una trasgressione all'armoniosa legge dell'universo.
*
Se sapèssimo non pensare e non agire ci scioglieremmo nell'armonìa del Tutto.
 *
 Ogni mio pensiero e atto sono sìntomo di quella malattìa crònica detta superficialità. Ci si può convìvere, certo, e se ne tràggono anche vantaggi, ma talvolta è dura assai.
 *
La proverbiale fòrmula "basta non pensarci" in risposta ad ogni sorta di scalogna, iattura, periglio incombente o rimoto che colpisca o minacci qualcuno, non è frutto, come potrebbe sembrare ex abrupto, d'un atteggiamento scriteriato, irresponsàbile, o fatalista né, tanto meno, egoìstico di colui che pronuncia quelle tre parole, bensì è manifestazione di un più savio e profondo considerare il rapporto tra pensiero e realtà in atto: "basta non pensarci", ossìa basta sottrarre il pensiero al gretto e plebeo ingorgo dell'immanenza, nella fattispecie, del piangitizio accadimento, e lasciarlo errare lìbero, radioso ed alto, nella sfera delle superne astrazioni, ne 'l regno proprio degli "universali". Già, aquila non capit muscas.
Sia notato a màrgine che il triboloso accadimento influirebbe assai negativamente sul pensiero soltanto se, anziché percuòtere gli altri, percotesse me, che non non mi sento punto dimessa "musca" ma "aquila" (od aquilotto, essendo ùmile per natura).
 *
  Un pensiero fisso conduce all'ossessione, la strada maestra per giùngere all'èstasi, ove quel pensiero s'adagia in canto.
*
Ci hanno insegnato sui banchi di scuola che ogni pensiero risulta arbitrario al di fuori di un orgànico sistema di pensiero da cui esso discenda. Ma non ci hanno insegnato che ogni sistema di pensiero è a sua volta insensato se non è conformato ad una "verità" - assoluta per definizione - la quale non solo non ci è dato conòscere, ma neppure sapere se esista ovvero se ne abbia significato il concetto... Come protèggere il buonumore dalla vista e dalla coscienza della relatività del tutto? Che l'arma vincente contro il pensiero sia la spensieratezza? Forse l'intelligenza deve pagare un prezzo per  campar serena: far la finta tonta.
*
 Una nuova storia della filosofìa come rigorosa anàlisi e impietosa denuncia dei malestri provocati nei sècoli dal pensiero.




                                                                       *****


NEI PRESSI DELLA DIVINITA'

Per definizione è Dio, d'accordo. Ma di nome come fà?
*
Credo in Dio? Quando frequentavo l'Università, il mio maestro di Filosofìa teorètica Ugo Spirito mi avvisò che il bisogno identificato con il possesso ha nome Illusione.
*
Ben ricordo che, parlando di fede, Alda Merini mi disse: "Lo sai? Io con Dio ci gioco". Da allora anch'io gioco con lui: a chi fra i due meno esiste.
*
 Ipotizzo che Iddio abbia creato l'uomo al sèttimo giorno perché, a consolazione d'èsser stato creato, costui ridesse di cuore alla vista dei bizzarri prodotti apparsi nei sei giorni precedenti.
*
Perché mai l'uomo dovrebbe conformare le propria ràpida e delicata esistenza al volere dei più, tra i quali allìgnano la feccia, l'idiozìa e la follìa? O, peggio, perché dovrebbe obbedire al volere prepotente e ringhioso dei meno? O, Dio ne scampi, inchinarsi a culo alto al cospetto di un tirànnico Sempronio? Per evitare l'insolùbile incaglio la Natura avrebbe fatto bene a collocare un solo e libero uomo sulla faccia della terra. O, meglio, uno alla volta. Ci sarebbe stato tempo per tutti. E, uno dopo l'altro, sarèbbero tutti vissutii, se non felici, contenti di sé, o, quanto meno, impossibilitati ad èssere scontenti degli altri.
Si prenda il caso di Dio: capita l'antìfona, ha iniziato nel primo sècolo d.C ad eliminare gli altri Dei attaccabrighe e contrapposti: ed è rimasto ùnico, e felice.
 *
 Passeggio per il centro stòrico di Roma con un amico di vecchia data, che di fronte ad una basìlica barocca si ferma, solleva lo sguardo alla solennità della facciata e mi confida con tono quasi risentito: "Non credo in Dio? Colpa sua, sia più chiaro".
*
Dio mio, o mi fai dotto o mi lasci nesciente: fiat voluntas tua. Ma non porre davanti agli occhi miei l'àlbero della conoscenza per punirmi (e manco poco, si sa) se voglio tentare d'emanciparmi arrampicàndomici su: a toccar con mano lo splèndido frutto: il morso a delibarne il desiato spicchio.
*
Cosa terrìbile che la definizione del Giusto sia fondata su costumi transeunti ma dagli uòmini postulata di volta in volta come assoluta.
*
 "La vita è bella perché Iddio la protegge" disse con un fil di voce il bambino di colore che moriva di stenti in una regione desolata del Corno d'Africa, ripetendo le affettuose parole che usava ripètergli il missionario, carezzando quel volto scheletrito.
*
Quelq’un a dit que l’histoire de l’homme et de Dieu est l’histoire d’une déception réciproque.
*
L'uomo ignora l'infinito mondo fuori di sé, e l'infinito mondo ignora speranze e strazi dell'uomo. Questo ferreo sbarramento di recìproca ignoranza caratterizza lo stato dell' "èssere". Perché il Dio del Vecchio Testamento non volle che questa barriera fosse abbattuta? Perché non volle che in luogo della destabilizzante consapevolezza dell'ignoranza ci fosse la sapienza di ciò che è? Perché identificò la sapienza trascendentale con il peccato? Perché volle sostituire nell'uomo la sapienza con la "fede"? Perché dovremmo crèdere quando potremmo sapere?... Forse perché quel savio Dio voleva che l'uomo fosse guidato dal Dubbio: e la Chiesa non l'ha mai capito, ed ha sempre strenuamente lottato contro quel Dubbio come fosse il nemico mortale, veleno sterminatore, empia e mignottesca tentazione.
*
Non v'ha pensiero, o gesto, la cui valutazione non dipenda dal variare dei tempi e dei luoghi. Vale anche per l'idea di Dio.
*
 L'uomo è prudente per natura, altrimenti non crederebbe in Dio. Ma è altresì così immodesto da porre sopra di sé, a mo' di corona, Iddio.
*
 L'ateo è colui che rimpròvera Dio di non esìstere, il credente colui che non sa fare a meno di ciò che vuole. Per entrambi il problema dell'esistenza di Dio è un falso problema, sotto il quale s'àgita l'angoscia della solitùdine umana, ingenerata dalla separazione originaria della parte - delle infinite parti - dall'uno tutto. (Intendo per "uno tutto" tutto ciò che sia possìbile pensare). Solitùdine sì tràgica ed insoffrìbile da inibire all'uomo la serena consapevolezza della propria impossibilità di sapere. Invero, l'uomo non sa accettare d'èssere costituito da ciò che non sa, ossìa non sa vìvere ammettendo di èssere insormontàbile "ignoranza". Sìmile al bambino che trema in una stanza buia - Il bambino diventerà adulto, l'adulto pòlvere.
*
All'atto pràtico non è decisivo che Dio esista o non esista, ma che l'uomo abbia o non abbia la fede in lui.
*
Il paganèsimo greco riconosceva la responsabilità della divinità nell’umane tragedie. Il cristianèsimo no, e ciò costituisce uno tra i motivi fondamentali che mi rèndono questa religione lontana dalla mia sensibilità e dalle mie aspettative.
*
 Per l'ennèsima volta abbiamo visto sugli schermi televisivi le atroci condizioni di vita in cui  s'arrovèllano milioni di èsseri umani: uòmini, donne, bambini, vittime miserande di degrado, miseria, fame, malattìe, soprusi, stragi... Di fronte all'intolleràbile stato dell'èssere ipotizzo che Dio, se esiste, o è indifferente o è impotente. Se fosse indifferente, da lui sarebbe esclusa la Bontà, il che non potrebbe èssere di un Dio quale è pensato dalla  nostra civiltà. E se fosse impotente, non sarebbe Dio per definizione. Dopo millenni la teologìa del Cattolicèsimo ancora non ha risolto il problema del Male, problema che non paia azzardato prevedere insolùbile per ogni credo religioso: in eterno.
*
 Non dar retta a chi ti racconta che la mùsica è linguaggio universale che tutti gli uòmini di questo marginale e provvisorio pianeta capìscono. In comune gli uomini non hanno un bel niente: a cominciare da Dio.
 *
Un grande striscione disteso a lenzuolo sul frontale di una chiesa a Ponte Milvio (Roma). C'è stampato a caràtteri cubitali: "A Dio nulla è impossìbile". La scritta mi ha fatto a lungo riflèttere senza  convìncermi. Ad esempio, sono propenso a ritenere che a Dio non sia stato "possìbile" evitare l'Olocausto, perché se gli fosse stato possìbile evitare la morte di circa dieci milioni (o più) d' innocenti l'avrebbe evitato, essendo Dio e non Dimonio. Va da sé che tale "impotenza" o "impossibilità" divina pone gravi interrogativi intorno al concetto di Dio cui non si è mai trovata risposta sensata... Di fronte ci rimane il mistero, l'assoluto imponderàbile che c'induce a non affermare e a non negare nulla, in specie intorno all'esistenza di Dio, ancorché se davvero a Dio fosse "possìbile" tutto, gli sarebbe possìbile anche non-esìstere. Ma se Dio non esistesse di sua volontà dovremmo domandarci se Dio esiste in quanto volontà di non-esìstere oppure non esiste in quanto per definizione il non-èssere non è.... Meglio smèttere qui il ragionamento.
*
L'inaffidàbile intelligenza di cui siamo forniti è la vendetta che Dio si è preso sugli uòmini per èssere stato da loro impudentemente creato.
*
Gli Dei scèndono a loro piacimento dal cielo in terra; gli uòmini scèndono a loro dispiacere da terra a sottoterra.
*
 La differenza basilare fra Cristianèsimo e religione dell'antica Grecia risiede nel fatto che il primo fa derivare la Terra dal Cielo (v. Bibbia) mentre la seconda il Cielo dalla Terra (v. cosmogonìa esiodea). Se mai potessi formulare un desiderio a Dio gli chiederei: "Prèstami talento e potenza affinché possa io pure tratteggiar une cosmogonie très charmeuse".
*
 Stamane di buonora il pizzicarolo di fiducia, cui mi sono rivolto per l'acquisto di due etti di mortazza -  quella da leccarsi i baffi -  da lui strategicamente celata verso l'estreme propaggini dello sfavillante banco, mi ha così parlato: "Credevo in un solo e unico Dio, e gli altri (1) si sono stizziti"...
(1) s'intenda gli altri superni celicoli
*
E' un nonsenso che Iddio abbia fatto l'uomo a propria immàgine e simiglianza. Chi l'ha detto non voleva bene a Dio.
*
Dio, il figlio prediletto del pensiero, ha superato in tutto e per tutto il padre.
*
 Esiste, sovrumana, un'entità intesa ad avvertire e compatire, se non a dissòlvere, il dolore cruento dell'uomo? La risposta è dubbia in considerazione del persìstere dell'infelicità dell'uno e del lungo tempo trascorso dall'inizio di un possìbile e grato intervento dell'altra. Talune religioni spiègano che non c'è dato conòscere le modalità di pensiero ed azione di quest'entità sovrumana. Può èssere vero, ma è più vero che per l'intanto l'uomo continua a passàrsela in guisa nient'affatto benaccetta, mentre poco ci vorrebbe a rènderlo sorridente: è un vivente sì stupidotto e fràgile che vedere un gianduiotto gli ingènera l'acquolina in bocca ed un fiore gli fa crèdere al profumo.
*
 Non possiamo esclùdere che sìano parzialmente nel vero sia i credenti sia gli àtei. Infatti Dio è per definizione onnipotente: è in suo potere esìstere e non esìstere nello stesso tempo.
 *
  Se la vita è quello che è, che Dio esista o no, perché mai dovrebbe esìstere?
*
Il paganèsimo greco riconosceva la responsabilità della divinità nell’umane tragedie. Non il cristianèsimo, e ciò costituisce uno tra i motivi fondamentali che rèndono questa religione lontana dalla mia sensibilità e dalle mie aspettative.

Disperso negl'infiniti spazi siderali giace un puntino sul quale, affastellati, s'àgitano e scàlciano  micro-èsseri, gli èsseri umani, che in un baleno di vita sòffrono pene d'inferno. Gli stessi si consòlano reputàndosi tràgici eroi, fattori rilevanti dell'universo, senza accòrgersi che sono pinzellàcchere di cui neppur il Demiurgo, tutt'intento alla creazione e contemplazione dell'immane òpera, poteva avvedersi. Ché se mai Lui se ne fosse accorto, e vi avesse provveduto con una catàrtica profusione di fortuna, gli uòmini sarèbbero felici come pasque. Tale il motivo per cui tanti di noi non cèssano dall'invocarlo, dall'attirare in ogni guisa la Sua attenzione. E s'ammetta che talvolta l'invocazione pare cògliere nel segno e produrre la numinosa reazione, seppur essa ingèneri in larghi strati dell'opinione pùbblica panterriana il sospetto d'èssere generata meno da una finalità che dalla mera casualità.
*
Non sia da esclùdere che Dio s'interessi all'uomo non più di quanto s'interessi alla formica, alla pietra, al filo d'erba... Ciò potrebbe èssere dimostrato dallo stato dell'uomo, della formica, della pietra, dell'erba...
*
L'esistenza di Dio potrebbe ipotizzàrsi qualora Egli fosse configurato come colui che s'industri a porre rimedio ai malestri di un èssere perifèrico e difettoso dell'universo: l'uomo.

Al posto d'Adamo io avrei dato retta alla parola di Dio che voleva il di lui bene vietàndogli l'àlbero della conoscenza. Nei miei confronti, ne sono certo, l'Eva nulla avrebbe potuto con quella mano tesa su cui poggiava una mela più gialla della stizza. Giacché io non so nulla, né voglio sapere, e ne vado orgoglioso.
 *
A che pro sentirti figlio di Dio se questa paternità non ti fa sentire inviolàbile nel mondo?
*
Io non esisto, noi non esistiamo, né esiste alcunché di quanto ci circonda. E se fòssimo noi e l'universo intero "immaginazione" di un Dio, "gioco" di una mente inconoscìbile? Certo è che le nostre ipòtesi metafìsiche non sanno in ogni caso oltrepassare la barriera dell'antropomorfismo.
*
Se non esiste l'orìgine non è che esista l'eterno ma il nulla. Per protèggerci dall'idea del nulla non abbiamo a disposizione che l'idea di Dio. Per tale ragione l'uomo è proteso a crèdere in lui.
*
Si còntano cosmogonìe che hanno riscosso grandi consensi di pubblico: per esempio quella dell'Antico Testamento.
*
 Rilevo una "mauvaise pensèe" di Valery: "Dio ha tratto ogni cosa dal niente ma il niente vi traspare".
*
Qualsìasi religione, ottemperato al dovere di proclamare l'esistenza di Dio (o degli Dei), non ha da aggiùngere altro se non il superfluo.
*
La maggior parte degli uòmini rifugge dalla solitùdine. Noi si vive per richiamare l'attenzione di Dio su di noi, sia che non esista Lui, sia che non si esista noi.
*
Chi potrebbe negare che l'onnipotente Dio avrebbe potuto creare un uomo che non si macchiasse dei reiterati e bestiali crìmini che la Storia attesta? Se invece l'uomo non è òpera divina, ma natura nella natura, l'umana ragione che ci riflette sopra scoppia in mille pezzi.
*
Di Dio capiamo o tutto o nulla. Non è corretto attribuirgli il Bene che a noi pare Bene e non attribuirgli il Male che a noi pare Male. Perché se così fosse, significherebbe ipotizzare una divinità malefica più potente di Dio che di volta in volta gli imponga la propria volontà malèfica. Il che è assurdo dato che porremmo sulla vetta dell'Olimpo il Dio del Male. E' pertanto prudente congetturare  o che Dio non si curi punto della morale oppure, più realisticamente, che non esìstano il Bene e il Male in sé stessi, ma moltèplici e fin antitètici concetti del Bene e del Male che variano secondo tempi e luoghi, uomini e culture, costumi e religioni, interessi sìngoli e di massa.
*
 Se l'esistenza di Dio non è dimostràbile è palesemente vano parlar di Dio.
*
Quando la speranza s'incendia sino a trasformarsi in ìncubo, aggalla gigantesco ed incontenìbile il concetto di Dio.

Giovane, ero uno scettico che dubitava dell'esistenza di Dio. Vecchio, sono un credente che crede nell'inesistenza di Dio.
*
Se vuoi la certezza di non èssere deluso da Dio, è bene che tu non gli chieda nulla.
*
Nessuna vittoria ti strema quanto quella ottenuta dalla tua ragione nel negare l'esistenza di Dio.
*
Il Dolore incontrò la Speranza e si congiunse a lei, che gli partorì Dio.
*
Purtroppo Dio non ci basta. Chi scoprirà un'entità a Lui superiore?



                                                                                  *****   
 


  NEL GORGO DELL'ILLUSIONE

Quanti illusi s'illùdono di sapere, sentenziando a vànvera! Io ignoro del tutto la realtà a me esterna, della quale dùbito fortemente la stessa esistenza. Sono come il tuorlo (1) dell'ovo cui non è dato conòscere ciò ch'esiste - mai esista per davvero- al di fuori del guscio. E lorché qualche individuo assai fellone, rotto il frale guscio, reca alla luce detto tuorlo sì da consentirgli in teorìa di prènder atto del mistero che l'aveva avvolto ab origine, ecco ch'esso vien immantinente risucchiato nel buio pesto e tortuoso dell'umana panza. Non differentemente all'uomo sfugge, e sfuggirà ne' sècoli de' sècoli, il possesso del presunto e volàtile vero. V'ha un'universa panza che ci deglutisce tutti quanti: nemine excepto.
(1) in antico li scrittori usàvano anche "truollo"
*
Illùditi pure, se può giovarti. Ma sìine affatto conscio.
*
Quante volte la deplorata illusione è il rifugio supèrstite che ci protegge dagli assalti della realtà? I più ricchi di spìrito, è vero, usufruìscono di un asilo più sicuro: la demenza.
*
Non è infrequente che la morte sia cagionata da un infarto dell'illusione.
*
Non val la pena d'affaticarsi per ottenere un'illusione.
*
Preferì serrare in cassaforte i rimpianti, ed usare, per tutti giorni, le illusioni.
*
AAA Per consolarmi dell'età avanzata cerco amici più senili di me. Dò loro in cambio ottimismo e illusioni.
*
 In ogni istante brancoliamo nel buio piatendo illusioni e ricavàndone i giusti disinganni. Come sarebbe possìbile non spègnerci esangui?
*
 Non è importante èsserci, ma crèderci, giacché la realtà è illusione.
*
Lo scèttico rèputa la divinità un'illusione. Il polìtico rèputa l'illusione una divinità.
*
Certezze e verità spèttano agli Dei. A noi le illusioni.
*
 Soltanto la speranza che nulla esista refrìgera l'angoscia che mi preme per la torma dei fantasmi che dànno proditoriamente l'illusione dell'esistenza.
 


                                                                                     *****

QUESTA SPECIE D'UOMO

D'improvviso, simile ad un catastròfico temporale, apparve su la terra l'uomo: con un fardello di bizze appresso.
*
  Fra tutto ciò che vive l'uomo è il più inadatto a vìvere.
*
Com'è concepìbile che non abbiamo null'altro di meglio da fare che vìvere?
*
Tanto per gradire - "Malidictis homo qui confidit in homine" (Geremia, cap. XVII, v. 5): io è da gran tempo che ripetendo lo vò sull'onda bìblica....
*
Se gli uòmini fòssero lìberi di scegliere il loro futuro post mortem, non è a crèdere che tutti sceglierèbbero il paradiso. Ci sono i morigerati (a tacere dei màrtiri per natura).
*
Che l'uomo sia pietosamente attaccato alla vita non signìfica che l'uomo sia importante per la vita. Lui  ha solo la vita mentre la vita ha mille altre forme per èssere ed inverarsi. Anzi, non si può negare a priori che la vita sia sommamente disturbata dall'uomo, che la sgualcisce, banalizza, umilia: non già per colpa propria ma per insanàbile deficienza costituzionale.
*
Nella vita si ride per non piàngere, ma coloro che rispèttano l'uomo lo piàngono per non rìderne.
 *
L'uomo nacque cosa tra le cose: la sua età dell'oro.
*
 Come la febbre alla malattìa l'uomo sta all'universo.
*
L'uomo ogni giorno confida nel giorno successivo, ogni mese nel mese seguente, ogni anno nell'anno pròssimo, e tutta la vita confida nella vita futura. Com'è ridotto male quest'èssere costretto a riporre la propria fiducia solo in ciò che non conosce.
*
Per quanto mìnimi, l'uomo suole porsi obiettivi smisurati rispetto alle reali possibilità di ciò che è. Il giorno che avrà preso coscienza del proprio stato, e si comporterà di conseguenza, vivrà meno peggio, o sia in modo più conforme alla natura del Tutto.
*
L'individuo non tòllera l'abisso in cui percepisce sé stesso e il fitto mistero che l'avvolge: tuttavìa il prezzo salato che paga per èsserne distratto dal mondo è la noia e il fastidio che prova per questo  stesso mondo.
*
L'errore è stato creare l'uomo affinché le cose avèssero utilità ed utilizzo.
*
 Fatica sprecata - L'èssere del mondo è oleoso: i propòsiti dell'uomo, che crede di dover espugnare un fortino, vi scìvolano sopra: inavvertiti.
*
 Quando nei futuri millenni ci saremo affrancati dalle paure ancestrali guarderemo con quieta  indifferenza alla morte e non avremo più necessità di crèdere nella resurrezione dei corpi.
*
 Neppure Belzebù s'immàgina la perfidia di cui è capace l'èssere umano quando decide d'èssere al meglio di sé. E' vero, gli riesce soltanto per breve tempo, ché poi torna alla sua abituale stoltezza, su cui si regge la mediocrità del nostro supponente mondo.
*
Perché l'uomo, pur essendo un punto inavvertìbile nell'infinito cosmo, è così sciocco da ritenersi un èssere responsàbile? Responsàbile di che, lui che è un prodotto inquinato di una cieca "responsabilità"?
*
Vorrei rinàscere sorretto da un'ineluttàbile fede nell'esistenza dell'uomo.
*
Ciò che è, è. Ciò che non è, non è. Doppia tautologìa? Pare proprio di sì. Eppure l'uomo dopo millenni ancora non la consìdera tale. E continua impertèrrito a crèdere, in forza della filosofìa, che "ciò che è" sia in dubbio, e, in forza della fede, che "ciò che non è" forse sia.
*
Tema - E' ora di finirla con la coabitazione coatta ed insàlubre degli uòmini in un ùnico universo! Che ognuno s'abbia il suo (ché di spazio ce n'è).
*

Variazione  I- Ognuno dovrebbe avere il diritto d'èssere l'ùnico cittadino del Paese da lui stesso fondato.
*
Variazione II - Qual è l'utilità di miliardi e miliardi di uòmini su questo stùpido pianeta? A testimoniare l'opinàbile qualità della vita umana ne basterebbe uno solo.
*
Nella misura in cui si sente colpèvole, l'uomo si àgita nell'ansiosa ricerca di colui che lo perdoni. Del resto, come procèdere e tentare di giùngere alla meta con quella spada di Damocle sul capo?
*
L'uomo non è che un cieco moscherino (o moscerino) in balìa dei capricci del Caso, sibbene sempre l'umana capoccia, anche la più cojona, contenga interminati universi: impastata inestricàbilissimevolmènte di merda fetentìssima e struggenti anèliti di "poesìa".
*
Dalle primordiali forme di vita acquàtica il processo evolutivo giunse a scodellare l'homo sapiens. Perché questo processo si è d'un tratto inceppato, né mostra a tutt'oggi segno alcuno di ripresa?
*
Crediamo di percòrrere una lunga via, e non c'avvediamo di girare in tondo su un disagèvole  spiazzo.
*
L'egoismo perpetua l'uomo.
*
I danni catastròfici provocati nel mondo dal comunismo reale stanno per èssere eguagliati da quelli di un capitalismo disfrenato e famèlico, che trova acconcio concime proprio nei Paesi che con furia spasmòdica intèsero utopisticamente porre in èssere il marxismo lungo il sècolo ventèsimo. L'uomo ha sempre dimostrato di non èssere fatto per governarsi, essendo dotato di una specie di razionalità inadempiuta, frantumàtasi ed infettàtasi nel contatto col cieco divenire del tempo. A tempo perso ci si potrebbe domandare se l'uomo sia in sintonìa con la perfetta màcchina del cosmo o se tale màcchina non soffra di un ingranaggio difettoso: l'uomo... Ché io, ad esempio, m'è parso di notare, grazie ad un cannochiale, come di notte la luna dubbièvole mi guardi in tràlice.
*
Per trarre insegnamento dall'osservazione degli èsseri umani dovrei sapere prima di tutto dove essi s'acquàttino.
*
 L'uomo fa l'amore e muore. Che sciocco! Quant'è più furba la specie, che utilizza quell'amore per non morire.
*
 E' spropositato, e tocca il ridìcolo, l'interesse che in maniera plateale e goffa manifestiamo per la vita. Donde la mancanza di decoro che ci abbrutisce. Pur di tirare avanti la màssima parte di noi, affannàndosi giorno e notte con un taccuino delle entrate e delle uscite sotto le màdide ascelle, si riduce ad una non-vita.
*
Coloro che lottano fino allo stremo per un obiettivo commendèvole sono fortunati se interviene a deresponsabilizzarli il Caso.
*
L'uomo non può vedere al di là dell'uomo; ed allora immàgina. E mette sé stesso a grave rischio quando fonda la realtà sull'esercizio dell'immaginazione.

L'uomo è conformato al crèdere, non al sapere. Il suo errore fatale, tra le fonti della sua infelicità, è crèdere di sapere, mentre la sua salvezza sarebbe sapere di crèdere.
*
 Non tòrnano utili immani cùmuli di sècoli, stratificazioni di civiltà e d'esperienze: ogni individuo  affronta la vita come se fosse il primo uomo a vìvere.
*
Se mai l'uomo fosse in grado di svincolarsi dalla specie diverrebbe lìbera fantasìa, immune dalla vita.
*
La persona comune cerca di distrarsi - sport, cultura, viaggi, amori, vizi, virtù, professione, fede, polìtica, etc... - sfarfallando là e qua quale vispa Teresa pur di non farsi risucchiare dalle inesoràbili conseguenze del vìvere negl'inameni abissi della coscienza.
*
E' probàbile che il sentimento più pressante nell'uomo di fede non sia la fede ma una sorta di fede nella fede.
*
Se fosse disposto a convìvere con la solitùdine e il disinganno, l'uomo potrebbe divenire più lìbero e acquisire più lùcida coscienza del proprio stato ove si volgesse a demolire con implacàbile consequenzialità, l'uno dopo l'altro, gli strumenti ed i meccanismi della propria fallace razionalità.
*
 L'universo è ciò che è, ma l'individuo ha una sua deludente peculiarità nell'èssere ciò che non dovrebbe èssere.
*
 Sebbene sia realtà affatto ovvia e incontestata, sempre mi rincuora la considerazione che l'uomo è bestia fra le bestie. Umanità e bestialità coincìdono. L'errore, o difetto, dell'uomo risiede  nell'attribuirsi fra le bestie una supremazìa di matrice intellettuale che non ha fondamento oggettivo e che anzi lo spinge a sentirsi disperato per il còmpito egemònico ch'egli stesso si è attribuito nell'àmbito di quella micidiale miscela d'autostima e d'idiozìa di cui è  malato e vìttima per tara costitutiva.
*
La vita è in sè cosa miseranda rispetto all'èssere (verbo).  L'uomo è colui la cui presenza offende l'idea dell'èssere, o meglio si potrebbe dire che egli si configura nel maldestro tentativo di rapinare l'éssere. Fra l'uomo e l'èssere s'erge inviolàbile uno sbarramento.
*
Nulla di più educativo che osservare quanto sia àbile l'uomo nel mentire a sé stesso prim'ancora che agli altri. O dote naturale, o escamotage: comunque una necessità della sopravvivenza.
*
Mi sbudello dalle risa all'idea di "progresso". L'uomo è rimasto cannìbale. E quando malauguratamente non lo sarà più, non più sarà, fortunatamente, neppure uomo. Che cosa potrà èssere l'ex uomo l'ignoro. Ma non è fàcile azzardare qualcosa di peggio di ciò ch'è stato ed è nelle ùltime decine di millenni. Fondamentale è che non sia più "erectus", affrancato dalla funesta tabe del pensiero.
*
L'uomo è imperfetto. Imperfetto il suo governarsi. Imperfetto tutto ciò che da lui discende.... Ma che cos'è la "perfezione"? Forse un'idea infondata, poiché priva di un tèrmine di riferimento. Ma se non c'è  perfezione, neppure c'è imperfezione, e l'uomo non può più èssere definito imperfetto. Né l'uomo, né le altre cose. Tutto ciò che è, è e basta: indefinìbile, invalutàbile, neutro, arcano. Noi viviamo noi stessi, non sapendo rinunciare ad interrogarci invano su ciò che non esiste. E' una contraddizione che ci àbita ma di cui non siamo responsàbili: come di nulla siamo responsàbili non essendo i facitori di noi stessi. Siamo pietre, monti, pòlvere, ortaggi, trascolorati in pensiero manchèvole: donde la nostra impotenza a fare, la nostra malinconìa ad èssere.

                                                               *****

LA "VERITA'"

Caro amico crèdimi, nulla mente quanto la "verità".
*
"Lo sa, caro signore? La verità non esiste". "Ah, com'è vero".
*
A forza di cercarla con una caparbietà che si trasforma in ossessione finisce che la "verità" non trovata te l'inventi tu senza accòrgertene. L'obiettivo prefissato è conseguito: sei felice, è palese. D'ora innanzi si tratterà di diffònderla per mari e monti, la "verità", e sarai bendisposto ad affrontare qualsivoglia periglio, qualsìasi sagrifizio per ciò che è un approdo dell'io e dell'io una ragion di vita, epifanìa a lungo attesa d'un assoluto nel mondo (etc... ).
*
 Il nostro intelletto coglie il "vero" anche quando erra, giacché vero e non-vero coincìdono.
*
Quando leggo o sento pronunciare la parola "verità" mi s'annebbia il cervello e rincretinisco. Rimango senza difese: afàsico, paralizzato. Sballottato in balìa del rebus còsmico. E non oso confessare a me stesso che sono sotto sotto esteticamente attratto dagli echi di quella parola nirvànica, taumatùrgica, e vuota.
*
 L'uomo sceglie per sé una verità come se abbordasse una dispensatrice d'amore che fra le altre più potesse al momento appagarlo. La carne è dèbole, passeggiere le verità.
*
 Come può esìstere, come può èssere immaginata, creduta, stimata una scienza quale la filosofìa che si propone di tèndere alla "verità" - a qualsisìasi verità, metafìsica o non - sia pur quando approda, dopo dimolte e sudate proposizioni, alla constatazione della sua impossibilità? Che cosa mai signìfica "verità" se non ciò che a noi non è dato conòscere e che dunque per noi non esiste, e se non esiste per noi non esiste in assoluto? Perché scervellarci a studiare ciò che non esiste? Prefèrisco dedicarmi alla degustazione delle patatine fritte con la maionese: gustose come non mai nei chioschi appòsiti di Amsterdam, agli àngoli dei palazzi secenteschi che si riflèttono ordinati nell'aqua de' canali.

Chi pretende di proclamare la verità assoluta deve preventivare la reazione veemente di chi pretende di proclamarne un'altra, altrettanto assoluta. Ma chi osserva da bordo campo, come può non dubitare dell'esistenza di due verità assolute? All'uomo manca un criterio per stabilire non solo quale delle due sia la verità, ma anche e sovr'a tutto che cosa sia la verità in sé.
*
Presunzione - Ci s'impèlaga in un mare d'equìvoci da cui non se n'esce più ogni volta che, scioccamente, ci s'impegna nella ricerca d'una qualsìasi presunta "verità". L'uomo non è stato fatto per sapere il mondo, ma per subirlo.

Da bambino mi fingevo un gran pianista. Sono invece diventato il quarto dito della mano sinistra d'un pianista dilettante. Mi contento: la mia sensibilità ne ha cavato lo squisito piacere del fallimento.
*
Non basta temere lo sciocco che in base ad un approssimativo giudizio di còmodo si picca di distinguere il "vero" dal "falso". E' opportuno rifuggire tout court dalla fuorviante tentazione di contrapporre l'uno all'altro. Ché non si dà contrapposizione ove non vi sia dualità.
*
  Sia messo a morte chi sveli il "vero" all'infanzia.
*
Gli stanchi e gli spossati si distèsero, e s'addormìrono sulla "verità".
*
....


                                                                                                                                                                                                             
                                                                                                  Enrico Cavallotti


                                                                                         

                                       





















Nessun commento:

Posta un commento